Il ruolo delle tartarughe giganti estinte, nella germinazione dei semi di baobab Adansonia rubrostipa esistenti in Madagascar

 

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Venerdì, 25 Agosto 2017 19:00

Le tartarughe della principessa

 

Le tartarughe della principessa

 

 

Da circa 3 anni mi intrigava e affascinava il racconto della segretaria malgascia della nostra associazione “satellite” in Madagascar (Mahajanga Ville Propre).

Mi aveva parlato di una piccola isola sperduta a nord/ovest del Madagascar, di nome Ambari Otelo, dove viveva ancora una antica e vecchia principessa malgascia in compagnia di due enormi tartarughe che gironzolano libere in questa piccola isola.

Per due anni circa sono stato impegnato dalla costruzione del nuovo parco per la protezione delle specie endemiche terrestri del Madagascar e dal progetto per la salvaguardia delle Astrochelys yniphora,  ma a fine maggio 2017,  con  la fine dei lavori,  sfruttando l’occasione della visita dei miei nipoti,  decidiamo di partire per questa nuova avventura,  si perché qui ogni volta che si parte per un lungo viaggio è sempre un’avventura.   Noleggiamo un’auto da un amico e si parte…..  Il viaggio previsto è di circa 1500 km più un tragitto in battello non quantificabile.   I primi 160-180 km  li percorriamo velocemente e con strada in discrete condizioni,  ma poi inizia il dramma delle buche e dei dossi,  quindi la velocità è inevitabilmente ridotta e qualche volta non basta e ci finiamo dentro con lavoro duro per gli ammortizzatori. Ci inoltriamo nella regione “Sofia”,  con temperatura diurna abbastanza elevata,  sui 34°C  e come al solito la polvere sulla strada la fa da regina;  poche fermate per acquistare un po’ di frutta,  qualche gradevole distrazione come un rossissimo camaleonte che attraversa la strada

e via fino ad Ambanja,  dove cerchiamo un alloggio per almeno 3 giorni,   è difficile fare programmi quando non conosci bene dove devi andare.  Ambanja è una città polverosissima,  piena di risciò con la bicicletta, 

caratteristici proprio di alcune città della zona;  la città è piena di grandi alberi dove al di sotto di questi vi sono immense piantagioni di cacao,

pianta che ha bisogno di zone ombreggianti. Importante anche per pietre preziose e per la vaniglia, ma quest’ultima è diventata talmente cara che non conviene più acquistarla qui.  Ambanja è la più vicina al porto di Ankify, imbarco che in genere viene usato quasi esclusivamente per andare nell’isola più famosa del Madagascar,  Nosy Be.  Noi invece cerchiamo un imbarco per una piccola isola che pochi conoscono;  all’arrivo vicino all’imbarco ecco che veniamo assaltati dai soliti procacciatori di imbarchi e nonostante i tanti tentativi,  riusciamo a trovare solo una barca veloce che ci propone il viaggio ad un prezzo non tanto economico che non riusciamo minimamente a far diminuire.   Resici conto che non c’era alternativa,  decidiamo di imbarcarci.  Il posto è magnifico,  come usciamo dalla baia ci rendiamo conto del paradiso che c’è attorno,  tante isole e isolette con baie splendide e vegetazione rigogliosa ovunque.

I due “marinai” sono poco sicuri sulla direzione da prendere,  li vediamo tentennare e cerchiamo di precisare bene il nome dell’isola,  ma sembra che ce ne siano diverse con nomi molto simili e dopo qualche indecisione con qualche km percorso in direzioni opposte,  si decidono ad andare a sud come le indicazioni che avevo ricevuto.   Sfioriamo diverse isole medio grandi e ad un certo punto eccone una piccola, ma con una spiaggetta meravigliosa,  

un’acqua limpidissima e in mezzo alla vegetazione spuntavano fuori delle piccole capanne di pescatori e le loro piccole “lakana”(piroghe locali con il bilanciere a lato;  ovviamente il tutto con una marea di splendide palme da cocco che non possono mancare in queste isole semi-selvagge.

Ovviamente noi siamo partiti come privilegiati,  la mamma della nostra segretaria è una cugina della principessa e avevamo un permesso speciale per visitare l’isola,  con il vantaggio di trovare ad aspettarci proprio la mamma che ci avrebbe fatto da guida conoscendo la lingua francese e per metterci a conoscenza delle regole e usanze da rispettare nell’isola.     In genere i rari turisti che arrivano nell’sola hanno un permesso solo di un’ora,  ma a noi è concessa tutta la giornata.    L’isola è abitata da sole 42 “anime” compreso i tanti bambini che ci vengono subito incontro insieme alla nostra guida che ci accoglie con un caloroso benvenuto.  A parte la bella sensazione di essere in un posto dove pochissimi hanno avuto il piacere di visitare,  la splendida spiaggia, il mare incantevole con colori stupendi, la vegetazione lussureggiante con tantissimi lemuri che sembrano ti osservino sorpresi, 

la sensazione di leggerezza ti da anche una certa calma interiore. Qualche pollo che scorazza sotto alle palme,  ma soprattutto tanti lemuri che qui sembrano i gatti della casa.  Una breve indicazione di cosa dobbiamo rispettare, soprattutto alcune zone considerate dai locali sacre e off-limit per i turisti  e subito che parto all’attacco per trovare le due tartarughe giganti dei tanti racconti che mi faceva Geno, la segretaria.   Per la ricerca mi appioppano un ragazzino che ovviamente non capisce una parola di francese, ma la prima tartaruga è facile da trovare,  rilassata sotto un grande albero,  direttamente sul mare,  in una zona dove ci sono grandi sassi rotondeggianti e scuri,  tanto che inizialmente è difficile da individuare.  

Stupenda,  di medie dimensioni,  è una femmina di Aldabrachelys gigantea,  non endemica del Madagascar,  ma a prima vista in ottime condizioni, con carapace sviluppato molto bene,  liscio e quasi perfetto.  Come quasi tutte le grosse tartarughe,  se strofinata sul carapace nella parte sopracaudale,  si eccita e alza per farsi ammirare in tutto il suo splendore;  ovviamente,  come la maggior parte della specie,  ama  farsi accarezzare sotto al collo e spesso nella parte dietro della testa.  Verifico alcune sue feci in zona e vedo che sembrano perfette,  piene di fibre,  il che spiega la perfezione del carapace.   Dopo una mezzoretta passata a fare foto e video,  decido di cercare anche l’altra,  che mi dicono essere più grande,  ma la ricerca si preannuncia più difficile,  al punto che il nostro accompagnatore comincia a stancarsi e vorrebbe lasciare perdere.   Esiste però un rimedio efficacissimo;   dico a mio nipote che mi sta seguendo che conosco un metodo che entro due minuti ci avrebbe fatto trovare la tartaruga:  offro 3000 Ariary (soli 90 centesimi di euro) al ragazzino che aumenta vistosamente la ricerca e poco oltre al minuto la tartaruga spunta fuori miracolosamente……..

Un’altra bellissima femmina di Aldabrachelys gigantea

che sta brucando erba fra due capanne del piccolo villaggio,   calmissima, che si lascia fotografare senza il minimo problema;  qui sono abituate a vivere vicino all’uomo che però non le importunano e soprattutto la loro fortuna è data dal fatto che è evidente che hanno un’alimentazione ottima data dal fatto che nessuno si cura di loro,   scorazzano liberamente mangiando quello che vogliono,  con prevalenza di erbe ricche di fibre.  Poi mi  dicono che durante la stagione delle piogge spariscono,  si inoltrano nella parte più alta dell’isola dove la vegetazione è più intensa e intricata.

Ci fanno fare una visita al villaggio,  dove come luogo più importante ci mostrano una capanna con un recinto chiuso con un grosso lucchetto,  dove dentro c’è solo un pozzo,  ma importantissimo per la preziosa acqua dolce che disseta tutto il villaggio.

Nel frattempo si è fatto quasi mezzogiorno e approfittiamo dell’arrivo di una piroga con molto pesce fresco,  con poco più di 4 euro ci riempiono un grosso contenitore di diversi tipi di pesce fresco

e un local con soli 1,5 euro ci prepara una grigliata magnifica. 

In attesa di gustarci il pesce grigliato, ci divertiamo un poco con i tanti lemuri del villaggio,  attirati dalle banane che abbiamo tirato fuori,  che ci attaccano letteralmente fino a costringerci a mollare le banane.  La sensazione di avere addosso i lemuri è fantastica,  sono di una leggerezza e delicatezza inspiegabile,  pur sapendo che se vogliono sanno difendersi molto bene con i lunghi denti affilati che hanno;  ho visto una volta in azione un attacco ad una bambina da parte di una femmina di lemure che solitamente stava in cattività proprio perché non amava i bambini,  cosa inspiegabile, ma forse da piccola ha subito dei maltrattamenti,  la bimba fra i tanti urli,  fini con una bella ferita profonda e nessuno di noi fece in tempo a fare nulla,  la scena fu rapidissima.

Dopo esserci riempito per bene le pance e un bagno nelle acque limpidissime,   ci fanno sapere che è possibile far visita alla principessa;  ci inoltriamo dentro al villaggetto e d’avanti ad una delle capanne si presenta una vecchietta non certo in abiti reali,  ma che da come abbiamo capito ha ancora un certo potere e non solo nell’isola ma anche su quelle vicine,  in pratica funge da autorità locale dove in fondo la polizia o i gendarmi non ci sono.  In fondo era proprio perché il territorio era talmente vasto e frastagliato che una volta c’erano diversi re suddivisi in zone del Madagascar.

La principessa ci parla un po’ della sua isola,  e alla domanda di quanti anno le due tartarughe ci racconta che lei se le ricorda da sempre,  non sa dargli un’età,  ma poi pensandoci bene,  dice che da molto piccola,  suo padre (il principe o re,  non ho capito),  un giorno arrivò con 3 tartarughine piccole,  ricevute in dono,  e una negli anni morì schiacciata da un grosso sasso.   Poi ci disse che altre due tartarughe uguali furono regalate ad un altro “reale” che abitava più a sud,   indicandoci la strada fra le isole,  ma che non seppero comprendere neppure i nostri due marinai…….   La principessa ci disse che non si erano mai riprodotte perché erano due maschi……….   ovviamente io gli dissi che si sbagliava,  erano due bellissime femmine.

Dopo le foto di rito con la principessa

e un regalo  (in moneta) sia a lei che alla sua cugina, altre due foto alla prima tartaruga

e  ci congediamo da tutti gli abitanti del villaggetto e di li a poco riprendemmo il viaggio di ritorno verso il porto di Ankify.  

Il giorno successivo approfittiamo per visitare la parte sud di Ankify perché mi avevano detto che c’erano delle spiaggette quasi deserte di notevole bellezza e così fu, sparse lungo una pista che costeggiava la costa solo per alcuni chilometri.  Ogni spiaggia era diversa dalle altre,  con sabbie, rocce e colori differenti, il tutto in totale assenza di persone, 

nonostante nelle baie c’erano sempre diverse case o villette chiuse come se fossimo fuori stagione;  è vero che da li a poco sarebbe iniziato l’inverno malgascio,  ma era ancora molto caldo e l’unico ristorante che trovammo, poi abbiamo capito che era chiuso e lo aprirono per noi.  Il  pranzo non fu nulla di speciale,  ma ci rallegrò un gruppo di lemuri che ci fece visita, 

non spaventati dalla nostra presenza.           

Al ritorno ci aspettò ancora un’altra dura giornata di macchina,  ma soddisfatti da questa bella escursione anche se di pochi giorni.

Come al solito il Madagascar continua a stupire……

Alla prossima avventura!

 

 

 

Pubblicato in TCI
Martedì, 06 Ottobre 2015 08:35

Progetto TCI Angonoka 2015

 

Quest’anno era in programma una visita al centro di riproduzione di Ampijoroa (parco di Ankarafantsika, Madagascar) per consegnare alcune parti di ricambio, di riserva,  per la nostra incubatrice (ventole, cavi riscaldanti ecc.),  in caso di guasti imprevisti perché qua non si trovano e con un’incubatrice che lavora quasi 11 mesi continuativi, il rischio c’è.  Ma quest’anno è saltato fuori un nuovo problema molto grave;  dopo le piogge che sono state ben oltre alle medie stagionali, sono iniziate a morire molte piccole Angonoka nate nel 2014  e qualcuna del 2013  e poco prima di organizzare la spedizione al centro di riproduzione,  mi arriva da parte del Durrell la richiesta di aiuto per una visita urgente per analizzare il problema e per cercare di individuarlo.

Nelle precedenti spedizioni avevo già notato alcuni particolari che non mi piacevano molto sul modo di allevare le baby, all’interno della nursery protetta da fitta rete per evitare i topi,  quindi come prima ipotesi mi è balzata in testa l’ipotesi delle dimensioni dei recinti e del substrato,  ma all’arrivo al centro, analizzando tutto nei minimi particolari,  pur consigliando di aumentare le dimensioni dei recinti e migliorare il drenaggio,  i sintomi delle baby Angonoka mi hanno fatto pensare ad un problema di alimentazione,  causato da dosi eccessive di Carbonato di Calcio o prodotti similari,  in quanto le piccole presentavano una crescita decisamente anomala con le suture fra gli scuti molto evidenziate mentre gli stessi scuti rimangono bassi al punto che i carapaci sono schiacciati e bassi, con conseguente carapace e piastrone molli,   niente a che vedere con il caratteristico carapace a palla che hanno abitualmente queste stupende piccole.

Sintomi uguali ad un problema che ebbi molti anni fa, con delle baby Testudo marginata e Testudo hermanni dove purtroppo per eccesso di somministrazione di Carbonato di Calcio, mi morirono una sessantina di piccole.   Al momento della mia visita era presente la veterinaria del Durrell

che effettuava dei controlli pesando le baby in questione e somministrando delle vitamine alle più gravi che sono state contrassegnate con vernice rossa. La veterinaria mi ha detto che sono stati eseguiti degli esami batteriologici e parassitari all’istituto Pasteur di Antananarivo (la capitale) e che l’unica cosa strana che hanno verificato è il colore giallastro che presentava il fegato delle baby analizzate.  Lei sospettava di un avvelenamento da sostanze chimiche nel cibo,  ma dai casi che ho conosciuto nel tempo,  le morie per veleni sono veloci, in pochi giorni muoiono e non dopo mesi e non hanno il tempo per modificare in quel modo i carapaci.     Altra mio pensiero è rivolto ad un problema di Flagellati  ma la veterinaria mi ha detto che ha somministrato del Flagyl  per 10 giorni.

Nel frattempo ho aperto via mail una discussione con gli amici allevatori più esperti e veterinari per sentire i loro pareri;  ad esempio l’amico Maurizio Bellavista ipotizza una forte infestazione di Protozoi  che in effetti creano gli stessi sintomi dell’eccesso di Carbonato di Calcio  e sostiene che se il medicinale usato non viene somministrato in forti dosi, non avrà effetto.  

Ritengo molto importante la segnalazione da parte del mio amico direttore del centro (Ernest Bekarany) , che mi dice che le baby del 2014 sono tenute in due recinti separati ma che all’interno di ciascun recinto, non hanno separato gli esemplari con gravi sintomi e che gli esemplari ammalati non stanno aumentando di numero; stanno continuando a morire quelle con i forti sintomi ma non se ne ammalano di nuove pur essendo insieme .  Questo mi fa pensare che se fosse una forte infestazione di Protozoi, piano piano si ammalerebbero tutti gli esemplari dello stesso recinto,   quindi ritorno a pensare al problema di eccesso di somministrazione di Carbonato di Calcio,  mia prima ipotesi, avvalorata anche dalla conferma della veterinaria e del direttore del centro che per diverse settimane ne hanno somministrato sul cibo, spargendolo a mano;  pratica deleteria in quanto in questo modo, il solo fatto di vedere tale polvere sul cibo,  vuol dire che se ne sta somministrando una dose esageratissima e questa potrebbe avere mandato in crisi il sistema di assimilazione del calcio e quindi il fegato.

Ho inviato un mio articolo di segnalazione al responsabile Darrell,  che provvederà a segnalare la mia analisi ai loro tecnici e veterinari. Per il momento so solo che alle piccole in questione da due anni è somministrato del Repkal + vitamina B, e guarda caso sono proprio gli anni delle baby ammalate.   Ora attendo una descrizione dettagliata di cosa è stato somministrato alle piccole e le rispettive dosi per meglio analizzare il tutto.

Al momento,  dopo le prime valutazioni,  sono propenso a pensare che le piccole Angonoka,  allevate in un clima abbastanza simile a quello della zona di origine (nel centro di Ampijoroa che dista circa 150 km dal parco di Soalala, zona di origine,  la temperatura media è leggermente inferiore, con il sole che entra meno ore in quanto sono presenti alti alberi),   se alimentate correttamente con cibi ricchi di fibre come le graminacee,  il problema non si ripresenterà .

Purtroppo però credo che per le piccole ammalate ci sia poca speranza di salvarle, piano piano peggioreranno fino alla morte (stiamo valutando come ultimo tentativo di consigliare di somministrare una forte dose di Flagyl ),  è solo una questione di tempo  .   Al momento ne sono decedute circa 45 e ne rimangono ancora una quindicina con i gravi sintomi sopra elencati.

L’unica cosa positiva, come dicevo sopra,  è che non ci sono nuove piccole che si ammalano.

Ma ritorniamo ad un altro degli obiettivi di questo viaggio che era la ricerca di una popolazione sconosciuta di Astrochelys yniphora,   segnalatami da una mia conoscente anziana,  che si riferiva ad una popolazione di “Angonoka” (questo è il nome delle A. yniphora dato dai local) diffusa nella sua terra di origine,   molti chilometri a nord,   dove nessuna segnalazione era mai stata fatta. 

Siccome il viaggio era molto lungo e impegnativo,  e per coincidenza lei doveva ritornare a fare visita a dei suoi parenti, proprio in questo territorio segnalato,  pur essendo un po’ motivato ed eccitato come si trattasse di una ricerca al tesoro in piena regola con tanto di mappa e punti di riferimento,   ho ben pensato di mandare lei in avan scoperta, pagandogli il viaggio col bus (qua i costi sono molto bassi)  e le sorprese non sono mancate.

Una volta arrivata sul posto, ci siamo mantenuti in contatto telefonico e nei pochi giorni di sua permanenza è riuscita a trovare 5 esemplari,  classificandoli sempre col nome di Angonoka.   A dir il vero dalle sue descrizioni avevo qualche dubbio,  che poi si è rilevato fondato ;   purtroppo non erano delle Angonoka ma bensì delle Kinixys

che si erano ambientate e diffuse .       E’ ormai chiaro che i local chiamano col nome Angonoka tutte le tartarughe di terra,  almeno nella parte centro nord del paese.  Rimane comunque un’altra segnalazione all’estremo nord della grande isola,  dove un particolare è molto importante:  quello che mi ha dato l’informazione parla di grosse tartarughe con lo scuto gulare molto pronunciato….. e sappiamo bene che solo le Angonoka ce l’hanno,  quindi la speranza di un nuovo “tesoro” rimane ancora intatta,   anche se la nuova avventura è rimandata al prossimo anno.

Altra specie non endemica del Madagascar che si è ben diffusa sono le Pelomedusa subrufa,  che ho trovato in quantità nel laghetto artificiale dietro a casa. 

 

 

Spesso se ne trovavano semplicemente mentre si scavava dei buchi nella sabbia;  indice che nella stagione secca si sotterrano, per una sorta di estivazione in attesa della stagione delle piogge,   il che vuol dire  che rimangono in attesa almeno 7-8 mesi.  Caratteristica di queste tartarughe è il forte odore sgradevole che emanano ed è forte vedere come se lasciate in campo aperto, con quanta rapidità si sotterrano.

Ma le sorprese non finiscono mai !

Una sera incontro un amico francese che mi dice che vuole donarmi le sue tartarughe,  perché gli rovinano il prato……. e non mi faccio attendere.   Sapendo cosa aveva nel suo giardino, di buon mattino parto col carretto attaccato al mio quad,   sapendo che sicuramente avevo bisogno di molto spazio disponibile…….   Il dono era veramente gradito:  4 Astrochelys radiata adulte, 

molto belle,  di cui un maschio di oltre 15 Kg con un un buco sul carapace, ma la ferita è vecchia e ben rimarginata, 

anche se al momento di donarmele ha avuto un piccolo ripensamento e 3 le ha tenute lui. Una femmina stava deponendo le uova

e quindi sono andato il giorno successivo a ritirarla.  Anche se su 4 esemplari 3 sono maschi, è comunque una bella sorpresa e un bel regalo.   Ovviamente lì le A. radiata sono tenute nei giardini come da noi lo sono le Testudo;  con la differenza che non esistono documenti…..   Il giorno stesso mi sono dovuto attivare per costruire un recinto per le nuove ospiti,  utilizzando materiali naturali come i pannelli di foglie di ravnala (chiamata palma del viaggiatore) che i malgasci utilizzano per costruire i muri delle capanne abitative più povere. Con l’aiuto del guardiano alla fine della giornata avevamo realizzato un bel recinto se pur provvisorio,

già dotato di vasca in cemento per l’acqua.   La nuova casa è piaciuta alle tartarughe e si sono messe subito all’opera.    

La speranza è che un domani questi esemplari possano essere inseriti nel grande terreno dietro casa (5.000 mq),  una volta che il proprietario costruisca la recinzione come da programma.   L’indomani,  il mio vicino di casa,  un italiano residente,  quando vede il bel recinto,  mi chiede se le sue 4 piccole A. radiata possono anch’esse inserite li dentro e così sono diventate 8; 

niente male !

Spesso ricevo segnalazioni di qualche residente che detiene tartarughe e appena possibile faccio subito una visita;  la speranza è sempre quella di trovare qualche Angonoka da poter “salvare”, ma quasi sempre si tratta di A. radiata che come al solito sono alimentate malissimo,  a frutta e riso….

Come il bel esemplare che vedete in foto 27 che è detenuto in un cortiletto sudicio e pieno di plastica, insieme alle galline,  nutrito quasi esclusivamente con frutta …….. e nonostante gli ho spiegato molto bene cosa deve mangiare,  sono pronto a scommettere che continueranno a dargli solo frutta …….. povera tartaruga.

Altre volte mi segnalano di qualcuno che vende tartarughe,  come il caso di un ragazzo che mi presentò una bellissima baby A. radiata che era leggera come una scatola vuota,  sintomo che non mangiava da molto tempo;  io mi finsi interessato all’acquisto, ma questo sparì in fretta .

Negli ultimi 2 anni le offerte di vendita delle tartarughe sono calate nettamente,   tanto che viene da pensare che sia maggiore il controllo da parte delle autorità,  ma io invece credo che la ragione purtroppo sia un’altra:  in natura ce ne sono sempre di meno…...

 

E anche per quest’anno la nostra avventura svolge al termine,  ma come al solito è stata una bellissima esperienza indimenticabile.

A presto Madagascar !

Agostino Montalti

Pubblicato in Progetto TCI Angonoka
Sabato, 13 Dicembre 2014 16:30

Progetto TCI Angonoka 2014

Resoconto missione

  

Il 16 agosto arriva una mail da Ampijoroa, nata la prima Astrochelys yniphora !

 

 

Che bello,  penso subito che quest’anno sarà un anno con tante nascite e soddisfazioni …… ma attendiamo gli sviluppi.

Poco tempo dopo arriva un’altra mail,   c’è un problema,    l’efficientissimo(fin’ora)  sistema di allarme da noi installato, ha un problema, non riescono ad inserirlo, scatta subito in allarme e quindi non è utilizzabile.  Il sistema attuale è formato da 4 settori che si sono sommati negli anni,  in quanto le zone da proteggere sono aumentate un po’ alla volta.  Le comunicazioni per fortuna sono più veloci del solito,   sempre via mail in quanto nel centro di riproduzione di Ampijoroa (che si trova al’interno della foresta di Ankarafantsika, Madagascar) non arriva il telefono,  ma è presto spiegato il motivo,   sono riusciti a installare un ruter Wi-Fi su una grande pianta,

dove da lì si riesce a ricevere un debole segnale di un trasmettitore che è stato installato per servire un villaggio a 5-6 Km di distanza.  Dopo 2 giorni di tentativi, riesco, dall’Italia a far isolare il settore in avaria e far partire gli altri tre, almeno provvisoriamente;   per fortuna quello difettato è l’ultimo installato che protegge la zona di quarantena e quindi meno importante degli altri 3 che proteggono una unica grande recinzione.

Siccome in settembre era prevista la nostra visita,  la riparazione è di conseguenza programmata a fine settembre.

In Italia prepariamo una scheda elettronica di ricambio,  in caso sia la scheda difettosa,  anche se pensiamo che le probabilità maggiori siano dovute a dei cavi elettrici sotterrati.

Qualche giorno dopo la nostra grande mostra (TARTARUGHE BEACH),  siamo nuovamente in partenza per il Madagascar ed una volta arrivati, con calma prepariamo i materiali necessari per la riparazione.

Il 29 settembre si parte per la foresta,  portandosi dietro anche un grosso rotolo di buon cavo elettrico.   Le prime prove rilevano subito il mal funzionamento di due cavi che servono per i proiettori a Led e per il contatto di protezione della porta della quarantena;  non sappiamo se sia dovuto a dei topi o con molta probabilità alla scarsa qualità dei cavi di produzione cinese………  Sta di fatto che una volta sostituiti i cavi

sembra che funzioni,  l’allarme si inserisce regolarmente,   ma alle prove dei test qualcosa non funziona,   la scheda elettronica della quarantena non rileva le vibrazioni della rete,   cioè quello per cui è nata.  E’ stata l’ultima scheda inserita,  quindi la più nuova,   ma poco conta,   la sostituisco con una nuova di riserva e finalmente tutto funziona regolarmente.

Ormai si è fatto sera,  manca poco al calare del sole e ci rilassiamo un poco;   inizio a chiedere se l’incubatrice funziona regolarmente e il responsabile Ernest mi dice che dopo la nascita del 16 agosto,  non ne sono avvenute altre,  cosa che mi fa subito preoccupare e cerco di chiedere particolari sul funzionamento,  solo allora mi espone i suoi dubbi,   mi dice che la notte c’è troppa umidità all’interno dell’incubatrice !   Mi allarmo subito,  il fatto è molto grave e serio. Purtroppo mi dice che è così da diversi mesi………. Cavolo, queste cose non devono succedere,    se c’è un problema devono avvisare subito,    spesso una soluzione temporanea si trova,   così si evita il peggio,   ma se non si interviene si rischia di compromettere tutto il lavoro di un anno.   Purtroppo il nuovo sistema di deumidificazione che sembrava efficientissimo,   non funzionava più,  si è rotto un componente elettronico, anche se nuovissimo,  si chiama cella di Peltier,   serve per raffreddare un’aletta di alluminio che col passaggio di aria forzata produce gocce di acqua,   queste gocce vengono poi convogliate all’esterno e di fatto riduce l’umidità togliendo acqua all’interno dell’incubatrice;   un sistema semplice, a basso consumo ed efficace,  ma non doveva rompersi……. Purtroppo!

Il giorno dopo ritorno in città,   e con l’aiuto dell’amico Maurizio Bellavista,  pensiamo ad una soluzione provvisoria,   una piccola ventola che forzi aria dall’esterno,  così riduce la percentuale di umidità velocemente.   Qua il pezzo di ricambio è impossibile da recuperare e se me lo devo far arrivare dall’Italia passa probabilmente più di un mese,    troppo se voglio sperare di salvare qualche uovo.

Purtroppo sono poco ottimista,   credo che la lunga permanenza di livelli molto alti di umidità all’interno dell’incubatrice abbia compromesso tutte le uova.

Nel frattempo ho acquistato anche un ventilatore da posizionare vicino il compressore del refrigeratore,  in quanto si riscalda troppo e tende di conseguenza a raffreddare poco.

In attesa del successivo appuntamento per il secondo viaggio in foresta,   porto avanti un altro piccolo progetto che vorrei fare;   ripulire le spiagge della città,   sono veramente uno schifo,  piene soprattutto di plastica.  La plastica,  per prima cosa uccide le tartarughe marine e siccome non si distrugge mai, si polverizza, viene mangiata dai piccoli pesci che a sua volta vengono mangiati dai pesci più grossi,  e all’apice della catena alimentare ci siamo noi umani che ce la mangiamo, con la conseguenza di tanti tumori.

L’idea mi è venuta in quanto nella spiaggia che frequento conosco quasi tutti i bambini del piccolo villaggio di pescatori e vorrei insegnargli a rispettare l’ambiente,  cosa sicuramente quasi impossibile in Madagascar,  ma mi piacciono le sfide impossibili e credo che solo partendo dai bambini si può ottenere qualcosa,   i grandi sono irrimediabili,  gettano tutto, dappertutto.  Acquisto quindi 40 T-Shirt di color arancio,  dove gli faccio stampare la scritta: “association Mahajanga ville propre” (associazione Mahajanga città pulita)  e do appuntamento a tutti i bimbi la domenica 5 ottobre,  ovviamente con il permesso di alcuni genitori.  Distribuisco le 40 T-Shirt; impresa mega titanica,  tutti le vogliono,  grandi e piccolissimi,  ma le taglie acquistate sono per bimbi di 9-12 anni.

Avevo acquistato anche dei grossi sacchi per la raccolta dell’immondizia e partiamo,    di immondizia ce n’è una quantità esagerata e a fine mattinata,  quando vedo i bambini che iniziano a dare segni di cedimento, dovuto al caldo che sta aumentando,   ci fermiamo,  abbiamo raccolto una trentina di grossi sacchi, pieni soprattutto di plastica,   il tutto portato nel contenitore dell’immondizia poco fuori al villaggio.

E’ bello vedere i volti degli adulti increduli su quanto facciamo,  alcuni però si complimentano con noi e soprattutto i pochi bianchi residenti, se pur stupiti ci ringraziano.  A fine lavoro, metto tutti i bimbi in fila e gli distribuisco caramelle varie, gomme da masticare, biscotti e ciupa-ciupa.  Ovviamente è il momento che preferiscono !

Nel frattempo riesco a farmi ricevere dal nuovo sindaco della città,  che sembra compiaciuto dell’idea,  ora vedremo però che ci darà una mano,   gli ho chiesto che renda obbligatorio l’installazione di un po’ di bidoni per l’immondizia, inesistenti qui sulle varie spiagge,  altrimenti quando me ne andrò, il mio lavoro non sarà servito a nulla,  sarebbe una “meteora” e tornerebbe tutto come prima in pochi giorni.

Attendo quindi che vengano a riprendermi in città per fare le nuove modifiche all’incubatrice.

Seconda puntata in foresta,  il 9 ottobre e subito all’arrivo almeno una buona notizia,  vediamo due uova bucate,  stanno per nascere due baby,  di cui una ancora con il sacco vitellino .

Inizio subito a fare le modifiche,  è primo pomeriggio e dentro la stanza dell’incubatrice c’è un caldo infernale,  quasi 38°C, ma soprattutto senza un filo di aria, il che da una sensazione di gran caldo.   Prima cosa installo la ventola per far circolare più aria sul compressore e il radiatore del sistema di refrigerazione che si scalda veramente troppo e nel fermare il tutto,

mi accorgo che il sistema di raffreddamento ha superato la soglia di temperatura massima per cui lo scambiatore è in tilt e non produce freddo.  Una volta installata la ventola provvedo a raffreddare il compressore con acqua fresca (per modo di dire,  qua c’è solo caldo), con l’aiuto di una spugna  e quando sento la temperatura del compressore diminuita,   almeno ora ci si tiene le mani sopra,   accendo il programmatore e il sistema di raffreddamento inizia a funzionare regolarmente;  ora con la ventola non dovremmo più arrivare al punto di stallo del compressore.

Poi installo una ventolina a 12Volts (l’ho cercata a 220Volts in città ma non l’ho trovata) con il suo alimentatore,  che viene attivata quando sale l’umidità.

Immettendo piccole quantità di aria,   oltre ad abbassare l’umidità,  crea ricambio di aria che fa solo bene alle uova.

Ora attendiamo che la temperatura e l’umidità vadano a regime e testiamo bene tutto il sistema. Tutto funziona benissimo,   ci rimane di verificare il funzionamento nelle varie ore della giornata. 

Anche la mattina successiva verifichiamo che  i dati impostati sono regolati benissimo,  quindi ora funziona tutto bene.    Rimane solo la speranza che non siano troppe le uova compromesse,  ma questo lo sapremo più avanti.   Mi resta un po’ di tempo prima della partenza per il rientro in città e faccio un po’ di foto molto interessanti,  fra cui riprendo l’accoppiamento di due adulti di Astrochelys yniphora,

un carapace vuoto

e anche alcuni baby di Eritmochelys madagascariensis di circa 2 anni di età.

Un amico mi chiama e mi spiega che in città c’è un francese che sta costruendo un parco con tanti animali,   in effetti era da tempo che sentivo parlare di questa cosa,  ma ora è lui che chiede collaborazione per le tartarughe e quindi prendiamo appuntamento per una prima visita. Le tartarughe non sono tante,  soprattutto Astrochelys radiata

adulte e tre baby, tutte bellissime,  ed una bella femmina di Astrochelys yniphora 

di 35 anni, rimasta sempre sola,  oltre ad alcune Pyxis aracnoides

e P. planicauda.

 

La cosa che mi piace è che il parco è costruito a scopo didattico e di conservazione,  in futuro quando sarà pronto, tutte le scolaresche potranno visitarlo gratuitamente,   quindi ho garantito il mio aiuto a migliorare la sezione delle tartarughe.   Ho già dei conoscenti che detengono alcune Astrochelys yniphora che mi hanno autorizzato a fare un tentativo di accoppiamento.  L’unico dubbio che ho è dovuto al fatto che le 3 A. yniphora detenute in una abitazione privata, sono due femmine ed un maschio

e da quando è morto il secondo maschio, così mi dicono i proprietari, finiti i combattimenti per stabilire la gerarchia, il maschio superstite è molto meno attivo (ovviamente questo è risaputo ed è solo una conferma).  Nella stessa abitazione dove sono detenute le 3 Angonoka,  ci sono anche 5 bellissime A. radiata adulte

ed ho fatto un controllo a due nidi di uova deposte da due femmine di A. radiata,  ma purtroppo in uno non c’era nulla e nell’altro ce n’erano 4 fradice ed una non fertile. La seconda deposizione era troppo vicino ad una piccola pianta che il guardiano annaffia regolarmente e quindi il terreno sabbioso era troppo umido, causando la morte delle uova.

Nel frattempo domenica 12 effettuiamo la seconda giornata della raccolta della plastica,  con oltre trentacinque sacchi raccolti.   Lunedì devo mettermi in contatto con il vicesindaco e vedremo che intenzione hanno,    io nel frattempo cerco di fare un preventivo per installare un grande cartellone da posizionare in entrata del villaggio,  che scoraggi a gettare l’immondizia in spiaggia e a mare.

Siamo ad inizio novembre e arriva la notizia che le piccole nate in incubatrice sono 10,

almeno non è così male come temevo e poi rimangono ancora altre 12 uova in incubatrice ;   inizialmente ne sono state inserite una trentina,  ma alcune si sono rilevate non fertili e sono state tolte.

Le domeniche di raccolta sono diventate 5 e la media dei grandi sacchi di plastica raccolta varia da 30 a 37,   non male;   purtroppo però il comune non ha ancora fatto nulla, se non di passare al sabato a svuotare il grande contenitore dell’immondizia fuori villaggio.  A breve mi rimetterò in contatto coi responsabili in quanto sto cercando di fare una riunione con tutti i pescatori e con chi lavora in spiaggia,   anche se so che è un’impresa impossibile,  voglio spiegargli quanto è pericolosa la plastica in mare,  di quanti pesci e tartarughe uccide e che di fatto preclude il futuro dei loro figli.  Continuo ad avere poca fiducia negli adulti, in quanto i malgasci non pensano mai a domani, qui conta solo il presente.   Comunque nel frattempo ho acquistato 50 cappellini per i miei bimbi ed altre 10 T-Shirt e  mi sto organizzando per fare costruire un carretto da collegare al quad per trasportare meglio i sacchi di plastica raccolta.

Anche se non sono pochi quelli che mi dicono che sto combattendo una guerra persa,  rimango dell’idea che se salvo anche solo una tartaruga marina,   è comunque un successo !!!!!

Una domenica mattina, durante la raccolta della plastica, mi si avvicina un adulto chiedendomi se sono interessato ad un adulto di Astrochelys yniphora…….. ovviamente alzo immediatamente le “antenne”  e mi fingo molto interessato all’acquisto.  Il prezzo parte già da una cifra molto bassa, il che mi fa dubitare fortemente ma qua le sorprese sono sempre all’ordine del giorno;   siccome sono al lavoro con oltre 40 bimbi, che non posso mollare, decido di prendere un appuntamento per la mattina successiva,  però poi nessuno si è fatto vivo all’appuntamento……  Peccato,  avrei dovuto mollare tutto e correre a vedere l’esemplare che forse durante il giorno è stato venduto a qualche straniero ed ora sarà in un giardino a mangiare schifezze di ogni tipo.

Nel frattempo il carretto è pronto e i lavori di raccolta plastica delle domeniche vanno più spediti,  è solo un po’ difficile tenere sotto controllo tutti i bambini.

Mi è arrivata notizia che in un giardino privato ci sono alcune tartarughe fra cui una molto chiara,   quindi vedrò se riesco a verificare la notizia,   potrebbe essere una A. radiata chiara o magari un’altra A. yniphora da salvare .

Tanti sono gli animali che in qualche modo incontro,  e specialmente dopo le prime piogge, serpenti e camaleonti bellissimi,  ma uno mi ha particolarmente colpito, un piccolissimo lemure che credo sia un Microcebus, lemure notturno,

aggrappato ad una T-Shirt di un malgascio, purtroppo legato con una piccola corda,  che pena…. 

Le due tartarughe in realtà sono come quasi sempre delle Astrochelys radiata,  anche se una di recente è sparita dal giardino privato.  Il maschio è rimasto ma di una dimensione notevole e con evidente piramidizzazione,  segno di eccesso di alimentazione. Poco dopo passo da un altro amico e trovo un’altra A. radiata,  abbastanza bella ma anche lei alimentata malissimo,  almeno ora spero che inizino a dargli alimenti giusti o quasi sempre a non dargli nulla, visto che spesso sono in grandi giardini e quindi trovano sufficienti erbe sane.

Il 28 novembre ho in programma, alle 17 una riunione con tutti i pescatori ed operatori della spiaggia del villaggio dove risiedo temporaneamente. Arrivo puntuale e non c’è ancora nessuno,   temo un flop,  ma piano piano iniziano a spuntare fuori tanti personaggi veramente degni di un film,   gente con forti segni del duro lavoro di pescatori, molti sono anziani e sono le persone più importanti del villaggio.  Almeno sono venuti a sentire cosa ho da dire a loro……  in fondo in due mesi di raccolta plastica coi loro figli e nipoti mi sono guadagnato la loro fiducia e non è facile che la diano ad un bianco. In un’ora circa gli spiego,   con l’aiuto di un malgascio che traduce in lingua locale,   il perché della pericolosità della plastica sia per i pesci, per le tartarughe marine e per noi umani e cerco di fargli capire che ora il futuro dei loro figli e nipoti dipende da loro e che devono iniziare a fare qualcosa,  in fondo poi non gettare la plastica, raccoglierla e portarla nel contenitore apposito non è così difficile anche se da sempre sono abituati a viverci sopra.  Ora attendo che prendano una decisione,   se si impegnano,  il TCI gli donerà una decina di grossi bidoni per la raccolta.     Certo che questo è l’ultimo tentativo,  sono poco fiducioso,  ma aspettiamo,   ho visto tante gente continuare a parlare fra loro, segno che almeno ho scosso un po’ le coscienze.  

Arriva anche l’ultima domenica di raccolta plastica coi miei bimbi;  dall’inizio il numero si è un po’ ridotto ma va bene comunque,  sono sempre molto efficienti,  anche se per riempire più velocemente i sacchi, tendono a tralasciare gli oggetti piccoli.  Lo fanno perché in fondo per loro rimane comunque un gioco (e così deve essere) che è collegato al fatto che chi riempie un sacco, ha diritto ad un giro sul quad fino al contenitore dell’immondizia che si trova fuori villaggio.   L’ultima mattina ne raccogliamo un po di meno,  ma in verità dopo oltre due mesi di raccolta, la quantità di plastica in spiaggia è ridotta considerevolmente;  lo dice il fatto che questa volta a fine lavori raggiungiamo una distanza molto superiore al solito,  mai raggiunta e un ristorantino sulla spiaggia premia i miei bimbi con bibite varie e sciroppi preparati al momento.  Tutti sono irrequieti,  sanno che finito il lavoro ci sarà la festa;   ho acquistato circa 25Kg di litchi (un frutto tipico della grande isola) ma che essendo prodotto sulla costa est, qui ha dei prezzi alti per loro.  La festa è arricchita da tante bibite di cui loro vanno matti ,  con distribuzione di tantissimi dolci, snack e grossi palloni gonfiati,  marcati TCI ……….

Riesco a saziarli tutti,  tanto che i dolci non li mangia quasi nessuno,  ma difficilmente arriveranno a sera. 

Ricevo l’OK per i bidoni e ne acquisto 10 in città.  Inaspettatamente qualche donna che gestisce gli ombrelloni e per prima proprio quella che ritenevo la più antipatica,  mi viene a ringraziare,   ora speriamo che non li rubino e soprattutto li utilizzino bene.  E’ rimasto poco tempo e quindi rinuncio all’idea di verniciare i bidoni e mettergli il logo sia della nuova associazione per la raccolta plastica (Association Mahajanga Ville Propre) che del TCI,   magari un altro anno.

Altra visita ad un francese che conosco, perché mi dice che ha delle tartarughe.  Purtroppo mi ritrovo 3 esemplari di Astrochelys radiata di cui uno adulto e due subadulti,

in un piccolo recinto di cemento,  con una piccolissima pozza d’acqua puzzolente,  alimentati malissimo, con tutte le porcherie possibili.  Mi sembra di vedere le tante situazioni che negli anni mi sono capitate in Italia,   esemplari in recinti piccolissimi e alimentate da schifo,  solo che qui in genere ci sono delle Astrochelys radiata.  E le sorprese non finiscono qui,  nella piccolissima pozza d’acqua spuntano fuori 3 Pelomedusa subrufa.

Come al solito provo a spiegare al guardiano e al padrone come dovrebbero essere alimentate,  ma mi da la sensazione che una volta uscito da lì,   le tartarughe continuino a mangiare le stesse cose,  visto che l’addetto è il guardiano ……. I malgasci hanno la “testa dura”.  Prima di partire dalla casa, vedo uno spettacolo veramente triste,   due lemuri in una gabbia piccolissima,  messa su un balcone,  come arredamento che io ritengo “macabro”.

Resoconto  delle nascite nel centro di riproduzione di Ampijoroa, al momento della nostra partenza:  11 baby in incubatrice (ma ci sono ancora uova all’interno)  e 53 in terra, con alcune uova ancora da schiudere.  Tutto sommato ottima stagione.

Nel frattempo una collaboratrice della nuova associazione,  una signora anzianotta, mi parla di una popolazione di Astrochelys yniphora nella sua città di origine,  che rimane molto più a nord di tutte le zone conosciute,   ovviamente la cosa mi incuriosisce non poco;   mi sono assicurato di spiegargli bene che non si sbagli a confonderle con altre specie ma lei insiste di conoscere bene le Angonoka e che la ci sono ancora di tutte le dimensioni. Per sicurezza l’ho chiamata a casa per fargli vedere le foto delle Angonoka e delle A. Radiata e lei insiste che sono Angonoka e che la le chiamano tutti così;   mi rimane un unico piccolo dubbio che le chiamino così ma che siano un’altra specie,  anche se è difficile che sia una popolazione di A.radiata ,  che sono originarie dell’estremo sud del Madagascar.      Sarebbe una bella scoperta,   una piccola popolazione rimasta isolata ;   la cosa verrà sicuramente valutata dal TCI.

 

Agostino Montalti

Pubblicato in Progetto TCI Angonoka
Lunedì, 30 Giugno 2014 14:58

Cronache dal Madascar - Parte 2

Cronache dal MADAGASCAR, la nostra avventura

 

GIORNO 8

Ranohira è una piccola cittadina con poche case e molte capanne e con qualche caratteristico negozietto fra cui l’immancabile “carne fresca”(foto65).Gli abitanti sono famosi anche per i sgargianti colori dell’abbigliamento(foto66). Intera giornata dedicata al Parco Nazionale “Isalo”, considerato uno dei più importanti ed affascinanti del Paese per le sue formazioni rocciose(foto67-68-69) e per i grandi canyon attraversati da piccoli corsi d’acqua, oltre che per le piscine naturali formatesi con l’erosione del tempo. Veniamo accompagnati da una nuova guida in un percorso di trekking della durata complessiva di circa 8 ore che ci riferiscono particolarmente impegnativo per la distanza e le alte temperature sotto le quali dovremo camminare; perciò decidiamo di suddividerlo in due parti in modo da dare la possibilità a tutti di partecipare decidendo, a metà percorso, se continuare o rientrare in albergo. Martina e Viviana, le solite pigrone, scelgono l’alternativa nr.3: un’intera giornata a fare niente passeggiando per il villaggio alla scoperta di un piccolo centro massaggi del quale hanno approfittato e che hanno consigliato agli sportivi per sciogliere i muscoli nel dopo-trekking.

Lejla e i ragazzi sono invece partiti la mattina presto per vistare il parco e le varie piscine naturali(foto70-71-72) con le relative cascate, dove hanno fatto il bagno. Nonostante il caldo si faceva sentire la lunga passeggiata ci ha permesso di vedere tante piante(foto73-74) e animali come scorpioni(foto75), insetto stecco(foto76), veramente difficile da individuare, cavalletta dai bellissimi colori(foto77), lemuri catta(foto78) e fulvi(foto79-80-81), abbiamo avuto la fortuna di vedere da molto vicino gli unici due lemuri sifaka bianchi(foto82-83-84-85) dell’immenso parco.

 

Molto rinfrescante il bagno alla piscina azzurra; brrrr che fredda l’acqua! Alla sera, di corsa a vedere la Regina dell’Isalo(foto86), una conformazione rocciosa che raffigurerebbe una foto 85 regina, ma soprattutto lo spettacolo del tramonto fra le rocce colorate(foto87-88-89-90). Al ritorno in albergo, uno dei frequenti desolanti spettacoli del fuoco che brucia quel po’ che c’è sul terreno già arido(foto91).

GIORNO 9

Ci mettiamo in viaggio ancora una volta, di buon mattino, con il nostro mitico minivan, dove sulla strada incontriamo rare e desolate capanne(foto92-93), solitamente a fianco di una pianta di mango, qualche baobab(foto94) e qualche venditore di mango ancora non maturi(foto95), per raggiungere prima Tulear, dove faremo una breve sosta per visitare il mercato delle conchiglie, e poi Ifaty, dove visiteremo il Parco delle tartarughe “Sokake”. Percorriamo circa 200 Km attraverso piccoli villaggi nati durante gli anni settanta a seguito della scoperta dei giacimenti di pietre preziose e zaffiri.

Per curiosità ci fermiamo presso un rivenditore mussulmano di pietre che ci accoglie in un salone arredato con divani in pelle, una grande scrivania di legno ed un tavolino di cristallo. Senz’altro l’impressione che vuole dare è di lussuosa ricchezza: a noi sembra più un povero arricchito anche un po’ losco, vista la serie di muscolosi ed aitanti ragazzotti che gli girano intorno (body guard o gigolò?). Poco prima di Tulear (che dista 30 Km da Ifaty) ci fermiamo per una visita ad un grazioso parco (Arboretum) che ospita tante piante endemiche del sud(foto96-97-98-99), dove vediamo anche il piccolo lemure Microcebus murinus (foto100), qualche immancabile camaleonte(foto101) e anche qui c’è una piacevole sorpresa: un bel recinto con tante stupende A. radiata (foto102) giusto come “antipasto” della scorpacciata che ci faremo il giorno successivo al Sokake. Lungo la strada vediamo da lontano innumerevoli cimiteri che sono considerati tabù per gli stranieri(foto103) Arriviamo a Tulear, città situata a sud-ovest dell’isola, all’altezza del Tropico del Capricorno, e visitiamo il particolare mercato delle conchiglie(foto104).

Ne troviamo di tutti i tipi, colori e dimensioni, grezze o lavorate a creare oggetti e paesaggi. Filippo ne rimane affascinato e ne fa scorta: che siano arrivate integre dentro la valigia fino in Puglia? Riconosciamo anche alcuni piccoli serpenti e qualche coccodrillo imbalsamato in vendita, sistemati vicino ad un paio di carapaci di tartaruga marina(foto105-106-107), lucidati e pronti per qualche turista. Proseguiamo verso Ifaty, cittadina di pescatori e sede di una delle barriere coralline più belle al mondo, estesa per circa 300 Km. Pensavamo si trattasse di pochi minuti di viaggio ma la strada nazionale n°9 è un disastro ed essendo sul mare, con il forte vento(foto108) sembrava una vera tempesta di sabbia che accumulava cumuli sulla strada; poco dopo infatti c’è il primo insabbiamento(foto109) che con la spinta di tutti riusciamo ad uscirne, ma dopo poco, nei pressi di un piccolo villaggio di pescatori il minivan è definitivamente bloccato(foto110).

In pochi minuti quasi tutto il villaggio viene a vedere la situazione, compreso due maiali neri, e con pochi spiccioli ci prendono su di peso il mezzo(foto111), che comunque constatiamo che non è utilizzabile in un percorso del genere, ma per fortuna che c’è campo per il cellulare per chiamare soccorsi all’albergo che ci invia una vecchia ma robusta Jeep a salvarci(foto112). Poi la guida ci dice che le buche sulla strada le fanno i pescatori per chiedere soldi a chi aiuta ad uscire da queste specie di “sabbie mobili” . Nonostante il forte ritardo riusciamo a sistemarci in albergo, giusto in tempo per uno spettacolare tramonto(foto113) e ci prepariamo alla giornata di domani nuovamente dedicata al fantastico mondo delle tartarughe con la visita al parco “Sokake”.

GIORNO 10

A Ifaty alloggiamo in un bel resort, Hotel Bamboo(foto114-115-116) a ridosso di una incantevole spiaggia poco distante dalla famosa foresta spinosa caratterizzata dalle presenza di una moltitudine di specie vegetali per lo più endemiche che hanno sviluppato meccanismi di adattamento a lunghi periodi di siccità tra cui diverse specie di Baobab(foto117-118-119-120). Per andare al parco scegliamo un mezzo di trasporto molto spartano e caratteristico: due carri trainati da due coppie di zebu(foto121); splendida idea se non fosse che gli zubu hanno la diarrea……

Nel bel mezzo di questa foresta sorge il Parco “Sokake”(foto122). Questo è, infatti, l’habitat naturale di due specie di tartarughe: l’ Astrochelys radiata(foto123-124-125-126) e le Pyxis aracnoides(foto127-128-129).

La seconda è chiamata dai locali Kapidolo, o tartaruga fantasma, in quanto la si rinviene spesso vicino i luoghi di sepoltura delle tribù locali. E’ una specie difficile da osservare e studiare allo stato naturale per via delle piccole dimensioni ( 15/16 cm) e dalle abitudini legate al clima estremo che induce questi animali ad essere attivi solo durante la stagione delle piogge; è quindi, indispensabile, per il futuro di questa specie, l’allevamento in un centro specializzato in loco. Qui sono allevate e riprodotte con successo sia le tre sottospecie geografiche di Pixys (P. arachnoides arachnoides, P. arachnoides brygooi e P.arachnoides oblonga) sia le A. radiata di cui il Parco dispone di numerosi esemplari di cui alcuni sono animali confiscati. Ovviamente il centro è dedicato soprattutto alle A. radiata, con tanti recinti dedicati e suddivisi in base alle esigenze di riproduzione e di età. Da poco tempo, il Centro ha la possibilità di incubare alcune uova in 6 incubatrici artificiali (foto130) alimentate da pannelli fotovoltaici; in questa fase iniziale le incubatrici sono regolate a temperature diverse al fine di studiare i parametri più favorevoli alla schiusa mentre altre sono lasciate incubare nel terreno. Mentre la Pixys planicauda, vista nel Centro Durrel, vive sulla costa centro occidentale del Madagascar in una fascia costiera ristretta tra Morondava e Belo Tsiribihina, le tre sottospecie di Pixys Arachnoides , invece, vivono sulla fascia costiera meridionale a nord di Tulear (P. a. brygooi), a sud di Tulear (P. a. arachnoides) e nell'estrema parte meridionale fino a Taolagnaro (P. a. oblonga). Siccome le nostre visite ai due centri (Angonoka e Sokake) è stata in qualche modo privilegiata e favorita dal fatto che eravamo li con l'intenzione di collaborare, quindi ci è stato permesso di entrare all'interno dei recinti, avvicinarsi moltissimo e fare foto e video incredibili, ma la cosa più bella era sicuramente la situazione di euforia che si creava e che faceva si che sembravamo tutti dei bambini nel paese delle meraviglie.

GIORNO 11

Ancora un ennesimo volo interno per raggiungere nuovamente Tana, punto cruciale per gli spostamenti all'interno dell'isola in quanto punto nevralgico nei trasporti. Arriviamo nella prima mattinata, e dopo una breve sosta in albergo saliamo in un minivan procuratoci dall'Agenzia Viaggi malgascia cui ci siamo affidati come contropartita per alcuni piccoli contrattempi che avrebbero potuto evitarci. Visitiamo la città nei suoi punti fondamentali: il lago centrale(foto131-132), circondato da bellissime piante in fiore(foto133) il belvedere sopra la collina, il centro, l'ex Palazzo della Regina(foto134) l'attuale Sede degli Uffici del Primo Ministro ed il Mausole(foto135). Giriamo in lungo ed in largo, sempre felici ed allegri dentro il nostro pulmino. La sera in quattro decidono di andare a mangiare nel locale più "in" della città, dove un famoso cuoco serve ottimi e sofisticati piatti in una delicata e tranquilla atmosfera franco/coloniale; alla fine il conto è di sole 30 euro a testa. 

GIORNO 12

Il volo è previsto per il primo pomeriggio quindi la mattina ci facciamo accompagnare in un grandissimo mercatino dedicato solo ai souvenir turistici(foto136-137), dove si notavano gli effetti della recente crisi politica; in pratica senza turisti. Qui tutti hanno fatto il pieno di regali fino al possibile da trasportare, visto che i prezzi erano veramente bassi specialmente dopo lunghe trattative. 

Dopo di chè si parte per un breve volo della durata di poco più di un ora per raggiungere l'isola turistica di Nosy-Be. Ci trasferiamo in albergo(foto138), un residance semplice e un po' spartano ma vicino al mare ed in buona posizione.

GIORNO 13

Di nuovo il mare! Antananarivo è stata solo una meta di passaggio per poterci imbarcare nel volo che ci avrebbe portato a Nosy Be(foto139-140-141-142-143-144-145), isola verde raggiungibile via cielo o via mare.


Si trova a circa 15 km dalla costa nord-ovest del Madagascar, nelle calde acque del Canale di Mozambico, fa parte di un arcipelago formato da diverse isole di dimensioni diverse che si estendono per una lunghezza di 30 Km ed una larghezza di 19 Km. Nosy Be è definita anche l'"isola dei profumi" per l'abbondanza delle piante che vi si possono trovare: lichi, ylang ylang, mango, ananas, banane.


Noi ci siamo sistemati un po' fuori dalle classiche mete turistiche, in un residence appena fuori dal centro di un piccolo paese limitrofo a La Ville, di nome Ambatoloaka, dove è possibile toccare con mano la vita degli abitanti dell'isola. Nei giorni in cui siamo rimasti abbiamo preferito non fare mare nel senso classico con lunghi pomeriggi al sole ma abbiamo deciso per un paio di escursioni in barca alla scoperta di alcune isole abitate solo da indigeni, lemuri ed altri animali. La prima escursione ci vede partire di buona mattina verso l'isola di Nosy-Komba, dove caratteristiche sono le lavorazioni artigianali che abbiamo trovato: tipiche maschere di legno derivate dalla più classica cultura africana, manufatti eseguiti utilizzando semi di piante grandi come meloni, tovaglie ricamate ad intaglio o dipinte con immagini di tartarughe marine(foto146), lemuri(foto147-148-149), camaleonti(foto150) e serpenti(foto151).


Seguendo la nostra guida durante la prima escursione ci siamo fermati a dar da mangiare ai lemuri alcuni pezzetti di banana: quei piccoli delinquenti di lemuri con le loro zampette si sono dimostrati straordinariamente veloci nel prendere il pezzetto di frutta offerto, portarselo alla bocca, riallungare la zampa per riceverne ancora... e poi ancora... e poi ancora! In cambio si sedevano sulle nostre spalle e si lasciavano fotografare tranquilli: abbiamo dei bellissimi primo-piano. E sorpresa: tartarughe ! In piccoli recinti erano alloggiate un po' di belle Astrochelys radiata(foto152) , una Geochelone gigantea(foto153-154) e alcune Kinixis belliana nogueyi(foto155-156).


Poco prima di pranzo risaliamo in barca per dirigerci nella vicina isola di Nosy-Tanikely dove ci tuffiamo subito per fare snorkeling e dopo un buon pranzo ci rilassiamo in spiaggia e dopo andiamo a visitare il centro dell'isola dove oltre al faro e tanta vegetazione vediamo una colonia di pipistrelli(foto157-158).

GIORNO 14

Il penultimo giorno abbiamo visitato l'affascinate isola Nosy-Irania(foto159-160-161-162-163-164) dove con la bassa marea si unisce con un'altra isoletta a fianco tramite una lingua di sabbia bianchissima.

Qui prima di un buonissimo pranzo organizzato dall'equipaggio della barca ci immergiamo per una bella nuotata per fare snorkeling e vedere un po' di bellissimi pesci e stelle marine di tutti i colori. Purtroppo delle tartarughe marine che solitamente frequentano l'isola, neppure l'ombra, solo l'avvistamento di una piccolissima probabilmente di pochi giorni. Breve visita al piccolo villaggio di pescatori e si riparte per il ritorno . Il vento che spinge alle spalle crea un po' di onda che al momento di scendere dalla barca fa si che un'onda "biricchina" travolge Ago che fa fare il bagno alla sua fotocamera!

GIORNO 15

Mattinata libera dove bivacchiamo fra spiaggia e valigie da riuscire a chiudere, molti per riuscirci regalano indumenti e oggetti agli abitanti di alcune capanne adiacenti al residence, in attesa della partenza per il pomeriggio per Tana. Arrivati in capitale verso sera tardi, il volo è previsto per l'1,30 quindi non alloggiamo in albergo. Qualcuno decide per un ultima puntata in città per consumare un ultimo pasto malgasco.

GIORNO 16

Attendiamo il nostro volo, partenza prevista alle ore 1:30 di notte. Bivacchiamo in aeroporto velati da quel po' di malinconia tipica della fine dei viaggi: abbiamo passato insieme tante giornate, a volte allegre e a volte più faticose, in alcune occasioni ci siamo dovuti sopportare a vicenda ma molto più spesso abbiamo fatto squadra. In conclusione una bella vacanza, senza dubbio senza le comodità dei turisti classici ma piuttosto molto "turisti fai da te... ahi ahi ahi!" e forse anche questo ha contribuito a fare del nostro viaggio una divertente ed indimenticabile avventura!

Ciao Ciao Madagascar!

GIORNO 17

E' da poco passato mezzogiorno e siamo finalmente in Italia. Dopo un breve scalo a Parigi abbiamo preso l'ultimo volo previsto, giunto all'aeroporto di Bologna in perfetto orario. Saluti veloci e una promessa: organizzare presto un ritrovo per scambiarci foto e impressioni.

E Agostino è riuscito nell'impresa !

Scritto da Viviana Sangion, le foto sono di tutto il gruppo.

 

 

 

Pubblicato in TCI
Giovedì, 26 Giugno 2014 16:45

Cronache dal Madascar - Parte 1

Cronache dal MADAGASCAR, la nostra avventura

23 ottobre – 7 novembre 2009

 

IL PAESE

 

 

Prima di svelare le incredibili avventure che abbiamo vissuto è meglio fare mente locale sulle principali caratteristiche del Madagascar, giusto una breve panoramica che illustri meglio il luogo che ci ha ospitato per due settimane.

Il Madagascar è una Repubblica, ex colonia francese, che si estende per circa 578.000 Km q., si tratta della 4° isola più grande del mondo. Un tempo definitiva "l'isola verde" per la sua maestosa vegetazione, oggi è più appropriato chiamarla "l'isola rossa" data la cattiva abitudine dei malgasci di incendiare boschi e foreste per fertilizzare il terreno: peccato che piova troppo poco, e una volta arso il terreno questo non produce più niente. Distruggendo il loro habitat, anche gli animali muoiono o se ne vanno per non tornare più. I malgasci forse non si rendono conto, ma come ha detto qualcuno stanno bruciando il loro futuro.

La parte centrale è montuosa e perciò un po' più fredda, sulle coste si prende il sole in spiagge ancora poco frequentate dai turisti.

La lingua ufficiale è il malgascio con tutti i suoi dialetti, ma non è raro trovare chi parla francese, soprattutto dove il turismo è un po' più diffuso.

La moneta corrente è l'Ariary, il cambio è di circa 2.800 Ariary per un euro.

La popolazione ha origini differenti a seconda della zona in cui ci troviamo: africani, creoli, mulatti, bianchi... molte le coppie miste tra bellissime ragazze isolane e uomini francesi molto meno attraenti.

La maggior parte della popolazione rurale è analfabeta e alleva animali (zebù, capre, pecore, polli, tutti animali molto magri), mentre i bambini di città riescono ad andare a scuola e ad imparare un mestiere nei vari Istituti professionali. I più fortunati arrivano a frequentare l'Università, ci hanno parlato molto bene dei corsi tenuti nella capitale, Antananarivo.

Cosa si mangia? Riso, patate, crevettes (gamberetti), angusta (aragosta), zebù e tanta frutta! Banane, mango, papaia e ananas. Tante e varie le spezie, ottime le bacche di vaniglia, profumati e colorati i fiori di ylang ylang.

... ma di tutto questo a noi interessava poco, noi volevamo vedere...

LE TARTARUGHE!

I PROTAGONISTI

Siamo partiti in nove, eccoci!

Da destra in piedi: Martina , Loris, Viviana, Lejla,Claudio,Iuri,Michele e Filippo. In basso: AgostinoAgostino: il Presidente. Da vero romagnolo sempre pronto alla battuta, organizzatore del viaggio. Mezzo matto per le tartarughe (come del resto quasi tutti gli altri), è riuscito a scattare una media di duecento foto al giorno, credo sia stato costretto a rottamare la sua macchina fotografica dopo il viaggio... per cogliere un'immagine particolare è quasi riuscito a decapitare Loris!

Michele: compagno di stanza di Ago. Il nostro interprete di menù al ristorante, nessuno osava ordinare prima che Mik avesse tradotto tutte le pietanze una per una, ascoltato da una platea in religioso silenzio. Memorabili i suoi "avec le pomme de terre"...

Loris: il Geologo. Ci ha aiutato a capire i vari tipi di rocce e minerali presente nel Paese, sempre discreto e disponibile. Grande appassionato di animali e natura, aveva già partecipato al precedente viaggio del Tarta Club Italia alle Galapagos, quindi sapeva a cosa stava andando incontro...

Filippo: appassionato di tartarughe d'acqua e gran dormiglione. Filo riesce a dormire in ogni dove: minivan, branda, jeep, motoscafo, piroga, forse anche mentre guida il quad. E poi telefona: Filo riceve telefonate anche quando nessun altro ha campo, lui sì!

Iuri, Martina & Lejla: la premiata ditta Valeri ha lasciato il segno. Vasta la conoscenza di piante ed animali, stare ad ascoltarli è davvero interessante. Iuri in particolare ha saputo indicare il nome specifico di buona parte delle specie animali e vegetali che abbiamo incontrato lungo il tragitto. Lejla ha evitato il crollo delle economie locali acquistando l'inverosimile: un passaparola indigeno la anticipava in ogni villaggio. Nei momenti di relax i capelli di Martina sono stati i più piastrati in assoluto, mentre lei valutava come terminare l'ultimo capitolo della sua tesi di Laurea.

Claudio & Viviana: Lui vero amante degli animali, le tartarughe sono la sua passione: si venderebbe anche la fidanzata per salvare un nuovo animale! Il viaggio in Madagascar ero un suo sogno da tanto tempo, flora e fauna unici al mondo lo incuriosivano da sempre. Lei ha scoperto di odiare alcuni animali, ad esempio gli scarafaggi morti dentro il letto in albergo. Oggi ama il cemento e vuole andare in vacanza a Tokyo.

Bene, eccoci pronti a raccontare!

GIORNO 1

Partenza dall'aeroporto di Bologna venerdì 23 ottobre all'alba. Tutti presenti tranne Filippo... che stesse telefonando?! Al check-in finalmente lo vediamo arrivare, ora comincia il viaggio! Il boeing AirFrance ci aspetta con le sue 13 ore di viaggio da passare tra spuntini, film, musica e racconti. I più provati sono i fumatori, impossibilitati a dare sfogo al loro vizio per così tanto tempo. Arriviamo ad Antananarivo (la capitale) alle 10 di sera e necessitiamo del visto d'entrata: per evitare inutili code da buoni italiani in vacanza decidiamo di contattare un ragazzo del posto che tramite amici di amici riesce a farci saltare la fila. Quindi andiamo a cambiare valuta: per poco più di trecento euro ci consegnano una mazzetta e mezza di Ariary, ci siamo sentiti ricchi! Sbrigate queste pratiche ci sistemiamo nell'albergo Le Lac Hotel(foto3) che dista 5 minuti dall'aeroporto, situato ai bordi di un lago, in attesa del primo volo interno(foto4) che ci avrebbe condotti a Mahajanga la mattina successiva, ovviamente ancora all'alba.

GIORNO 2

Poco prima delle otto del mattino siamo già a Mahajanga e dopo 15 Km di strada bianca(foto5), sterrata, raggiungiamo il villaggio Antsanitia(foto6), resort sulla spiaggia limitrofo ad un caratteristico piccolo villaggio di pescatori dove vivono circa 500 anime. 

Durante il tragitto abbiamo una prima visione della vera vita africana: la gente di campagna vive in piccole baracche di legno e fango con il tetto in foglie di banano(foto7-8), aggregate in gruppi di tre o quattro. Allevano piccoli animali e vendono oggetti di artigianato.

Al nostro passaggio i bambini gridano e ridono felici di vedere questi vahasa (i "bianchi") che forse regaleranno bonbons. Scopriamo con curiosità che l'acqua che useremo per lavarci è fredda e gialla: non esiste un sistema di acquedotto che copre tutto il Paese, spesso l'acqua è trasportata con ampie cisterne che riforniscono le strutture quasi quotidianamente. Il colore è dovuto al residuo ferroso. Anche la corrente elettrica non è sempre disponibile: per ovvie ragioni di risparmio viene tolta durante tutta la notte e buona parte della giornata. Il villaggio è comunque accogliente e si mangia bene, tutti sono molto disponibili. Sulla bella spiaggia arrivano le piroghe dei pescatori, molto caratteristiche ma soprattutto piene di pesce, quindi ci precipitiamo a curiosare e scattare tante bellissime foto.

Il pomeriggio alcuni di noi decidono di noleggiare i quad(foto11) ed inoltrarsi in sentieri sterrati con una simpatica guida francese che ci porta a visitare il lago sacro(foto12), dove si recano i locali in pellegrinaggio, pieno di grossi pesci che una donna addirittura accarezza e alla fine della visita un colorato gruppetto improvvisa una serie di danze in nostro onore(foto13-14) al quale noi poi contraccambiamo con una offerta che non è affatto dispiaciuta, poi si visita un grosso baobab(foto15) dove Iuri fa la conoscenza di un nido di feroci insetti che gli lasciano il segno per diversi giorni, di una fattoria dove allevano coccodrilli(foto16) , della laguna(foto17) e nel tragitto facciamo il primo incontro con una famigliola di lemuri sifaka(foto18) nell'aia di una capanna malgasca come fossero i mici di casa.

Il mercato locale è colorato(foto19-20-21), le donne vendono la frutta e si dipingono la faccia con un minerale che lascia una patina giallo ocra utile contro i raggi del sole e molto idratante. Seccandosi sul viso forma una serie di arabeschi decisamente particolari. Vediamo per la prima volta i pousse-pousse(22), tipico mezzo di trasporto “povero” che assomiglia ad un calesse con due sole ruote, trainato da un uomo scalzo. Viene utilizzato tanto per il trasporto di persone quanto per il trasporto di merci, e nonostante il trainante sia spesso filiforme e sembri senza forze, il carico del pousse-pousse assomma non di rado diverse decine di chilogrammi.

Di sera facciamo visita alla città dove gironzoliamo un po’ lungo la passeggiata nei pressi del porto e vediamo l’imponente grande baobab, famoso per la sua grande circonferenza di circa 24 metri che in pratica funge da rotonda stradale e punto di riferimento; toccarlo è considerato tabù. Mahajanga o Majunga è una città di circa 15.000 abitanti, chiamata la città dei fiori, con una temperatura abbastanza alta e costante durante l’anno, ma con un clima relativamente secco che la rende molto gradevole da viverci, infatti non pochi sono gli stranieri che vivono qui, in maggior parte francesi aiutati dalla loro lingua molto diffusa. Domani ci aspetta il Centro Angonoka, il Tarta Club Italia è pronto a dare i numeri!

GIORNO 3

Oggi visita al Durrel Wildlife Conservation Trust(foto23) presso il Parco Nazionale di Ankarafantsika a circa 120 Km da Mahajanga. Il Tarta Club Italia è letteralmente impazzito, i ragazzi hanno cominciato a scattare un sacco di fotografie a tutti gli animali presenti, grazie anche al permesso, decisamente inusuale, di entrare nei recinti oltre a fare tantissime domande al responsabile del Centro ed agli inservienti circa l’estivazione, il cibo, l’ambiente, il numero degli esemplari presenti e la loro provenienza. Apprezzabile e divertente il tentativo di Agostino di porre i propri quesiti in tantissime lingue: italiano, romagnolo, spagnolo, francese, inglese… Uno spasso!

  I Tarta-appassionati sono rimasti decisamente senza parole davanti alle Angonoka (Geochelone yniphora) e non solo. Ma passiamo ad una descrizione un po’ più “scientifica” : Oltre alle otto specie di lemuri (come il lemure donnola, il sifaka di Coquerel e il microcebo murino) e alle 129 specie di uccelli, il Parco ospita un centro per l'allevamento di diverse specie di tartarughe a rischio di estinzione, la testuggine dalla coda piatta, Pyxis planicauda(foto29), la rarissima “ANGONOKA” o testuggine dal vomere Astrochelys yniphora(foto24-25-26-27-28), la più comune Astrochelys radiata(foto30) chiamata dai malgasci “SOKAKE” e l'unica tartaruga endemica d’acqua dolce del Madagascar, la podocnemide del Madagascar Erymnochelys madagascariensis(foto31-32).

 

Di quest’ultima, inserita nel “RED BOOK” della IUCN tra le 25 specie a maggior rischio di estinzione, sono allevati diversi esemplari con un ottimo risultato riproduttivo.

Interessante e curiosa scoperta è stata sapere che vengono alimentate, oltre che con pesce, lumache, frutta e verdura, anche con i tuberi di manioca, una pianta diffusissima nell’isola e coltivata a scopo alimentare. Presso il Durrel sono attivi progetti di recupero per queste testuggini e senz’altro il più delicato e difficile è il “Project Angonoka”. Il Centro ospita, attualmente, circa 200 esemplari di Astrochelys yniphora e altri 40 sono stati già reintrodotti recentemente nel loro habitat originario nei dintorni di Soalala nel Parco Nazionale “Baie de Baly” a sud-ovest di Mahajanga(la prima nascita risale al 1987!!). L’incubazione delle uova è del tutto ancora naturale(8-9 mesi) e non vengono utilizzate incubatrici. La percentuale di schiusa è sul 60%. Bellissimo ed emozionante poter vedere dal vivo due maschi(foto27), di dimensioni notevoli, impegnati nella lotta utilizzando la protuberanza degli scuti gulari. Per potersi accoppiare, infatti, il maschio deve prima eccitarsi lottando con altri maschi utilizzando proprio la protuberanza degli scuti gulari come uncino per far presa sotto il carapace del rivale. Se non ci sono rivali disponibili alla lotta, cosa che avviene sempre più spesso in natura a causa della diminuzione degli esemplari, il maschio non si accoppia, mettendo in pericolo la continuità della specie.

Obiettivo della visita al Parco è stato anche verificare la possibilità di instaurare un rapporto di collaborazione orientato a migliorare le attività di recupero, allevamento e riproduzione del “Progetto Angonoka”. Il Tarta Club Italia, infatti, si è impegnato ad aiutare il centro anche con l’aiuto dei soci; ci è stata consegnata una lista di attrezzature utili come PC portatili, bilance di precisione, microscopio elettronico, endoscopio, tende da campeggio, torce tascabili e soprattutto un sistema di allarme. E’ molto alto, infatti, il rischio di furti delle A. yniphora, come già avvenuto alcuni anni fa da parte di alcuni uomini che, forse su commissione, trafugarono una settantina di esemplari che sul mercato nero valgono svariate decine di migliaia di euro. Il Madagascar resta un paese molto povero e trovare questo tipo di manodopera è molto facile considerando anche il bassissimo livello d’istruzione della popolazione. Alcuni giorni dopo la visita al centro Durrel, siamo stati ricevuti, ad Antananarivo, dal presidente del Durrel per il Madagascar. Durante la chiacchierata è emerso che il problema principale, oltre a quello della distruzione dell’habitat, per le tartarughe malgasce, è quello del bracconaggio. Anche le A. radiata, infatti, fino pochi anni fa erano molto numerose nelle zone aride del sud del Madagascar con una densità anche piuttosto alta. Attualmente, purtroppo, la loro presenza in natura è rarissima a causa dei continui prelievi illegali in natura. La destinazione principale di questi animali sono i mercati asiatici dove non esistono leggi per la loro tutela. Ben lieto della nostra visita, e felicissimo dell’impegno di cui il Tarta Club Italia si è fatto carico, il presidente del Durrel ci ha anche informato della imminente creazione di un secondo Centro dedicato alla quarantena delle Angonoka sequestrate e recuperate per sfruttare al massimo il basso numero di esemplari ormai esistenti (si stima che in natura ce ne siano meno di 400).

 

GIORNO 4

Oggi dedichiamo la giornata al riposo. Mattina e pomeriggio liberi: chi va in piscina(foto35), chi prende il sole, i più temerari hanno concordato una gita con una piroga dei pescatori(foto36); incredibile esperienza con queste barchette totalmente auto costruite con materiali molto poveri, vele comprese , formate nei maggiori dei casi da teli di plastica ricavati dai sacchi usati per il trasporto del riso e cuciti tra loro. foto 35 Il timoniere la maggio fatica la faceva nel buttare fuori continuamente secchi di acqua che entrava dalle tante fessure della piroga. Povera piroga! Forse non avrà mai retto tanto peso come in questo caso; tre turisti di discreta stazza , più tre esili pescatori. Verso sera ritorniamo in aeroporto per il viaggio di circa un ora che ci riporta in capitale(Tana), dove alloggiamo nel solito albergo per attendere la partenza della mattina successiva con un minivan che ci porterà fino a sud con tante tappe intermedie.

GIORNO 5

Sveglia di buon mattino per fare la conoscenza di Eri, la nostra nuova e simpaticissima guida che ci accompagnerà lungo il viaggi in minivan su e giù per il Paese.

Prima tappa: Antsirabe(foto37-38-39), bella e pulita cittadina a circa 170 Km a sud di Tana e 1.500 metri di altitudine. Qui crescono rigogliose piante di eucalipto, pini, cipressi e foreste di conifere. Il terreno fertile consente la coltivazione di riso, tabacco, cotone, frutta e verdura. Prima tappa in un grande spiazzo dove ci sono tante capannine piene di gadget e souvenir di tutti i tipi lavorati con la raffia(foto40); quindi primi veri acquisti. Lungo il tragitto incontriamo delle venditrici di fragole(foto41) dalle quali ne acquistiamo un paio di sacchetti: veramente gustose, ottima merenda per il pomeriggio! Antsirabe è la città con il la maggiore densità di pousse-pousse, circa 6.000 mezzi, nonché una nota località termale. Molte le scuole professionali avvistate lungo la strada (istituto linguistico, per operatore turistico). Sembra una località più ricca rispetto alle precedenti, complice sicuramente il clima meno torrido, l’attività turistica e di vendita di pietre preziose, presenti in tutto il Madagascar in grandi quantità. Nel pomeriggio andiamo a visitare un laboratorio di pietre e minerali(foto42-43) e mentre il nostro geologo Loris ci aiuta nel riconoscere acquamarine e topazi, tormaline e smeraldi, zaffiri e opali, ,mentre i Tarta-matti scompaiono e… li ritroviamo dopo alcuni minuti occupati a spupazzare e fotografare cinque esemplari di radiata(foto44) di proprietà del laboratorio, animali abbastanza anziani ed interessanti ma non proprio ben tenuti: le tartarughe sono costrette a passeggiare sopra una distesa di minerali e pietre grezze tale per cui le zampe sono abbastanza usurate con la quasi assenza delle unghie. Qualcuno ha fatto notare questo particolare agli inservienti, speriamo sia servito(mmmh!).

GIORNO 6

Si sale nuovamente in minivan e si parte alla volta di Fianarantsoa, considerata la capitale del sud per la sua importanza economica. Qui si coltivano riso(foto45-46), caffè e viti; molto sviluppato l’artigianato di legno foto 44 e rafia venduto in piccoli mercati. foto 45 Qui si trovano anche le caratteristiche tovaglie ricamate ad intaglio dalle donne del paese, decisamente belle anche se il tessuto è povero. Da qui parte l’unico treno del Madagascar (ovviamente d’epoca) che collega Fianarantsoa a Manakara(foto47-48), lungo un percorso molto romantico di circa 80 km reso ancora più caratteristico dalla modesta velocità del mezzo(circa 20km all’ora), che comprese le tante fermate ha una durata di almeno 8 ore(si quando si parte ma non quando si arriva).

Andiamo a visitare un laboratorio di lavorazione ad intaglio del legno(foto49-50-51): quanta pazienza per incastrare tra loro piccolissimi pezzi di legno a creare meravigliosi paesaggi e perfetti animali! I bambini ci vengono incontro e ci chiedono regali: provette di profumi e saponette per le mamme, penne e quaderni per la scuola, persino un pallone da calcio in cuoio per giocare; a dir il vero avevamo lanciato una sfida per un “partitone” ma per fortuna che si è fatto tardi e non c’è stato il tempo, altrimenti mi sa che ci rifilavano una lezione memorabile. Alcuni di questi ragazzi ci portano a visitare un laboratorio attraverso strani vicoli della città , tanto che ad un certo punto ci guardavamo intorno con il timore che da li a poco ci avrebbero rapinato, ma dopo poco ecco una casa dove nel retro, in uno stretto corridoio al buio, lavoravano diverse persone intenti a intagliare oggetti di legno; poco dopo ci fanno visitare una stanza con l’esposizione di oggetti artistici finiti e qui facciamo un po’ di acquisti, felici di aver acquistato da chi produce ed ha veramente bisogno di soldi per vivere, non come alcuni negozi dove solitamente le guide portano i turisti. E poi vogliono fare le foto insieme a noi e ridono contenti con il nuovo pallone di cuoio(foto52): tutti hanno i foglietti con il loro nome ed indirizzo e sperano che, una volta tornati in Italia, ci ricordiamo di loro prima di tornare alla vita quotidiana spedendo una copia delle fotografie scattate.

GIORNO 7

Oggi raggiungiamo Ranohira passando per Ihosy e Betsileo (Antaimoro). La prima tappa è la visita al laboratorio di produzione della famosa carta Antaimoro(foto53-54-55-56),

assimilabile alla carta di riso, ottenibile dalle foglie di un albero autoctono poste a macerare nell’acqua e seguite da una lavorazione ben precisa che le porta a diventare oggetti di ogni tipo. Negli anni questo prodotto è divenuto una delle più importanti e caratteristiche creazioni dell’artigianato malgascio. La seconda e ultima tappa della giornata è il Parco Anja, famoso per i lemuri Catta(foto57-58) e i camaleonti giganti(foto59).

Ne abbiamo visti diversi anche noi attraversando la foresta: i lemuri si sono avvicinati senza troppa paura e li abbiamo potuti osservare bene. Sono animaletti grandi quanto delle piccole scimmie e hanno una coda lunghissima, ma quando ci avviciniamo troppo, in un attimo spariscono tutti. Risaliamo nuovamente nel pullman e procediamo verso Ranohira, durante quasi tutti i trasferimenti non mancano scene particolari come lavorazioni della raffia(foto60) e tantissimi bambini(foto61-62) che spesso trasportano di tutto con dei carretti artigianali con piccole ruote(foto63) .

Nel bel mezzo del cammin di nostra vita il minivan all’improvviso si ferma(foto64): panico generale per il motore surriscaldato a circa 140 Km dalla destinazione, alle nove di sera e lungo una strada buia e deserta. Fantastico! Per fortuna tutto si risolve nel giro di poche decine di minuti… meno male! Arriviamo all’albergo sani e salvi dove ormai non ci attendevano più.

 

 

 

Pubblicato in TCI
Lunedì, 23 Giugno 2014 14:10

Progetto TCI Angonoka 2013 parte 2

Ripartiamo

Esemplare sub-adulto di Astrochelys yniphora (Angonoka), foto TCI, autore Agostino Montalti

Inizio ottobre 2013, nuovamente in partenza per il Madagascar, con tanti lavori da fare ed un nuovo interessantissimo progetto di ricerca. Nei lavori dell’ultima missione in primavera, abbiamo constatato che per rendere perfetta la nostra incubatrice, serviva una ulteriore miglioria in quanto il controllo dell’umidità era solo effettuato in caso di abbassamento, con l’entrata in funzione di una pompa peristaltica che immette delle gocce di acqua in un panno che di conseguenza diffonde l’umidità in circolo tramite la ventola che è posizionata vicino, appositamente. Ci siamo resi conto che di notte la percentuale di umidità all’interno dell’incubatrice è troppo alta, supera il 95%, per poi stabilizzarsi subito alla mattina; non siamo sicuri di come possa succedere, visto che il sistema di raffreddamento che è l’unico che potrebbe immettere una piccola quantità di umidità, la notte non funziona in quanto le temperature sono molto basse; potrebbero essere le uova che di notte espellono l’umidità o semplicemente è dovuto al calo di temperatura notturna. Sta di fatto che le nostre prove con il Data-logger (strumento che memorizza i dati di umidità e temperatura nei nidi, con sonde speciali) inserito 15 giorni a fianco di un nido con uova, ha rilevato un’umidità costante durante l’intera giornata, quindi serve fare una modifica. Abbiamo ordinato un nuovo strumento elettronico che, oltre al controllo della resistenza elettrica per l’aumento della temperatura, del sistema di refrigeramento per il freddo e del sistema per aumentare l’umidità, ora comanderà anche un nuovo deumidificatore che abbassa la percentuale di umidità, raccogliendo da 6 a 10ml di acqua all’ora (test già eseguiti).

Nuovo strumento Termo-Igrostato, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Nuovo strumento Termo-Igrostato, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Nuovo strumento Termo-Igrostato, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Nuovo strumento Termo-Igrostato, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Nuovo strumento Termo-Igrostato, retro, foto TCI, autore Agostino Montalti.

La nuova centralina elettronica sarà dotata di doppi circuiti elettronici per ciascuna delle 4 funzioni sopra citate, in modo che in caso di rotture, automaticamente passa al circuito di emergenza, segnalando comunque l’anomalia. Inoltre all’avvicinarsi dei parametri impostati, erogherà una potenza inferiore, in modo da essere più lineare nel mantenere gli stessi parametri. Nei precedenti lavori, abbiamo spostato l’incubatrice da un ambiente che era troppo caldo(non andava sotto ai 28-29°C), ad uno che è molto areato, ma ci siamo accorti che di notte, nei mesi di giugno, luglio e agosto (non siamo mai stati lì in questi mesi) le temperature raggiungono un valore che non ci aspettavamo così basso (10°C) e di conseguenza la resistenza utilizzata per il riscaldamento(15Watt) è risultata di valore troppo piccola, quindi andremo a sostituirla con una più grossa. Negli ultimi giorni, inaspettatamente abbiamo avuto un’accelerazione di un progetto che avevamo in cantiere ma credevamo si dovesse rimandare al prossimo anno, dedicato al riconoscimento del sesso, al momento della nascita, tramite un nuovo procedimento già studiato da ricercatori asiatici, sulle tartarughe marine Chelonia mydas, tramite il liquido amniotico delle uova e nel plasma delle baby di uno o due anni. Gli esami dei campioni si baseranno sui valori di testosterone ed estradiolo. A differenza dello studio sulle marine, il nostro caso è molto più complicato per via della difficoltà a conservare i campioni in un sito senza possibilità di garantire una catena del freddo e per un tempo di oltre 3 mesi. Per questo motivo già prima della precedente missione, ci siamo fermati per verificare se potevamo trovare soluzioni alternative per la conservazione e riuscire a portare a casa i campioni per analizzarli. Inoltre il progetto menzionato ha avuto a disposizione i cadaveri delle piccole nate, mentre noi non possiamo assolutamente uccidere le piccole, per la rarità della specie ma soprattutto perché non condividiamo il metodo di uccidere gli esemplari, noi siamo un’associazione per la salvaguardia e adotteremo sistemi non invasivi. Inaspettatamente pochi giorni fa siamo venuti a conoscenza di un sistema che si adatta alle nostre esigenze e in tutta fretta, pur già pieni di impegni per organizzare la partenza e con le valigie già strapiene, siamo riusciti a reperire una gran quantità di materiali, grazie ad amici che ci hanno aiutato (Dr. Antonio Romeo e Maurizio Bellavista) e all’Università di Ferrara che ci effettuerà poi gli esami.

Attrezzatura e materiali per i prelievi del nuovo progetto per sessaggio, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Oltre alle tante fialette, aghi, liquidi speciali, anticoagulanti, siringhe, pompette con relativi beccucci, ci hanno prestato anche una centrifuga a mano, portatile, in quanto cercheremo di effettuare anche il prelievo del sangue nei 14 esemplari nati nel 2011(7) e 2012(7). I campioni prelevati, poi saranno conservati con uno speciale alcool. Ovviamente i prelievi di sangue nei piccoli esemplari, verranno effettuati solo se la veterinaria responsabile del centro li effettuerà e se è competente, in quanto i prelievi da esemplari così piccoli e preziosi, non è certo uno scherzo. Nel frattempo abbiamo messo a punto un nuovo protocollo per i prelievi sia del liquido amniotico che del plasma che deve essere diviso sul posto per poi essere conservato con lo stesso metodo del liquido amniotico. Cercheremo di eseguire i test per identificare il sesso nei piccoli con sistema non invasivo, per antipare la nostra ricerca dell’individualizzazione delle temperature ottimali per ottenere la nascita di molti maschi, in quanto attualmente nel centro di riproduzione nasce una proporzione di circa 1 maschio e 5 femmine. Nel frattempo il nostro Data-logger dovrebbe essere già stato installato nella zona di distribuzione delle Astrochelys yniphora, parco di Soalala e ci resterà per almeno un anno, registrando importantissimi dati che serviranno in futuro. Questo nuovo sistema se darà risultati soddisfacenti, sarà il primo eseguito in tutto il mondo, su tartarughe terrestri . Partenza il 6 ottobre 2013 carichi come muli (come al solito), destinazione Mahajanga, questa volta siamo ospiti nella casa di un amico italiano che è rimasta libera, piccola ma nuova e con tutto quello che serve per vivere bene, e a soli 500m dal mare del piccolo villaggio di pescatori chiamato Petite Plage a circa 10 km dal centro città, quindi vicino alla città per le provviste alimentari ma fuori dalla confusione e dalla frenesia delle città, pur se qui la vita scorre con ritmi molto più tranquilli rispetto alle città Europee, dove mercatini e venditori ambulanti sono in ogni angolo e strada, dove i carri trainati dagli zebù sono ovunque, dove le carrozzette a due ruote riempiono la città, in asia li chiamano risciò, qui invece sono chiamati pus pus ma sono molto simili, cambiano solo i ragazzi che le trainano, qui sono neri, a torso nudo, piedi scalzi e pettinature quasi rasate e squadrate, simbolo dell’etnia Antandrui del sud del Madagascar. Qui i ragazzi dei pus pus, che dovrebbero essere 4-5.000, sono una vera comunità anche se quasi nessuno ha casa, la loro casa è il pus pus che quasi sempre è a noleggio e lavorano una vita per pagarlo; dormono e vivono sul pus pus e si lavano con una bottiglia di acqua. Ora da due anni sono arrivate le carrozzette motorizzate a tre ruote della Piaggio, tutte rigorosamente gialle, che credo siano costruite in India e dopo una guerra iniziale con qualche carrozzetta bruciata, hanno dovuto accettarle.

Bancarelle in città, foto TCI, autore Agostino Montalti.


Bancarelle in città, foto TCI, autore Agostino Montalti.


Bancarelle in città, foto TCI, autore Belletti Daniela.

Bancarelle in città, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Bancarelle in città, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Rivendita pane, per strada, in città, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Pus pus in città, per il trasporto di cose e persone, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Pus pus in città, per il trasporto di cose e persone, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Ci prendiamo un po’ di giorni per sistemarci nella nuova casa e fare un po’ di lavori, al nostro arrivo non andava ne l’acqua ne la corrente elettrica, chi era stato ospite prima di noi aveva fatto un massacro e fatto sparire un sacco di roba, compresi alcuni nostri attrezzi ed un casco stradale che avevamo lasciato alla partenza della missione precedente a fine giugno. Una volta sistemati prendiamo appuntamento con Ernest, il direttore del centro di riproduzione che si organizza per venire a prenderci. Arrivati al centro di riproduzione, le prime notizie non sono tanto buone; i responsabili Durrell ci dicono subito che per portare in Italia dei campioni da analizzare, serve il permesso del Ministero delle Foreste e qui i permessi sono duri da ottenere se vuoi fare la trafila senza pagare bustarelle. Nel frattempo istruiamo l’amico Ernest, su come fare per effettuare i prelievi di liquido amniotico dalle uova appena schiuse. Deve farlo lui perché il tempo di schiusa di tutte le uova è in genere abbastanza ampio (circa un mese) in quanto deposte in un arco di tempo di oltre tre mesi e noi nel frattempo facciamo base nella città di appoggio sul mare (Mahajanga) che dista circa 120 km e non possiamo essere sempre presenti durante le schiuse. Facciamo la speratura delle 30 uova rimaste in incubatrice (erano 32 ma 2 sono esplose e quindi tolte) e verifichiamo che ci sono molte uova bianche, quindi probabilmente non fertili.

Speratura di uovo fertile, all’interno della nostra incubatrice, foto TCI, autore Agostino Montalti

Speratura di uovo non fertile, all’interno della nostra incubatrice, foto TCI, autore Agostino Montalti

Sapevamo che nelle prime deposizioni dell’anno, come quelle messe dentro l’incubatrice questa volta, c’erano sempre alte percentuali di uova bianche, ma abbiamo indagato e potrebbe anche esserci un'altra causa, il vermifugo utilizzato dal veterinario del centro, che da alcuni soci del TCI è risultato deleterio nella percentuale di fertilità. Abbiamo anche alcuni dubbi dovuti al fatto che le uova inserite nel’incubatrice a metà aprile, erano state deposte in diversi nidi a partire da fine dicembre 2012 e quindi potrebbero avere subito alterazioni gravi dovute alla troppa umidità del terreno durante i due mesi di forte piogge come gennaio e febbraio. Verifichiamo bene i lavori da effettuare nell’incubatrice e ritorniamo alla base in attesa che arrivi il nuovo strumento ordinato, dalla Repubblica Slovacca. Le nascite nel frattempo iniziano solo dopo l’introduzione del programma 4 dell’incubatrice che è previsto per il 1° di novembre con l’aumento delle temperature ma soprattutto dell’umidità che sta a simulare l’inizio delle prime piogge. Le variazioni climatiche si fanno sentire anche qui; la stagione delle piogge 2012/2013 è stata scarsissima mentre la nuova stagione delle piogge è arrivata in anticipo di un mese, solitamente iniziano a metà dicembre, mentre quest’anno è iniziata a metà novembre. Stranamente il risultato è positivo, non capiamo come mai, ma le deposizioni 2013 si sono prolungate fino ai primi di agosto (non ci sono mai state tante deposizioni), mentre finivano in genere ad aprile e per merito delle piogge anticipate i nidi esterni non hanno avuto problemi con formiche e termiti che quando le piogge arrivano in ritardo, attaccano le uova uccidendo i piccoli all’interno. Quest’anno, nei nidi a terra sono nate ben 56 piccole Angonaka; mai nati tanti piccoli. Nella nostra incubatrice, su 17 uova fertili, sono nati 15 piccoli + due che sono morti nell’uovo. Purtroppo ci sono state ben 15 uova non fertili. Alcuni piccoli alla nascita avevano ancora l’albume non assorbito, ma le nostre raccomandazioni di non toccarli, per la prima volta hanno dato risultati positivi e nessuna baby con sacco vitellino ancora non assorbito è morta.

Nascita di baby Angonoka, nel nostro schiuditoio, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

Nascita di baby Angonoka, nel nostro schiuditoio, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

Nascita di baby Angonoka, prima di essere posta nel nostro schiuditoio, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

 

Il nostro schiuditoio, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.


Schiuditoio all’interno dell’incubatrice, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.


Nascita di baby Angonoka da un nido a terra, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

Nascita della prima baby Angonoka 2013, da un nido a terra, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

Alcune delle 15 baby 2013, nate in incubatrice, foto TCI, autore Agostino Montalti

Una delle 15 baby 2013(nate in incubatrice) dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti

 Una delle 15 baby 2013( nata in incubatrice) dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti

Una delle 15 baby 2013(nata in incubatrice) dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti

Due baby 2013, dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti


Baby Angonoka, dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti

Baby Angonoka, dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti

Baby Angonoka, dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti

Angonoka sub-adulta, dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti

Angonoka sub-adulta, dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti

Baby Angonoka , dopo la pioggia notturna, foto TCI, autore Agostino Montalti

Dopo circa 45 giorni dalla spedizione, il nuovo strumento è arrivato, cominciavamo a preoccuparci, in quanto conosciamo l’efficienza delle poste malgasce. Quindi ritorniamo al centro ed eseguiamo gli ultimi lavori. Per primo sostituiamo la resistenza da 15Watt con una da 50W, poi installiamo il nuovo deumidificatore che abbiamo preparato in Italia. Si tratta di un apparecchio auto costruito, a basso consumo(60watt) in modo da adattarlo alle nostre esigenze.

Nuovo deumidificatore installato nell’incubatrice TCI, foto TCI, autore Agostino Montalti.

L’ultima fase è dedicata alla taratura e impostazione dei tantissimi dati del nuovo strumento che si rivela veramente all’altezza. L’unico piccolo problema che ci troviamo è un abbassamento un po’ troppo veloce del valore dell’umidità quando entra in funzione il refrigeratore, ma poi la pompa peristaltica compensa abbastanza bene e rialza l’umidità fino al valore impostato.

Combattimenti pre-accoppiamento di adulti di Angonoka, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

Combattimenti pre-accoppiamento di adulti di Angonoka, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

 

Accoppiamento di Angonoka, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

 

Accoppiamento di Angonoka, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

 

Adulto di Angonoka con l’organo sessuale non ancora rientrato, foto Durrell, autore Ernest Bekarany.

Purtroppo non è arrivata l’autorizzazione del Ministero delle Foreste per esportare in Italia i campioni biologici e quindi non effettuiamo i prelievi ematici alle neonate e nonostante il responsabile Ernest fosse riuscito a prelevare 10 campioni di liquido amniotico dalle uova delle 15 nate, non possiamo utilizzarlo; peccato, sarebbe stato un progetto interessante. Vedremo se continuarlo comunque ma sulle uova di Testudo Mediterranee. L’ultima fase dei lavori ci ha preoccupato non poco per il fatto che ci erano arrivate notizie gravissime, tramite articoli di giornale e televisioni, che parlavano di un grosso attacco di banditi armati (ben 42) nel nostro parco (Ankarafantsika), con tutti i turisti che sono stati ripuliti di tutto, fortunatamente poi è risultato sbagliato il nome del parco, ma lavorare con questa paura non è stato gradevole. Adesso l’incubatrice è perfetta e restiamo in attesa della decisione del Durrell di quante uova inserire nella prossima stagione 2014, noi pensiamo che sia importante inserire uova di un periodo abbastanza ristretto (30-40 giorni e non più 100 giorni come quest’anno) in modo da lavorare bene con il programma impostato. Con l’arrivo delle prime piogge è sempre bello vedere gironzolare i camaleonti e qualche serpente, usciti dal periodo di latenza. Capitava spesso di incontrare ragazzi che giocavano o maltrattavano qualche camaleonte ed io ne approfittavo per sequestrarglieli e portarmeli nel mio giardino pieno di alberi o di esemplari che attraversavano pericolose strade che recuperavo.

Camaleonte nel nostro giardino, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Camaleonte nel nostro giardino, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Camaleonte nel nostro giardino, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Numerosi sono stati gli incontri con le Astrochelys radiata che sono nei giardini quasi come da noi le mediterranee. La sorpresa più grande però è stata nel nostro giardino dove il nostro vicino(italiano) ha posizionato un recinto (non c’è recinzione di divisione fra le due case e ci sono diversi servizi in comune) con dentro 4 bellissimi esemplari baby di circa 2-3 anni, acquistati poco prima del nostro arrivo per pochi euro. Che dire, qua è talmente normale averle in giardino che è complicato fargli capire che sarebbe meglio non acquistarle; quindi mi sono limitato a dare consigli sull’alimentazione al guardiano, in quanto poi tocca a lui il compito, loro gli stavano dando solo delle porcherie come frutta e insalata…….. non credo proprio che in mezzo alla foresta spinosa del sud del Madagascar, loro habitat originale, trovino del mango e dell’insalata. Quindi l’ho istruito a ricercare nel vasto giardino le erbe selvatiche commestibili per loro e di alternale il più possibile. Devo dire che in tre mesi di nostra permanenza, sono crescite veramente tanto e benissimo, con una linea di crescita esagerata ma perfetta.

Le 4 baby Astrochelys radiata, nel nostro giardino, foto TCI, autore Agostino Montalti.

 

Una delle 4 baby Astrochelys radiata, nel nostro giardino, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Questa volta abbiamo visto anche qualche coccodrillo selvatico nel lago dietro al centro di riproduzione. Sono molto pericolosi, quest’anno ci sono state due vittime fra i pescatori locali.

Coccodrillo nel lago del parco di Ankarafantsika, per la pericolosità la foto è stata scattata da lontano, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Un episodio curioso è stato il ritrovamento in giardino di una coda di un piccolo lemure Catta, probabilmente portata dai tanti cani che di notte non ci fanno dormire.

Coda di un piccolo Lemur catta, trovata nel nostro giardino, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Visto che avevamo anche molto tempo libero e da settembre a fine novembre c’è la stagione del vento, un po’ di kitesurf nella bella spiaggia di Petite Plage, con vento medio non è affatto male.

Spiaggia di Petite Plage (Mahajanga) con il villaggio dei pescatori, foto TCI, autore Agostino Montalti.

 

Tramonto sulla spiaggia di Petite Plage (Mahajanga), foto TCI, autore Agostino Montalti.

 

Agostino Montalti nella baia di Petite Plage (Mahajanga), in versione Kiter, foto TCI, autore Belletti Daniela.

In questa seconda missione 2013 (è la prima volta che ne facciamo due nello stesso anno) non avevamo soldi raccolti da donare ai bambini poveri sotto forma di materiali scolastici, come avevamo fatto ad aprile, forse per questo il contatto coi bimbi ci mancava e durante le tante giornate nella parte di vacanza, che trascorrevamo in spiaggia, piano piano si sono avvicinati a noi molti bambini a cui abbiamo fatto “l’errore” di iniziare a dare qualche dono. Abbiamo iniziato con qualche caramella o gelato e poi un pomeriggio abbiamo regalato dei palloncini gonfiabili; non l’avessimo fatto…… in pochi minuti tutti i bimbi(e non solo bimbi piccoli) del villaggio di pescatori sono arrivati, e qui ce ne sono veramente tanti. Insomma, il sole era ormai tramontato e eravamo attorniati ancora da centinaia di bimbi che attendevano i palloncini. Da quel giorno, ogni bimbo del villaggio gironzolava attorno a noi e chiedeva “balom?” imparando così, come si chiamavano in malgascio, parlando questi solo nella lingua locale. I giorni successivi abbiamo rincarato la dose, portando anche racchettoni e due frisbee, questi mica li avevano mai toccati e poterci giocare per la prima volta per loro era una cosa inimmaginabile. Bellissimo era vederli giocare ed attendere con pazienza il proprio turno in quanti veramente tanti. Ci sembrava di essere in una scuola materna all’aperto. Poi il giorno di Natale abbiamo fatto di grosso, con distribuzione di tantissimi doni(i soliti palloni che erano i più ambiti, biscotti, caramelle, gomme da masticare e Chupa-Chups), la piccola spiaggia era affollatissima, c’erano almeno 150-200 bambini in fila per ricevere qualche dono. Purtroppo ci siamo affezionati ad alcune bambe che ci cercavano sempre, in spiaggia e in acqua, Tre delle nostre preferite le abbiamo portate due volte a casa nostra, con il permesso della nonna(non avevano i genitori), esperienza toccante e irripetibile, si sono mangiate tantissimi spaghetti e tutto quello che mettevamo a tavola, era un piacere vederle mangiare, soprattutto quando dovevano mangiare gli spaghetti che non conoscevano e non sapevano che dovevano essere arrotolati. Tantissime cose che a noi sembrano banali, per loro erano una scoperta ed era simpaticissimo vedere questi bimbi sempre allegri e spontanei. Era diventato difficile stare in spiaggia, alla sera arrivavamo a casa distrutti ma felici. Il problema veramente grosso è stato la partenza, sia per noi che per i bambini e un po’ di lacrime non sono mancate. Sapevamo che forse non era un bene per i bambini tutto l’affetto che gli abbiamo donato e poi negato all’improvviso per la partenza, ma queste cose non si cercano, anzi devo dire che loro ci hanno cercato e scelto, in fondo poi in spiaggia c’erano tanti altri stranieri bianchi che avrebbero potuto fare le stesse cose. Questa esperienza ci ha toccato il cuore e sarà difficile dimenticarla, ma la vita continua e dovremo considerarla un tassello del nostro cammino.

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

 

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

I “nostri bambini” in spiaggia, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Le “nostre bimbe” a casa nostra mentre divorano il cibo, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Una delle “nostre bimbe” a casa nostra mentre si diverte a disegnare, foto TCI, autore Agostino Montalti.

La sera della vigilia di Natale siamo stati invitati ad una festa simpatica, dove oltre al tanto cibo si è ballato fino notte fonda e devo dire che i giovani malgasci hanno fatto la parte da leone, ballando tantissimo, loro la musica ed il ballo l’anno nel sangue, sono poverissimi ma ballare non costa nulla e rende allegri. Abbiamo capito che le feste natalizie qui sono percepite in altro modo, si festeggia la sera del 24 dicembre, fino all’alba, così come la notte del capodanno, ma soprattutto per bere birra, rum e ballare, il senso religioso è poco sentito.

Balli durante la festa della vigilia di Natale 2013, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Simpatico l’incontro con un lemure che probabilmente era addomesticato, visto che mi è venuto nelle mani per mangiare un po’ di banana, fa sempre una strana e delicata sensazione sentire i morbidissimi polpastrelli delle zampe e mani e l’estrema leggerezza del corpo.

Incontro simpatico, per strada, con un piccolo lemure, foto TCI, autore Agostino Montalti.

Ritornando alle tartarughe, abbiamo intercettato anche un trafficante di Angonoka che cercava di vendere una ventina di baby, ma non avendole con se, ci siamo limitati a far finta di essere interessati e chiedere il numero di telefono che abbiamo poi passato al Durrell, con la speranza che loro riescano fare qualcosa per beccarlo, anche se ci credo poco. Poi abbiamo visto una baby di circa 3-4 anni in un giardino di un francese ma qui la situazione è complicata e si vedrà in futuro che fare. Ed eccoci nuovamente in partenza per il ritorno in patria, giusto per il capodanno, dopo aver passato un Natale “strano”, con tanto caldo e a mollo nel mare del Madagascar…… e difficilmente ci dimenticheremo delle scorpacciate di mango succulenti e di litchi dolcissimi, ma ci rendiamo conto che c’è chi sta peggio di noi ……….. Con il cuore in gola, salutiamo il nostro meraviglioso Madagascar augurandoci di ritornare presto, ormai l’abbiamo nel sangue.

Testa di Astrochelys yniphora adulto, foto TCI, autore Agostino Montalti. Autore articolo: Agostino Montalti

 

Autore articolo:

Agostino Montalti

 

 

 

Pubblicato in Progetto TCI Angonoka
Lunedì, 23 Giugno 2014 13:16

Progetto TCI Angonoka 2013 parte 1

Lavori 2013

 

27 marzo 2013, primo giorno a Tana, la capitale del Madagascar e decidiamo di visitare lo Zoo pubblico; da tanto tempo c’era la curiosità perché sapevamo che detenevano diverse tartarughe, compresa qualche Angonoka. Come per tanti altri luoghi, il biglietto per i malgasci è bassissimo mentre per i vasah (nome che viene dato a tutti i bianchi, ad eccezione degli asiatici e indiani anche se di pelle bianca,questa poi non l’ho ancora capita…), che pagano 25 volte in più. Lo zoo non è altro che gli ex giardini della regina, molto grande, considerando che è praticamente in centro città, con due grandi laghi e spazi immensi di verde. Le prime tartarughe che incontriamo sono 3 belle Aldabrachelys gigantea in un grande recinto e con molta acqua a disposizione.

Non è che ci siano molti animali, ma molto bella è la zona coi lemuri che entrando all’interno, con una mancia i guardiani ti fanno toccare per dargli da mangiare un po’ di miele. Vediamo un bel gruppo di Astrochelys radiata,

tenuti abbastanza male in un piccolo recinto, ma il peggio lo vediamo all’interno del reptilario dove in una grande teca ci sono 6-7 A.radiata in condizioni pietose,

tutte con evidenti segni di malattia M.O.M., senza lampade UVB e alimentazione sbagliata. Abbiamo parlato col custode che in un primo momento si riteneva soddisfatto della crescita piramidizzata, evidentemente a lui piacevano così, ma quando gli abbiamo spiegato la malattia, non era più tanto sicuro di se, anche se sappiamo che finchè verranno tenute lì non hanno alternative (povere bestiole). Purtroppo o forse meglio dire per fortuna, di Astrochelys yniphora neppure l’ombra, sono state portate via da molti anni.

Il nostro viaggio prosegue verso la prima meta importante, ed eccoci arrivati nella bella e tranquilla Mahajanga, la nostra città di appoggio, sulla foce del fiume Betsiboka e sul mare che guarda verso il canale del Mozambico, carichi come degli zebù e stanchi per il lungo viaggio, ci prediamo un po’ di tempo per riorganizzare le idee e poi inizia la ricerca dei materiali di cui era previsto l’acquisto in loco; soprattutto l’acquisto dei materiali scolastici per i bambini. Purtroppo quest’anno la raccolta fondi è stata più bassa dell’anno precedente e per giunta la richiesta di aiuto arrivata è stata di 62 bambini in più e quindi ci siamo impegnati il doppio per trovare i prodotti a prezzi più bassi ma con l’intento di accontentare tutti i 262 bambini di 3 scuole all’interno del parco di Ankarafantsika. Tutto sommato la ricerca a dato buoni risultati e siamo riusciti a riempire un Pickup con diversi quintali di articoli vari e zainetti. Per ultimo abbiamo acquistato dei materiali elettrici che ci mancavano per l’installazione del sistema di allarme nella nuova quarantena situata nel centro di riproduzione di Ampijoroa (parco di Ankarafantsika).

Il giorno della partenza, verso il parco di riproduzione delle Astrochelys yniphora, chiamate Angonoka dai locali, ci si sveglia di buon ora ma l’appuntamento slitta di diverse ora per via di un guasto tecnico alla vettura, ma questo è il Madagascar, dove gli appuntamenti non sono mai sicuri; finalmente si parte, con la consapevolezza che già mezza giornata del primo giorno è già persa, tra ritardi e percorso stradale. Arrivati poco prima di mezzogiorno (speravo al massimo nelle 8 di mattina, ma ormai ho acquisito la filosofia malgascia e non me la prendo più), iniziamo subito a testa bassa coi lavori più duri, con un tasso di umidità e temperatura molto alto, siamo alla fine della stagione delle piogge e il caldo/umido si fa ancora sentire, poi c’è da considerare che siamo in mezzo ad una foresta.

Subito ci vengono a trovare alcuni lemuri Sifaka, i miei preferiti, con il candido mantello bianco e macchie marroni, sono di un’eleganza incredibile. Ho imparato il loro classico richiamo e rimangono un po’ ad osservarmi, prima di partire con grandi slanci fra i rami delle piante secolari del parco.

Il primo lavoro è l’installazione del sistema di sicurezza nella nuova quarantena che è ormai già piena di esemplari nei 12 scompartimenti creati .

Riconosco subito il nostro Norbert 1017 

l’esemplare più grande al mondo, salvato nel 2010 dal Tarta Club Italia, che fino a pochi mesi fa era ancora ad Antananarivo dove la sua quarantena prevista ha subito un “incidente” di percorso; in pratica qualcuno per errore lo ha inserito insieme ad altri esemplari, quindi la quarantena è stata iniziata da capo, ma il suo inserimento nella zona di riproduzione è imminente. Comunque ora qui le temperature sono molto più idonee della capitale dove nei mesi invernali arriva anche a 7/8° C notturni anziché minime di 18/19°C della zona di origine di Soalala. Nella nuova quarantena constato subito un nuovo problema sorto da qualche mese; l’attacco dei ratti che hanno mangiato parte delle zampe di alcuni esemplari piccoli 

e purtroppo ad uno si è provveduto ad installare sotto al carapace due piccole ruote in modo da permettergli comunque la mobilità, anche se vederla fa veramente pena. Il personale è corso subito ai ripari, installando una ulteriore fitta rete metallica e di sera tutti i piccoli esemplari vengono ricoverati in grandi contenitori plastici con rete metallica sopra. Lo stesso trattamento è riservato a tutte le circa 85 Pixys planicauda (chiamate Kapidolo dai locali) che sono in una recinzione a fianco.

Installiamo tutti i sensori lungo la rete di recinzione che qui è anche su tutto il sopra, poi i fari al LED, le canaline, i contatti magnetici e tutti i cavi elettrici fino alla centrale elettronica, vero cuore di tutto il sistema. Nel frattempo, nella zona delle deposizioni, abbiamo installato il nuovo Data-Logger che dovrà andare nel parco di Soalala, solo per qualche giorno in modo da rilevare un po’ di dati qui nel centro, da prendere come spunto per l’impostazione dell’incubatrice dopo le modifiche che faremo nei prossimi giorni. Finiti tutti i particolari ed i primi test, ci spostiamo nella zona dove abbiamo tutte le apparecchiature elettroniche ed installiamo i nuovi componenti per la sezione della quarantena.

Effettuiamo tutti i test di funzionalità e tutto fila liscio; la prima parte è finita. Passiamo quindi alle modifiche sostanziali dell’incubatrice; in pratica la “denudiamo“ tutta, lasciando solo il contenitore e iniziamo con l’installazione del nuovo sistema di raffreddamento formato da un compressore e due griglie che fungono da radiatori di cui una interna che fa freddo 

ed una esterna che scambia il caldo,

materiali che vengono usati nei frigoriferi da hotel. Poi al momento di installare la parte centrale interna, dove va posizionata la resistenza elettrica per la funzione di riscaldamento, ci accorgiamo che manca questa resistenza: PANICO!!!!! La testa inizia subito a girare a mille, forse è rimasta in città, forse in Italia…… già pensiamo di sospendere tutto e di tornare in città per richiedere una spedizione del pezzo, considerando che impiegherebbe quasi un mese……. Iniziamo quindi a ispezionare tutte le borse e valigie e… miracolosamente salta fuori, nascosta in un sacchetto, ma che mi fa fare un urlo di gioia; proprio l’idea di dover sospendere tutto non mi andava giù. Avevo studiato per tanti mesi tutto nei minimi particolari e non potevo ammettere una tale dimenticanza. Ormai è quasi buio ma il morale è di nuovo alto e continuo fino all’installazione del canale centrale con la ventilazione forzata e i due sistemi di raffreddamento/riscaldamento,

poi molliamo e tutti sudati sospendiamo i lavori con appuntamento alla mattina seguente. Purtroppo in camera niente luce (promessa il primo giorno) e acqua a goccia nel vero senso della parola, per cui lavarsi è veramente un’impresa, poi cena malgascia in un villaggio vicino e poi a nanna. La mattinata trascorre veloce nell’installazione di tutte le rifiniture dell’incubatrice come la pompa peristaltica, il sistema di temporizzazione per diminuire il flusso dell’acqua che crea umidità all’interno e per finire la nuova centralina elettronica.

Poi iniziamo i vari test e lasciamo l’incubatrice in funzione per stabilizzare i parametri e portarla al limite per vedere come si comporta. Nel frattempo dissotterriamo il Data-Logger per scaricare i dati, nella posizione delle deposizioni delle uova, per renderci conto delle variazioni termiche ai vari orari della giornata. Dopo di chè inizia lo studio delle 96 temperature da impostare nella nuova centralina elettronica; 24 per giorno, con 4 programmi che imitano 4 diverse stagioni, con ciascuna un tasso di umidità diverso. La decisione delle 96 temperature è di grande responsabilità per noi, in quanto i risultati dipenderanno soprattutto da questi parametri impostati; il tutto è studiato analizzando le temperature medie mensili della zona di Mahajanga che è sul mare, quindi molto più simile al parco di Soalala (unica zona di distribuzione naturale delle Angonoka) che anch’esso è sul mare anche se circa 100Km più a sud, rispetto al parco di Ankarafantsika che è all’interno e a mio parere molto diverso sia come parametri che come caratteristiche di compattezza del suolo. Il prossimo mese installeremo il nuovo Data-Logger nella zona di Soalala per almeno 12 mesi e così verificheremo i parametri corretti, anche in riferimento a quelli che impostiamo ora. Per iniziare impostiamo una prima serie di temperature anche per testare l’incubatrice il più tempo possibile prima di inserirvi le uova. Rimane qualche ora del pomeriggio e ne approfittiamo per iniziare a spacchettare tutti i materiali per i bambini e inserirli tutti dentro ai 262 zainetti,

facendo attenzione a non sbagliare; per fortuna abbiamo a disposizione un tavolo molto grande dove mettiamo meticolosamente in fila tutti gli oggetti in modo da passare a prenderli uno per uno ed infilarli dentro a ciascun zainetto.

In foto 22 si vedono tutti gli articoli destinati ad ogni zainetto. L’operazione, anche se siamo in quattro, si presenta molto lunga e si fa tardi per finire. Inoltre, faccio notte fonda per decidere tutti i parametri definitivi da impostare la mattina seguente. Di buon mattino completo la regolazione della centralina e partiamo per la distribuzione dei doni ai bambini delle scuole di Ambodimanga (76), Belalitra (150) e Ambalafomby (40), per un totale di 262 alunni. Come sempre l’esperienza è toccante; vedere questi bambini tutti sporchi ma sempre allegri e con degli occhi bellissimi e la timidezza disarmante verso chi gli porta doni così importanti, non si può rimare indifferenti.

Lo sforzo fatto per rimediare i soldi, le tante difficoltà per la ricerca dei materiali giusti e la fatica per riempire i 262 zainetti, sono ampiamente ripagati. La prima scuola è sulla strada nazionale 4, quindi facilmente raggiungibile, ma le altre due sono all’interno della foresta e la strada è veramente difficile da percorrere con il fuoristrada stracarico.

Alla seconda scuola ci dicono che la strada per la terza scuola non è praticabile e quindi arriveranno lì i bambini della scuola per riunirsi in una unica distribuzione; ovviamente i bambini arrivano alla spicciolata e stanchi visto che dista molti chilometri, ma il sorriso non manca comunque. Qui finita la distribuzione, si passa ai ringraziamenti ed è organizzata una piccola cerimonia con “buffet” malgascio con bibite calde e biscotti vecchi,

con tutte le autorità della zona; ovviamente questo per loro è un avvenimento che ricorderanno e parleranno a lungo. Finita la cerimonia si riparte per il viaggio di ritorno e rimane il tempo per la modifica della posizione dell’incubatrice che dall’ufficio in cui rimaneva molto caldo anche di notte, viene spostata in un nuovo locale molto aerato, posto all’interno della recinzione; in questo modo sicuramente le condizioni di lavoro con caldo estremo saranno ridotte. Ora che l’incubatrice è a posto e lavora bene, si procede a dissotterrare 33 uova dalla terra per posizionarle al suo interno:

durante gli scavi, un uovo risulta attaccato dalle termiti 

e quindi le uova diventano 32. Rimane il tempo per scattare un po’ di foto e qualche video e la giornata svolge nuovamente a termine,

non prima di controllare le 7 piccole nate nel 2011

(le prime in incubazione artificiale) e le 7 nate nel 2012.

Nel centro, da tempo ci sono anche 18 Astrochelys radiata provenienti da vari sequestri 

che sono in procinto di partire per il centro di recupero di Ifaty, al sud del Madagascar, sua zona di origine, in cassoni già pronti,

in attesa dell’autorizzazione delle autorità. Constatiamo anche che le cucine solari donate nel 2012 sono utilizzate e lavorano a pieno ritmo,

facendo risparmiare tanto carbone che vuol dire meno deforestazione.

La mattina seguente si carica tutto il materiale per i lavori di Soalala e le valigie personali e si ritorna a Mahajanga, la città di appoggio, dove inizierà lo studio di tutti i particolari e la preparazione dei materiali mancanti per l’ultimo lavoro che necessita di un’attenzione maniacale in quanto in quel sito molto difficile da raggiungere, ci si trova letteralmente fuori dal mondo ed il minimo particolare farebbe rischiare l’annullamento e quindi il fallimento dell’ultima missione. Per questo ci prendiamo il tempo dovuto.

Nel frattempo, in occasione della giornata mondiale dell’ambiente (5 giugno), il Durrell ha organizzato una importante festa dei villaggi all’interno del parco di Ankarafantsika e noi ne abbiamo approfittato per fare qualche dono a chi si è distinto a scuola; altri zainetti pieni di materiale scolastico.

Una brutta notizia: La direzione di Tana, del Durrell, tarda a decidere la data della spedizione e comincio a preoccuparmi un po’, non vorrei che saltasse nuovamente questo ultimo lavoro, come l’anno precedente. In fine, il responsabile dei progetti in Madagascar, Lance Woolaver, mi contatta e mi dice che dobbiamo incontrarci al centro per discutere del programma che ha subito modifiche per via di una brutta notizia. Fin dalla spedizione 2011 nel parco di Soalala, dove vedemmo due tipi cinesi in giacca e cravatta che ci dissero cercavano ferro nella regione, aleggiava nell’aria una notizia terrificante, se veramente avessero trovato il ferro, sarebbe stata la fine per il parco e per i progetti di salvaguardia delle nostre Angonoka, unica zona del Madagascar dove possono ancora vivere in natura, se pur in difficoltà per la continua opera dei bracconieri. Il progetto stava andando a gonfie vele, infatti iniziavano a trovarsi le prime nascite dagli 80 esemplari rilasciati con radiocomando, nella zona di Baeaboaly, dove qualche anno fa erano estinte, con 2 esemplari baby ritrovati e 10 quest’anno. Alcuni degli esemplari hanno 3-4 anni, quindi sin dai primi rilasci ci sono state riproduzioni. Questi ritrovamenti sono la testimonianza che il progetto funziona e i rilasci cominciano a riprodursi naturalmente. Tutte le piccole ritrovate sono poi state rilasciate con installato un micro-radiotrasmettitore che dura circa 6 mesi, per controllare le loro zone di permanenza. Il nostro sistema di allarme doveva essere installato in un recinto di pre-rilascio, in quanto gli esemplari che ogni anno vengono rilasciati (20 per anno), devono adattarsi un poco e tenerli quindi sotto controllo, ma la notizia dei ritrovamenti aveva già fatto pensare alla direzione di iniziare i rilasci in una nuova zona, quindi l’installazione di un nuovo recinto che poi il Tarta Club Italia avrebbe installato i già collaudati sistemi di allarme. Ma una agghiacciante notizia è arrivata come un macigno; sapevamo che i cinesi avevano trovato un giacimento di ferro, ma speravamo che fosse lontano dalle zone popolate dalle nostre Angonoka, invece dista solo 23 Km dalla zona a maggiore densità delle 4 popolate. Inoltre, sicuramente i cinesi cercheranno di fare un nuovo porto per esportare il ferro, o un aeroporto (o ancora peggio entrambi) e le uniche due aree marine con profondità di fondale per fare un nuovo porto, sono posizionate in modo tale che una nuova strada verso la miniera le attraverserà. Entro pochi anni è previsto l’arrivo di circa 35.000 persone da tutto il mondo, ma specialmente cinesi, dei quali si conosce la quasi totale mancanza di rispetto verso gli animali e la natura; questo decreterà la fine dell’area protetta e le nostre Angonoka non avranno più una terra dove sopravvivere, probabilmente rimarranno solo nel centro di riproduzione e nei parchi dove verranno affidate dopo i sequestri. Lo sfruttamento di una miniera, probabilmente durerà qualche decennio, poi alla fine in quella zona per centinaia di km rimarrà solo deserto, in quanto la città che nascerà poi quando la materia prima finirà, così come è nata, scomparirà, essendo in una zona remota senza altre risorse; e la cosa più triste è che al popolo malgascio di tutta quella ricchezza non rimarrà nulla, se non in tasca di qualche politico locale, così rimarranno ancora poverissimi e senza risorse.

Noi nel frattempo consegniamo il nostro Data-logger al responsabile che provvederà alla prima spedizione di inserirlo nella zona di Soalala, per rilevare i dati di tutto l’anno, importantissimi, che serviranno in futuro, anche se il clima in quella zona si modificherà.

Quindi quest’anno ritorniamo con l’amaro in bocca, nonostante i buoni risultati dei lavori eseguiti; ma non vogliamo fasciarci la testa prima del disastro. Ad ogni modo avremo contribuito a prolungare la scomparsa della specie; chissà che non troviamo una zona dove sia possibile rilasciarle e proteggerle, ma sarà indispensabile l’aiuto delle autorità malgascie, chissà che le nuove elezioni imminenti, non cambino qualcosa…….

Ringraziamo l’amico e socio Maurizio Bellavista per l’aiuto nella progettazione della nuova incubatrice.

Agostino Montalti

 

 

 

Pubblicato in Progetto TCI Angonoka
Lunedì, 23 Giugno 2014 13:11

Progetto TCI Angonoka , programma 2013

 

 

 

Partenza 26 marzo per la missione 2013 in Madagascar.

Tutto è pronto per la partenza dei volontari del Tarta Club Italia per il Madagascar, ormai consueta meta di uno dei suoi progetti naturalisti, il “Progetto TCI Angonoka”, per salvare la testuggine più rara al mondo, l’Astrochelys yniphora, denominata Angonoka dai locali, ma anche aiutare i bambini poverissimi di alcuni villaggi in mezzo alla foresta del parco di Ankarafantsika, nel nord-ovest dell’isola rossa, così è denominata l’isola; una volta era chiamata l’isola verde, ma dopo 50 anni di selvaggi disboscamenti la foresta si è ridotta ad un misero 20-25%, dovuti soprattutto alla scellerata scelta di creare pascoli per l’allevamento degli zebù con l’uso selvaggio degli incendi ed al bisogno di carbone per cucinare. Specialmente la parte sud dove gli allevamenti sono più intensivi, ormai si sta desertificando con conseguente diminuzione delle piogge stagionali e di pari passo con l’impoverimento delle popolazioni che sono ora veramente in condizioni pietose. Purtroppo in questo paese poverissimo c’è da tempo anche una forte crisi politica che sta sperperando le grandi risorse naturaliste ed energetiche a vantaggio dei paesi emergenti che sono affamati di materie prime e non sono minimamente rispettosi dell’immenso patrimonio di biodiversità che ancora resiste con grandi difficoltà in questo meraviglioso paese.

L’impegno dell’associazione Tarta Club Italia è iniziato nel 2009 ed è di supporto ad un progetto già esistente denominato “ Project Angonoka”, gestito dall’associazione internazionale Durrell Wildlife Conservation Trust allo scopo di portare nuove energie per migliorare la salvaguardia di questa rarissima specie che purtroppo è ambitissima dai collezionisti di tutto il mondo. Qui si possono leggere i particolari dei lavori eseguiti dalla nostra associazione : http://www.tartaclubitalia.it/progetto-tci-angonoka .

Solo 50 anni fa in tutta l’isola erano conosciuti solo 17 esemplari e si decise di costruire un piccolo centro di riproduzione dove fra impegno di alcuni “eroici pazzoidi” e furti, si è arrivato ad un numero attuale di circa 600 esemplari fra quelli in natura e quelli nel centro di riproduzione. L’azione del Tarta Club Italia si è da prima rivolta verso l’aspetto della sicurezza del centro, installando nuovi sistemi ad altissima tecnologia (italiana) che si sono rilevati molto efficienti, ma poi oltre alla donazione di molto materiale tecnico per il centro (microscopio, strumenti per rilevare il battito dentro le uova, fotocamere digitali, GPS e tanti prodotti medicinali e tecnici) si è impegnata anche nell’incubazione artificiale donando una incubatrice professionale per migliorare i risultati delle schiuse delle preziose uova.

Era però impossibile non farsi coinvolgere dai tanti bambini poverissimi di quella regione ed è nata così anche una raccolta fondi che ogni anno ci permette di portare personalmente aiuti concreti con materiali di cancelleria per permettere ai bambini di andare a scuola. Nel 2012, abbiamo anche consegnato a 4 villaggi, 4 cucine solari che permettono di cucinare il cibo (soprattutto riso) e diverse cucine a legna e carbone ad alta resa che permette il risparmio del 50% di carbone o legna; questo allo scopo di diminuire il disboscamento .

Ora, la nuova missione 2013 consiste il grandi linee nell’installare altri due sistemi di sicurezza, uno in un nuovo recinto di quarantena ed uno in un luogo remoto che viene usato come pre-rilascio degli esemplari sub-adulti, oltre ad una importante modifica dell’incubatrice per renderla sempre più efficiente. Inoltre, porteremo nella zona dove vivono in natura questi rari esemplari (parco di Soalala) un prezioso strumento (Data-logger) che memorizza i dati di temperature e umidità di tutto l’anno, allo scopo di ottimizzare i risultati della nostra incubatrice che è in un altro parco.

Questi i dettagli della nuova missione:

La preparazione dei materiali per il programma 2013 è lunga e occorre tanta pazienza, con vari test per evitare sorprese in luoghi dove anche un piccolo particolare diventa una montagna da scalare.

questi i 5 punti principali del programma 2013:

  1. Installazione sistema di allarme nel nuovo recinto di quarantena. 
  2. Modifiche all'attuale incubatrice.
  3. Installazione del sistema di allarme nel recinto di pre-rilascio nel parco di Soalala.
  4. Installazione del sistema Data-Logger nel parco di Soalala per rilevare temperature e umidità.
  5. Aiuti ai bambini poveri dei villaggi limitrofi al centro di riproduzione di Ampijoroa.

Descrizione dei 5 punti:

1)A fine 2012 nel centro di recupero di Ampijoroa, è stato costruito un recinto di quarantena per ospitare sopratutto gli esemplari sequestrati sopratutto negli aeroporti e ci andranno anche i due esemplari che ha recuperato il TCI nel 2010 e 2011. Prima di questo gli esemplari erano tenuti ad Antananarivo nella sede malgascia del Durrell, ma le temperature per molti mesi non sono idonee, compreso i piccoli spazi. Nel luglio scorso, mentre era in costruzione, abbiamo preso tutte le misure per i nuovi materiali per proteggere anche questo spazio, che ora abbiamo acquistato e assemblato; rimangono solo alcuni cavi e guaine di protezione che acquisteremo in loco.

2)Alla fine della scorsa stagione di incubazione, l'incubatrice faceva fatica ad abbassare la temperatura interna, in quanto esternamente era veramente alta; la minima notturna, all'interno dell'ufficio dove è posizionata non scendeva sotto i 30°C mentre di notte è impostata circa sui 24°C. Questo ci ha fatto pensare che ci fosse anche un problema nel sistema di raffreddamento formato da celle di Peltier; purtroppo sapevamo già che questo è un punto critico,  tale celle hanno il problema di un forte assorbimento di corrente e non molta affidabilità nel tempo. Da noi, in Europa il problema solitamente è il riscaldamento, quindi il raffreddamento è sempre stato poco studiato, mentre nel centro di riproduzione in Madagascar è il contrario e comunque questa specie necessita di tempi di utilizzo dell'incubatrice molto lunghi (10-11 mesi) che mettono a dura prova i materiali.  Proprio per questa poca sicurezza, stavamo pensando da tempo di modificare il sistema di raffreddamento, tanto che nella nostra scorsa missione abbiamo fatto delle prove di temperature a 100cm sul sottosuolo per vedere se la temperatura era più bassa, per studiare un sistema ad acqua con tubo sotterrato, ma abbiamo verificato che c'era poca differenza di temperatura, quindi scartato il sistema. Una volta tornati a casa,  abbiamo iniziato a studiare altri sistemi, fermo restando che si devono considerare parametri fondamentali come affidabilità, basso consumo di energia ed efficienza nel raffreddamento,   arrivando a puntare su un sistema ben collaudato ma non utilizzato nelle incubatrici, cioè un sistema con mini-compressore a gas e due radiatori di cui uno esterno ed uno che viene posizionato all'interno dell'incubatrice. Abbiamo trovato un piccolo compressore che consuma solo 30W (contro i 250 delle celle di Peltier) utilizzato nei piccoli frigoriferi delle camere degli hotel,  quindi molto affidabile e con un potere di raffreddamento notevole.   Già da un anno stavamo studiando un nuovo tipo di centralina elettronica che ci siamo fatti costruire su misura, in cui possiamo impostare 24 temperature durante la giornata e il valore di umidità, ricreando così alla perfezione i parametri voluti,  con linearità. Inoltre il nuovo strumento è impostabile con 4 programmi per simulare al meglio 4 stagioni.  Abbiamo acquistato anche una piccola pompa perilstaltica che fornisce gocce di acqua su un panno-spugna posto sulla base dell'incubatrice che viene controllata sempre dalla centralina per regolare l'umidità. Abbiamo costruito una piccola copia dell'incubatrice in legno, dove stiamo ultimando le prove con tutti i nuovi materiali che sono da mettere a punto in tutti i particolari, ma abbiamo già verificato l'elevata efficienza del nuovo sistema di raffreddamento.

3)Di questo impianto ne era prevista l'installazione già nella missione 2012 ma il Durrell non riuscii a terminare i lavori in tempo e il materiale l'abbiamo lasciato nel centro in attesa di installarlo nel 2013. Restano da acquistare in loco alcuni materiali come cavi elettrici, guaine di protezione, una batteria ed un piccolo pannello fotovoltaico.  Tutto il sistema sarà installato nella stagione secca in quanto nel parco di Soalala è molto difficile arrivarci , è proprio fuori dal mondo.

4)Il Data-Logger è uno strumento che rileva i dati di temperatura e umidità per lunghi periodi, dopo di che i dati possono essere scaricati su un notebook .   Questo studio serve per conoscere i parametri nel luogo dove vivono le Astrochelys yniphora (parco di Soalala) per poi impostarli nella nostra incubatrice che invece è nel parco di Ankarafantsika (circa 300-400 km di distanza in linea d’aria), dove la foresta è più alta e probabilmente i parametri differiscono un pò.  La ricerca di uno strumento adatto alle nostre esigenze non è stata facile in quanto quasi tutti i prodotti in commercio, anche più economici, erano con sonde per rilevamento dell'umidità in aria e non nel terreno.  Finalmente abbiamo trovato delle sonde specifiche per essere infilate sul terreno, sia per l'umidità che per la temperatura, ma i costi si sono rilevati altissimi e abbiamo dovuto prolungare ulteriormente le nostre ricerche che si sono dirette verso uno strumento che riteniamo sia perfetto per noi. La durata della batteria è di ben 3 anni, ma sicuramente scaricheremo i dati ogni anno, impostando i rilevamenti ogni ora. 

5)Al momento la raccolta dei fondi da destinare ai bambini poveri del Madagascar è ferma a circa 1.200 euro che abbiamo recuperato durante l’ultima edizione della nostra grande mostra TARTARUGHE BEACH e dai soci dell’associazione,  ma speriamo che all’ultimo momento in qualche altra donazione.  Dopo di che al nostro arrivo in Madagascar, penseremo come usarli al meglio,  prima ci sentiremo coi nostri amici del centro per decidere cosa acquistare e a quali scuole distribuire i nuovi doni, documentando poi tutte le consegne. Oltre alle consegne degli aiuti, svolgeremo dei corsi di educazione ambientale e del valore della salvaguardia degli animali; devono comprendere che valgono molto di più da vivi che mangiarseli.

Ovviamente non vediamo l'ora di ripartire per la nuova missione 2013 !

Rifacciamo l'appello per chi volesse donare qualcosa sia per il progetto che per i bambini poveri, basta scriverci e prenderemo accordi : Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Agostino Montalti

(presidente Tarta Club Italia)

www.tartaclubitalia.it

 

 

 

Pubblicato in Progetto TCI Angonoka
Lunedì, 23 Giugno 2014 12:29

Madagascar, missione Tarta Club Italia 2012

 

 

 


Partenza 5 marzo 2012, L'aereo arriva ad Antananarivo(chiamata Tana dai locali) con due ore di ritardo, cambio i primi euro con la moneta locale(Ariary)e prendo un taxi; quando arrivo d'avanti all'Hotel Shangai sono ormai le 3 di notte ed è tutto chiuso, nonostante mi avessero assicurato che c'era sempre qualcuno a ricevermi, ma questo è il Madagascar e sono costretto a cercare un altro hotel, sapendo che di notte Tana non è raccomandabile. Ovviamente il primo che trovo è molto caro ma non vale la pena di rischiare. Sveglia abbastanza presto e parto per l'ufficio del Durrell, dove la mattina trascorre veloce tra un pò di chiacchiere con il responsabile Richard e l'amico Lance, oltre a fare visita al mio Norbert 1017, l'Angonoka più grande al mondo, da me recuperata poco più di un anno e mezzo fà, che si trova ancora qui per finire la quarantena e fra pochi mesi sarà trasferita nel centro di riproduzione di Ampijoroa, dove il clima è un pò più idoneo a lei (o meglio "lui", visto che è un maschio). Ci sono anche diversi altri esemplari confiscati di diverse dimensioni, da piccolissime a sub-adulti e adulti, tutti molto belli. Al pomeriggio ho programmato un incontro con una ragazza malgascia che è specializzata nelle tartarughe ed impegnata in un progetto americano per la salvaguardia delle Astrochelys radiata, nel sud del paese. Riesco ad incontrarla e parliamo un pò dei suoi progetti; forse lei rimane un pò delusa in quanto io a nome dell'associazione non posso prendere impegni immediati, ma il mio intento era quello di verificare i suoi progetti ed in secondo momento analizzarli con il consiglio direttivo e prendere una decisone . Rimaniamo d'accordo che analizzeremo seriamente i progetti che ci invierà e se sarà possibile daremo un aiuto concreto. Il giorno 7 parto per Mahajanga, la città di riferimento per tutti i lavori che faremo. Avevo previsto di partire per il centro di Ampijoroa il lunedì 12, ma la ricerca dei materiali mancanti si è verificata complicata e lunga, quindi ho rinviato a mercoledì 14. Una settimana è volata via nella ricerca dei materiali, specialmente quelli da donare ai bambini di 3 scuole nel parco di Ankarafantsika; trovare 200 zaini per altrettanti bambini, si è rilevata una impresa ardua e sono dovuti arrivare da Tana. Difficile anche la ricerca di due grosse batterie da 200 Ampere che servono per alimentare il sistema di emergenza della nostra incubatrice ad Ampijoroa. L'importo recuperato per i bambini poveri, grazie alle donazioni dei soci ed amici, quest'anno è stato di 1600 euro, quindi con quello che è rimasto dall'acquisto degli zaini, ho acquistato tutto materiale scolastico da metterci dentro a ciascuno ed esattamente:

  • 1 quaderno grande
  • 8 quaderni piccoli
  • 2 quaderni piccoli ma con molte pagine
  • 1 Kit comprendente righello, 2 squadre, goniometro ecc.
  • 1 confezione di 12 matite colorate
  • 3 penne blu
  • 1 matita
  • 1 gomma
  • 1 temperino

poi ho acquistato anche 4 palloni da calcio e 4 da basket, che hanno ottenuto un grande successo.

A spese dell'associazione era previsto l'acquisto di 4 cucine solari a parabola di diametro 140cm, ma Ernest, il responsabile del centro di Ampijoroa mi aveva detto poco prima di fare una prova perchè la gente della foresta di Ankarafantsika é "dura" alle innovazioni e così ho deciso di acquistarne solo una da provare. Oltre a questa però ho acquistato anche 4 piccoli forni, di tre modelli, di cui 2 da utilizzare col carbone e due con piccoli pezzetti di legna; il vantaggio di questi è che quelli a carbone risparmiano il 50% del prodotto e quelli a legna ne usano una quantità irrisoria. Ovviamente tutto questo è nell'ottica di limitare la deforestazione e quindi ho pensato che qualche prova valeva la pena farla.

La mattina della partenza si rileva molto lenta, dalle 7,30 che giriamo per ritirare tutti i materiali già prenotati o pagati, solo dopo mezzogiorno riusciamo finalmente a prendere la strada nazionale 4 che ci porterà in foresta. Siamo carichi all'inverosimile e la temperatura è alta. Dopo poco più di due ore e mezza arriviamo a destinazione; il tempo di scaricare un pò di materiale, verificare alcuni lavori e programmare la giornata successiva che il pomeriggio è già quasi finito. Qui il sole alla sera se ne va presto, in quanto gli alti alberi anticipano di quasi un ora e mezza il tramonto; in pratica alle 17 la luce inizia già a calare vistosamente. In compenso alle 7 c'è già un bel sole e la mattina successiva ci dirigiamo verso la prima scuola. Il programma era quello di distribuire entro la mattinata tutto il materiale alle tre scuole, più la dimostrazione della cucina solare a parabola, nella scuola più grande (109 bambini). Arriviamo nella prima scuola, composta da due strutture fatiscenti, dove nell'aia centrale posizioniamo la parabola, attorniati da una marea di bambini festosi e sempre sorridenti; l'asta nel centro della parabola, che funge da sostegno per la pentola, essendo nuova e quindi appena verniciata, dal fortissimo calore inizia a fumare vistosamente e provoca immediatamente la curiosità di tutti, me compreso. Rimango stupito dalla temperatura al centro della parabola. Subito dopo una donna immette del riso con acqua dentro ad una pentola e la posiziona nella parabola. Devo dire che passano pochissimi minuti prima di vedere bollire l'acqua. Nel frattempo ci spostiamo sotto un grande albero e iniziamo ad aprire le tantissime scatole di cartone e ad aprire gli zaini; dopo di che iniziamo ad inserirci dentro i vari materiali. Nel frattempo l'allegria che ci attornia è impressionante e finalmente i primi 109 zainetti sono pronti ed i maestri iniziano a fare l'appello con relative consegne. L'esperienza di vedere i visi allegri dei tanti bambini è gratificante e toccante, specialmente sapendo che questi non hanno mai ricevuto un tale dono. Consegnati gli zaini, passiamo alla consegna dei gessi per la lavagna, bianchi e colorati, 4 palloni e scattiamo ancora un pò di foto, poi passiamo al rito dei ringraziamenti del capo villaggio che però ci parla anche della necessità di dover ricostruire una nuova scuola....... e così abbiamo già di cosa pensare fino al prossimo anno ! Nel frattempo la cucina solare sta lavorando a pieno ritmo, almeno 5 o 6 pentole hanno cotto il riso per altrettante famiglie che abitano a fianco della scuola e vedo che c'è un gran andare e vieni attorno ad essa; una cosa è certa, ha riscosso un gran successo! e senza usare neppure un pezzetto di carbone; è questa la cosa miracolosa per loro.

Partiamo dalla prima scuola ed è mezzogiorno passato; quindi sforati completamenti i tempi del programma, ma qui in Madagascar il tempo ha poco valore. Andiamo a mangiare qualcosa e decidiamo di preparare prima tutti gli zaini per anticipare i tempi, altrimenti rischiamo di non riuscire a finire nel pomeriggio. Poi ci avvisano che una delle due scuole mancanti non è raggiungibile per via della pioggia del giorno prima che ha distrutto il sentiero, quindi decidiamo che ci torneremo a fine aprile. Durante il viaggio per la seconda scuola, ecco un altro imprevisto, la macchina, un potente Pick-up, si insabbia e solo dopo diverso tempo e l'aiuto di molte persone accorse ad aiutare, riesce a procedere e portarci a destinazione. Con gli zaini già pronti, la distribuzione procede veloce, ma qui ci sono dei tempi da rispettare e non si può fare diversamente. Dopo i soliti ringraziamenti ed il discorso lunghissimo del capo del villaggio che ovviamente non capisco cosa dice, l'amico Ernest mi si avvicina sorridendo e mi dice che anche loro hanno necessità di rifare la scuola e mi invitano a visitarla. In effetti non avevo visto in che stato era, la parte dietro è quasi tutta crollata e dentro è veramente in condizioni pietose. Inoltre erano già venuti a conoscenza della nuova "strana macchina che cucina senza carbone" e anche loro sarebbero felici di riceverne in dono una. Li vicino al grande albero di mango, dove ci eravamo posizionati per godere della sua ombra e distribuire i doni, si vedeva una grande capanna anch'essa in cattivissime condizioni che mi aveva incuriosito e appena finite le consegne ho chiesto che cosa era, mi è stato risposto che è una chiesa e ancora usata. Immediatamente sono andato a fare una visita e un pò di foto; sono rimasto senza parole per lo stato in cui versava. Però non ho visto neppure una croce ne nell'interno ne in esterno e mi sono dimenticato di chiederlo, lo farò un'altra volta.

Al ritorno qui si usa che se si ha posto in macchina e sul cassone si da sempre un passaggio a qualcuno e così carichi più di prima partiamo per il ritorno, felici.

La luce ci permette di fare un piccolo lavoro (in programma) nei sistemi fotovoltaici e la giornata si svolge al termine; rimane solo da lavarci, pranzare nel piccolo ristorante lungo la strada e metterci a scrivere col Notebook la giornata trascorsa.

Venerdi 16 marzo, la giornata inizia presto, poco prima delle 7 sono già sul luogo dei lavori, ma mi rendo conto subito che lì i lavori sono iniziati almeno mezzora prima, con lo scavo necessario per installare un cavo elettrico che porterà la corrente a 220V dal locale batterie al boreau dove è alloggiata la nostra incubatrice. Questa alimentazione fungerà solo di riserva per quando ci sono mancanze di energia dalla linea principale che qui succede spesso. Il mio lavoro inizia con l'installazione del regolatore di carica ed il collegamento delle due nuove batterie.

Successivamente provo l'inverter ma non ne vuole sapere, è difettoso e quindi dovremo acquistarne uno nuovamente, ma ci accordiamo che l'acquisto, se pur a nostre spese, lo farà una ragazza dello staff che la prossima settimana si recherà in capitale, dove costa molto meno. Installo poi un sistema che fa in modo di commutare automaticamente fra le due alimentazioni(quella del villaggio e la nostra coi pannelli fotovoltaici), permettendo di alimentare sempre l'incubatrice. Passo poi a cablare il nuovo sistema elettronico che andrà installato più avanti nel parco di Soalala, verificando la funzionalità con quello già in uso nel centro di Ampijoroa. Una piccola sosta, invitato da Ernest a pranzare con la sua famiglia, poi si ricominciano i lavori di rifinitura con la preparazione dello schiuditoio e la prova delle uova attualmente dentro l'incubatrice, con il nuovo strumento che verifica il battito dentro le uova ; purtroppo nessuna delle uova rileva battiti cardiaci, ancora nessuno conosce il tempo di sviluppo di questa rarissima specie e tutto è da scoprire. Consiglio ad Ernest di provare il battito ogni 10 giorni per iniziare a conoscere questa nuova cosa. Nel frattempo sono un pò perplesso sui modelli di contenitori interni che ha deciso di utilizzare il Durrell, sicuramente troppo grandi e sono tenuti con il coperchio chiuso, sicuramente ci sarà l'umidità costante e circolerà pochissimo ossigeno, ma noi più di dare consigli non possiamo, quest'anno le decisioni dei vari parametri l'ha presa un team di esperti del Durrell; anche se ho un pò di dubbi, vedremo alla fine di trarre le dovute conclusioni.

Nel frattempo faccio scavare una buca di profondità almeno 1 metro, per verificare la temperatura, mi serve per il nuovo progetto di una incubatrice a raffreddamento ad acqua, tentativo per cercare di limitare fortemente il consumo di energia. Il nuovo progetto prevede la dissipazione della temperatura tramite un radiatore ad acqua, alimentato da una pompa esterna che pesca acqua da un contenitore; se l'acqua nell'ambiente esterno non è sufficiente per abbassare la temperatura fino al valore desiderato, l'idea è quella di far circolare l'acqua in profondità nel terreno, ma queste sono tutte prove da effettuare. Il tutto poi sarà comandato da una nuova centralina che può impostare 24 ore giornaliere e ben 4 programmi per simulare 4 diverse stagioni o parti di stagioni. Il programma comanda sia il riscaldamento che il raffreddamento, più l'umidità. Tutte le impostazioni di temperature e umidità saranno rilevate nel parco di Soalala, a partire dal mese di maggio quando porterò lì 6 strumenti per analizzare i parametri di 6 postazioni dove vivono in natura le Astrochelys yniphora. Finiti tutti i lavori, finalmente ho a disposizione un pò di tempo per scattare un pò di foto alle Angonoka e sopratutto diversi video bellissimi con situazioni nuove, ad esempio la somministrazione di vermifugo a degli esemplari sub-adulti , le prime 7 baby nate dentro la nostra incubatrice nel 2011, dove si nota già la maggiore dimensione rispetto a quelle nate in terra sempre nello stesso anno. Ernest mi conferma che godono di ottima salute e sono molto vivaci. Poi faccio qualche video a due sub-adulte intente a sgranocchiarsi una povera pianta di Opuntia.

Ci scambiamo un pò di foto e la giornata di lavoro è finita e anche i lavori al centro di Ampijoroa, la mattina successiva l'appuntamento è per le 6,00 per la partenza verso Mahajanga, dove Ernest deve andare a prelevare Richard, il responsabile Durrell di tutti i progetti in Madagascar, proveniente da Soalala dove è stato a verificare lo stato di avanzamento dei nuovi lavori, sopratutto il nuovo recinto di pre-rilascio, dove io successivamente dovrò installare il nuovo sistema di allarme. In attesa che finiscano le piogge dovrò preparare un bel pò di materiali e programmare minuziosamente la spedizione che prevede 4 ore di barca veloce, più diverse ore di marcia dentro la foresta e qui se manca anche una semplice sciocchezza come una vite o similare, tutto salta. Nel frattempo ci prendiamo anche un pò tempo per un pò di riposo e rimettiamo in ordine le idee per il nuovo lavoro.

Le notizie che ci arrivano dei lavori nel parco di Soalala sono poco confortanti, in pratica sono fermi, quindi mi rilasso e mi godo il mio Madagascar, progettando una visita a nord, nella città di Diego-Suarez, soprattutto per cercare un po’ di vento che a Mahajanga proprio non voleva arrivare, per praticare la mia nuova passione: il Kitesurf. Il viaggio è stato tosto, 900 Km in bus, stretti come sardine e carichi come somari, per di più nel portapacchi abbiamo caricato un quad,

indispensabile per le piste che dalla città portano alle spiagge più belle. Oltre 24 ore di viaggio 

e subito a capofitto sulle stupende baie di Sakalava

e del Mer d’Emeroud,

accompagnato da un amico italiano conosciuto a Majanga nel 2009 che ha fatto un corso Kite mentre io mi sfogavo sulle acque cristalline ed i fortissimi venti provenienti dall’oceano indiano.



Purtroppo l’idea di portarmi dietro il notebook per continuare a tenere esercizio alle funzioni dell’associazione (quasi tutte le sere mi collegavo in un internet point col wireless) si è rilevata negativa…….. un giorno, il personale dell’albergo mi ha rubato il notebook e accessori, con la conseguente perdita di tutte le foto e video, fatti fino a quel momento. Per questo, nell’articolo, le foto sono inserite solo dal viaggio a Diego-Suarez……….

A Diego abbiamo trovato due ragazzi italiani che per vari motivi avevano deciso di cambiare radicalmente vita e avevano aperto una scuola Kite in loco, i quali oltre a fare il corso al mio amico, ci hanno aiutato in tante cose. Un giorno ci hanno portato in una nuova baia che anche loro non conoscevano,

per sperimentare nuovi luoghi e con grande sorpresa ho scoperto una sorta di cimitero delle tartarughe marine,

con centinaia di carcasse sparse su scogli, mangrovie e anche sugli isolotti che proteggono la baia. Non sappiamo perché sono tutte li, sono tutti gusci molto simili di dimensioni, sicuramente adulti e fa un certo effetto vedere i tanti crani bianchi sparsi ovunque. Abbiamo assistito anche ad un incontro di box malgascia,

solitamente riservata solo ai locali, molto violenta e praticata anche dai bambini dai 10 anni in su; è stato uno spettacolo molto “colorito” con la presenza di un folto pubblico locale, forse un po’ troppo allegro e agitato per via delle troppe bottiglie di rum che si scolavano e i combattimenti violentissimi, senza guantoni e senza regole, pur brevi, scaturivano forte adrenalina nel pubblico, anche aiutato dalla droga leggera che quasi tutti masticano (sono foglie che masticano fino ad ottenere una grossa palla che deforma letteralmente la mandibola). L’entrata allo spettacolo è riservata solo ai locali ma pagando e conoscendo un ragazzo che fungeva da giudice siamo riusciti ad entrare fra gli occhi stupiti dei altri spettatori; qui nessuno paga perché poi il tutto si basa sulle scommesse. Nota simpatica è data da un lemure che continuava a saltellare tranquillamente nella zona dello spettacolo; era addomesticato ed ogni tanto ritornava dal suo padrone. Il viaggio di ritorno è stato un incubo, ad un certo punto, a circa 160 Km dall’arrivo, ci hanno scaricati e abbandonati in un villaggio con la promessa che da lì a poco sarebbe arrivato un altro bus e ci avrebbe portati a destinazione…. Dopo 10 ore di attesa, abbiamo dovuto caricare tutto su un camion di fortuna, pieno di riso, pagare nuovamente e dopo un viaggio ad una velocità da lumaca, arrivare a notte fonda a destinazione.

Nel frattempo la strada per il terzo villaggio dove andare a consegnare i doni ai bambini della scuola non era ancora percorribile, passavano solo i carri trainati dagli zebù e neppure da Soalala arrivavano buone notizie. Nel frattempo sono inviato a partecipare ad un safari molto riservato,

che ha come meta finale Soalala (forse era distino che ci andassi anche quest’anno), zona molto difficile da arrivare, specialmente quando ancora le piogge in quella zona sono appena finite. Il percorso è di soli 140km ma solo potenti fuoristrada e guide molto esperte possono permettersi fare un tale percorso. Mi dicono che quest’anno ancora nessuno è riuscito ad aprire la pista e il risultato non era affatto contato, infatti lungo il percorso per almeno 30 volte abbiamo utilizzato gli argani per togliere uno dei 3 mezzi dall’acqua e fango. La spedizione comprendeva 3 auto e 3 moto da cross, con un totale di 16 persone. Partenza alle 5 di mattina e arrivo alle ore 23,30 a Soalala dove ci attendeva un traghetto che ci porterà dall’altra parte della baia, direttamente alla fabbrica di crevettes (gamberi) dove il proprietario che faceva parte della spedizione ci ha ospitati in meravigliosi bungalow e riempiti fino all’inverosimile di cibi a base di gamberi e tante altre squisitezze. La fabbrica ha ben 800 operai ed ha una estensione inimmaginabile di bacini d’acqua dove si allevano i gustosi gamberi che poi vengono quasi tutti spediti in Europa. Ovviamente di tartarughe in questo tour nemmeno l’ombra, ma la bellezza dei luoghi ne vale veramente la pena; qui infatti sono rarissimi i turisti che hanno avuto la fortuna di passarci, sembra di essere fuori dal mondo. Al terzo giorno ci prepariamo per il ritorno mentre la famiglia del proprietario della fabbrica ritorna con la sua famiglia in città con l’aereo privato, ma non prima di essere soccorso da noi perché il piccolo aereo, durante le fasi di partenza, nella pista privata, era incappato in un termitaio che ha bloccato la ruota d’avanti e si è reso indispensabile l’utilizzo ancora una volta dell’argano. Esperienza durissima ma irripetibile. Solo a inizio luglio decidiamo di partire per il parco di Ankarafantsika, con altre 3 cucine solari

e per ultimare la consegna dei doni ai bambini della terza scuola. Visto che ormai era chiaro che il lavoro a Soalala era da rinviare, decido di portare tutto il materiale dentro ad una grossa valigia, al parco di Ankarafantsika , dove lo terranno in custodia fino alla prossima missione 2013. Decido come prima operazione di consegnare le 3 cucine solari, anche per liberarci il cassone del pick-up, partendo da un piccolo villaggio nei pressi di Ampijoroa,

dove la gente ci attendeva con grande interesse, erano già a conoscenza di come lavorava la cucina, in foresta le notizie circolano in fretta. La seconda la installiamo a fianco della scuola dove l’anno precedente effettuammo la nostra prima donazione

e quindi mi conoscevano già; io stesso ho riconosciuto molti visi degli adulti. Ogni donazione come al solito comporta un tempo molto lungo per via dei rituali di ringraziamento e i piani saltano sempre, ma l’atmosfera è talmente rilassante e tranquilla che ti fa rendere tutto armonioso, poi ormai sono abituato a tutto questo. In questa ultima scuola, scopro una cosa che l’anno precedente non mi ero accorto; un laboratorio artigianale della lavorazione della raffia, con diversi telai e diverse donne che ci lavorano, molto bello da vedere. Qui mi ha incuriosito l’età di alcune lavoratrici,

veramente molto vecchie ma ancora abilissime a intrecciare questi fili di raffia e ovviamente molto orgogliose di farsi vedere al lavoro. La terza cucina solare decido di donarla ad Ernest e le famiglie adiacenti al centro di recupero,

dove all’entrata ci sono delle statue molto belle raffiguranti dei volti,

scolpiti su dei tronchi di palissandro, proprio in memoria della foresta di Ankarafantsika che una volta era ricca di questa varietà di piante mentre ora ce ne sono rimaste ben poche, con la speranza che questo aiuti la tanta gente che pass lì a visitare il parco, a comprendere il problema del disboscamento delle foreste. Il giorno successivo carichiamo i sacchi pieni degli zainetti, già riempiti di quaderni ed accessori e partiamo per l’ultima scuola, inoltrandoci in un sentiero all’interno della foresta. Dopo diversi chilometri la foresta inizia a diradarsi e iniziano a vedersi delle coltivazioni di limoni(una delle poche coltivazioni in questa zona), ma la strada non è certo bella, fino a entrare in una sorta di grande canale con pareti di roccia altissima, friabile e di colore rosso. E’ evidente che il canale è stato scavato dall’erosione dell’acqua e quando è la stagione delle piogge nessuno riesce a passare di lì. Di lì a poco il pur potente pick-up deve arrendersi e attendere l’aiuto di una squadra di magri ragazzi locali che con le loro caratteristiche vanghe, riescono a spianare alcuni punti della strada e farci proseguire fino alla scuola.

La scuola si trova in un grande spiazzale, è di recente costruzione e sembra ben solida, ma sembra abbandonata e poco dopo mi spigano che da oltre due mesi è chiusa per via dello sciopero degli insegnanti statali che protestano per il bassissimo salario (circa 22 euro al mese). Le uniche scuole aperte in tutto il paese sono quelle private, ma ben pochi sono i privilegiati in questo pur meraviglioso paese. Una breve attesa e alla spicciolata iniziano ad arrivare i primi bambini, avvisati al momento;

infatti Ernest mi aveva detto che non era stato possibile avvisare gli abitanti e che probabilmente con tutti gli adulti al lavoro nei campi, sarebbe stato difficile riuscire a radunare tutti i bambini nella scuola, ma l’idea di rinunciare alla consegna non mi piaceva affatto e ho insistito per procedere comunque. Nel frattempo gli adulti arrivati aprono l’aula più grande e si mettono a pulirla facendo un polverone incredibile; dentro c’era una puzza esagerata di guano di pipistrelli e un dito di polvere su tutti i banchi e sedie. Tutti collaborano con un’aria di allegria e quando l’aula ha un aspetto di decenza tutti iniziano ad entrare e diligentemente si siedono, dando precedenza ai bambini; dopo di chè portiamo dentro i due grandi sacchi con gli ultimi 46 zaini pieni di materiali e gli ultimi 2 palloni. Un anziano arriva con l’elenco degli alunni, classe per classe e inizia a parlare, dopo poco iniziamo la distribuzione;

mancano solo 4 bambini su 46 ma ci sono dei parenti che ritirano i corrispettivi doni. Nel frattempo quasi tutto il villaggio è arrivato a vedere cosa succede e la gente si accalca sulla finestra e sulla porta, ma in rispettoso silenzio. Pian piano procediamo alla consegna e dopo i soliti rituali di ringraziamento ci avviamo sulla via del ritorno, però questa volta il pick-up, avendo il cassone vuoto è assalito da ragazzi con le loro vanghe che chiedevano un passaggio. La mattina seguente, prima della partenza per il ritorno in città, verifico lo stato di avanzamento dei lavori al centro di recupero per quello che riguarda la nuova recinzione per la quarantena,

dove l’anno prossimo dovrò installare il sistema di sicurezza; è quasi pronto e quindi prendo tutte le misure per cavi, sensori, canaline e quant’altro per l’installazione futura.

Ernest mi dice che ha eseguito regolarmente la verifica dei battiti del cuore dentro alle uova e solo verso i due mesi ha iniziato a percepire qualcosa. Purtroppo i fori sulle scatole di plastica non erano ancora stati fatti e sono molto preoccupato per questo e ho insistito per avvisare i responsabili in capitale.

Quest’anno le uova inserite in incubatrice sono 29 e quelle lasciate in esterno sono 32; in pratica si è proceduto a inserire un nido ogni due in incubatrice, questo per verificarne l’efficacia, sperando che la mancanza dei fori nei contenitori non renda vano questa prova. All’arrivo in città ho scritto subito ai responsabili insistendo sull’importanza dei fori e di conseguenza per l’ossigeno. Per fortuna che la mia imposizione per verificare lo stato dei battiti del cuore ogni 15 giorni avrà almeno dato un po’ più di ossigeno alle uova(meglio di niente).

Un giorno il figlio del proprietario dell’albergo dove risiedo, mi telefona dicendomi che ha un regalo per me; era una bellissima Pixys aracnoides aracnoides(foto40), colorata con un pennarello nelle intersezioni degli scuti da qualcuno, ma sembrava ben sana. Non sapendo come poterla riportare nei suoi luoghi di distribuzione(sud-ovest), decido di lasciarla provvisoriamente insieme alle altre Astrochelys radiata che sono in un piccolo recinto dell’albergo. Qui gli alberghi o i privati che hanno un giardino, quasi tutti hanno all’interno delle tartarughe, quasi sempre A. radiata

o qualche Pyxys, un po’ come da noi le Testudo hermanni. Spesso nelle mie visite a conoscenti o amici ho visto bellissime A. radiata e tanti altri animali come lemuri,

serpenti di tutti i tipi, coccodrilli, ricci,

insetti,

uccelli e tantissimi camaleonti

che quando vedevo nelle strade mi fermavo per posizionarli nel verde dei bordi, questo perché sapevo che per i malgasci i camaleonti portano sfortuna e cercano di schiacciarli con le ruote…… Ho anche visto una Astrochelys radiata in cattività, che deponeva le uova.

Il periodo alla fine della stagione delle piogge è veramente uno spettacolo di verde e fioriture ; le fioriture dei Pachypodium poi sono incredibili

e si trova tanta frutta gustosissima.



Alcune foto di vita malgascia



Nel frattempo in città ho conosciuto diversi italiani e sono nate alcune importanti amicizie che mi hanno aiutato a trascorrere ancora meglio il soggiorno; due note negative, una che così parlavamo sempre in italiano e ho migliorato poco la mia conoscenza della lingua francese e l’altra che quasi tutti i giorni ci si incontrava per abbuffate esagerate, ma si può sopravvivere lo stesso……..

L’ultima settimana si spargono voci che ci sono delle Angonoka in città, in vendita e riesco a vedere una baby ma non riesco a bloccare la donna che la cercava di vendere. Il penultimo giorno riesco ad ottenere un contatto ed un appuntamento con un bracconiere al quale mi preparo ad attenderlo con la polizia nascosta, ma qualcosa va storto e non si fa vivo nessuno……. Peccato!

La missione 2012 è ormai finita e si ritorna a casa, ma questa lunga permanenza rende difficile staccarsi da questa meravigliosa terra sempre piena di sorprese.

Arrivederci al 2013 !

Agostino Montalti.

 

 

 

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