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Stigmochelys pardalis

Stigmochelys pardalis

Tartaruga leopardo africana

Specie Terrestre

African Leopard Tortoise / Pantherschildkroten
Bell 1828

CLASSIFICAZIONE
Ordine = TESTUDINES
Sottordine = CRYPTODIRA
Famiglia = TESTUDINIDAE
Genere = STIGMOCHELYS
Specie = STIGMOCHELYS PARDALIS


STATUS GIURIDICO
E' compresa nella Convenzione di Washington (C.I.T.E.S.) in Appendice 2


DISTRIBUZIONE
Parlando delle zone di distribuzione di questa specie, procederemo con l’indicare i territori occupati da entrambe le sottospecie:
Stigmochelys pardalis babcocki occupa buona parte dell’Africa centro-orientale e meridionale, possiamo trovarla in Sudan ed in Etiopia, scendendo sino al Kenya, Tanzania, Zambia, Namibia, Angola, Mozambico, Zimbabwe, Uganda, Malawi, Angola, Botswana, Swatziland, Namibia e Stato del Sud Africa.
Stigmochelys pardalis pardalis occupa invece esclusivamente le aree sia desertiche sia di savana del Sud Africa e del sud della Namibia.



HABITAT
Occupando  Stigmochelys pardalis  vaste aree in quasi tutto il continente africano, il suo habitat è decisamente vasto e variegato, possiamo infatti rinvenire questa specie in zone costiere come in altipiani che possono raggiungere i 1400 metri d’altitudine.
L’habitat preferito da questo animale è prevalentemente quello caratterizzato da savane o boscaglie ricche di cespugli, dove il tasso di umidità è particolarmente basso (se non durante i periodi cosiddetti “delle piogge”) e le temperature sono decisamente alte durante il giorno. In alcune zone, dove le notti sono particolarmente fredde, con temperature prossime allo zero, non è raro che questa tartaruga si ripari in tane di altri animali, come istrici o facoceri.
Sono state altresì osservate popolazioni, ad esempio in Tanzania e Uganda, che vivono ai margini di foreste, dove il clima è più piovoso e umido.                                                    

CARATTERISTICHE COMPORTAMENTALI
Stigmochelys pardalis  è una tartaruga che si adatta piuttosto bene alla vita in cattività, grazie alla sua indole tranquilla che le permette si sopportare bene la presenza di suoi conspecifici.
Durante il periodo degli amori può capitare che tra maschi si generino delle schermaglie, ma anche queste di modesta entità.
Il suo carattere tranquillo ma curioso le permette anche di avere una certa interazione con chi l’alleva, non è raro che la tartaruga vada incontro all’allevatore per ricevere qualche carezza sul collo e sotto la gola o più probabilmente per cercare di ricevere del cibo.



CARATTERISTICHE FISICHE
La caratteristica più evidente della tartaruga leopardo è sicuramente la dimensione, è infatti una delle più specie grandi fra le tartarughe terrestri. Le sue dimensioni medie vanno dai 35-40 cm per un peso di 13-18 Kg; si conoscono casi in cui le dimensioni sono decisamente maggiori, si arriva ai 60-70 cm per alcune popolazioni della Somalia e dell’Etiopia, fino ad arrivare ad esemplari rinvenuti in Sud Africa che arrivano addirittura a misurare 70-80 cm per un peso record di 50 kg.
Il suo nome, Stigmochelys pardalis, denota l’altra evidente caratteristica della specie, ovvero la sua colorazione che ricorda il manto del leopardo. Il suo nome letteralmente significa “Testuggine marcata a leopardo”.
Il carapace è molto bombato e di colore giallo, con macchie nere irregolari, il piastrone è solitamente di colore giallo uniforme, ma può in alcuni casi presentare delle leggere macchie nere. La pelle della testa e delle zampe è marrone chiaro e non presenta macchie scure.
Gli esemplari giovani presentano attorno agli scuti una colorazione nera piuttosto uniforme, che con il passare degli anni si frammenta, per assumere la tipica forma di macchia. Negli esemplari adulti, il carapace assume una colorazione gialla, con macchiettatura che può essere più o meno fitta, a seconda dell’areale di provenienza e della sottospecie. 
Il carapace è formato da cinque scuti vertebrali, dieci marginali, due scuti sopracaudali ed è sprovvisto di scuto nucale. Il piastrone è costituito da due placche gulari, due omerali, due pettorali, due addominali, due addominali e infine di due placche anali. Piastrone e carapace sono uniti da due “ponti ossei”.    
In base all’areale di provenienza e al tipo di alimentazione, il carapace può presentare delle “piramidi” più o meno pronunciate. I soggetti provenienti da zone dove le precipitazioni atmosferiche sono maggiori e dove il più alto tasso di umidità favorisce la crescita di erbe fresche, che sono quindi maggiormente disponibili, presenta delle “piramidi” più accentuate rispetto a soggetti che vivono in climi più aridi.
La struttura delle zampe di Stigmochelys pardalis è decisamente massiccia, atta a sostenere il peso dell’animale e a permettergli di mantenere la tipica postura elevata.  Le zampe anteriori dell’animale presentano le squame cornee delle grosse tartarughe continentali africane. Il cranio è largo, con mascelle forti ed un becco coriaceo.    
Come già detto all’inizio, sono riconosciute almeno 2 sottospecie, molto simili tra loro:
- Stigmochelys pardalis pardalis, meno diffusa sia in cattivita' che in natura. La colorazione è più scura, con una macchiettatura nera più estesa, un carapace meno a cupola e più largo rispetto S. P. Babcoki. I maschi inoltre sono più grandi delle femmine. I “baby” di questa sottospecie sono caratterizzati da due macchie nere sull’areola degli scuti vertebrali, macchie che spesso sono presenti anche sugli scuti pleurali.
- Stigmochelys pardalis babcocki è invece la sottospecie più comune e diffusa. Il carapace di questa sottospecie si caratterizza da una forma più alta e bombata, nonché più allungata, il colore del carapace è più chiaro, con macchie nere meno estese, le macchie nere sul piastrone sono quasi assenti.  In S. p. babcocki, i maschi sono più piccoli delle femmine. Sugli  esemplari molto giovani, si nota una sola macchia nera sull'areola degli scuti dorsali.
Data l’estesa distribuzione sul continente africano di Stigmochelys pardalis, le diverse caratteristiche fisiche presenti anche nella stessa sottospecie, specialmente di taglia, ma anche di eventuali “piramidi” degli scuti più o meno accentuate, nonché di colorazione, pongono gli studiosi davanti a dubbi relativi al riconoscimento di due o più sottospecie. Per alcuni studiosi, diventa difficile accettare addirittura la sottospecie S. p. pardalis, a causa della mancanza in alcuni esemplari di caratteristiche tipiche della sottospecie, come ad esempio la doppia macchiettatura nei neonati, che possono presentare una sola macchia o addirittura non presentarne nessuna, nonché difformità di taglia, che per alcuni esemplari si avvicina maggiormente a quella di S. p. babcoki. Per ultimo esistono casi in cui il colore del carapace, presumibilmente per una mutazione,    assume colorazioni con predominanza del giallo, a discapito del colore nero e quindi delle tipiche macchie. Questi esemplari vengono indicati dagli allevatori con nomi di fantasia tipo ivory, caramel o snow.    

    

DIMORFISMO SESSUALE
In questa specie il dimorfismo sessuale inizia ad essere evidente da quando l’esemplare raggiunge i 20-22 cm di carapace, prima del raggiungimento di questa taglia è possibile che un maschio immaturo possa essere scambiato per una femmina.
Le principali differenze per il riconoscimento dei sessi sono le seguenti:
Il maschio presenta una coda più lunga e appuntita rispetto alla femmina, la cui coda è decisamente corta, con una base larga e tozza.
Il piastrone del maschio presenta la tipica forma concava per agevolare la monta della femmina, che invece presenta un piastrone piatto.
I maschi presentano un  carapace piuttosto allungato, mentre nelle femmine è più largo.
Gli scuti anali del maschio disegnano la forma di una “V” molto larga, mentre gli scuti anali della femmina sono a forma di “U” anch’essa molto larga.
Lo scuto sopracaudale dei maschi è molto arcuato e scende molto in basso, probabilmente a protezione del pene, mentre, nelle femmine, tale scuto è meno arcuato e non scende verso il basso come quello del maschio, con la finalità di agevolare la copula e la deposizione delle uova.



MANTENIMENTO IN CATTIVITA'
La parola d’ordine per l’allevamento dei questa specie è “spazio”! Proprio l’idea di fornire spazi adeguati deve essere alla base di ognuno di noi quando decidiamo di dedicarci all’allevamento di S. pardalis. 
Sia nel periodo invernale, quando la tartaruga leopardo va allevata in casa o comunque in ambiente chiuso, che in estate, quando può essere allevata all’aperto, dovremo allevarla in terrari e recinti di dimensioni generose.
Si tenga conto che per un esemplare fino a 15 cm., il terrario dovrà essere di almeno 100x60 cm, dimensione che andrà implementata proporzionalmente se nello stesso terrario si vogliono allevare più esemplari. Sarebbe meglio allevare gli adulti in recinti aperti superiormente, ricavati all’interno di stanze riscaldate; una coppia di adulti dovrebbe poter occupare un recinto di almeno 3x2 m di lato.
È importante fornire un substrato dove la tartaruga possa scavare e rinfrescarsi se ne ha bisogno, composto dal 50% di sabbia con una granulometria non eccessivamente fine, un 45% di torba di sfagno e terriccio asciutti e un 5% di fieno da utilizzare in superficie.
E’ fondamentale mantenere pulito il substrato dalle deiezioni degli animali, ed evitare che si creino muffe.
Fondamentali sono le lampade, quelle di tipo spot, riscaldanti, che vanno abbinate obbligatoriamente ai neon o alle compatte  UVB, oppure, ancora meglio, sono le lampade ai vapori di mercurio, che forniscono sia calore che UVB. Per utilizzare queste ultime in terrario, è necessario che siano posizionate ad almeno 45-50 cm dal terreno, il posizionamento dei tubi al neon o delle compatte  UVB dovrà essere tra i 15 e i 25 cm. di distanza dagli animali.
Le temperature diurne in terrario dovranno andare dai 35° della zona calda o zona basking, ai 24-24°della zona più fresca. Durante la notte la temperatura deve invece scendere fino a 20° circa. Anche se in natura la testuggine leopardo occupa zone con escursione termica estremamente elevata con temperature che vanno dai 40° o più gradi di giorno agli 0° notturni, è bene che, allevata in cattività, si ricreino delle temperature medie che si attestino sui  valori sopracitati.    
Importante è la circolazione dell’aria se il terrario è di tipo chiuso, bisogna permettere un ricircolo abbondante e costante dell’aria, anche perché il tasso di umidità presente nel terrario non deve superare il 40-60%, tale gradiente potrà subire un leggero implemento nelle ore notturne.                 
Durante i mesi primaverili è buona cosa, se le temperature lo permettono, incominciare gradatamente a spostare gli animali all’aperto nelle ore più calde della giornata. Quando le temperature diurne esterne si attestano sui 25°, è possibile spegnere le fonti di calore all’interno del terrario, in modo che nel giro di un’ora la temperatura all’interno del terrario e quella esterna siano simili. A questo punto, potremo spostare all’esterno gli animali ed evitare così eventuali patologie tipo raffreddamento o polmoniti, causate dagli sbalzi eccessivi di temperatura.
Il recinto esterno dovrà essere di circa 3x4 m per una coppia, costruito con materiali robusti, tipo mattoni o travi e pannelli di legno ben fissati tra di loro, esposto interamente al sole per la maggior parte della giornata e dotato di un ampio sottovaso poco profondo che fungerà da abbeveratoio per le tartarughe. L’acqua dovrà essere cambiata quotidianamente.
Il substrato del terreno dovrà essere di terra brulla, è fondamentale evitare recinti con erba o tappeti erbosi che trattengano l’umidità.
All’interno del recinto, è preferibile far crescere eventualmente erbe di campo, che diventeranno così fonte di cibo fresco per i nostri animali.
Il recinto, costruito in una zona ben soleggiata, dovrà avere al suo interno almeno un cespuglio che permetta a S. pardalis di difendersi dal sole delle ore più calde della giornata. Non dovrà mancare nemmeno una casetta che servirà alle tartarughe da rifugio durante la notte.
In caso si verificassero temporali o bruschi abbassamenti delle temperatura, è importante trasferire gli esemplari in terrario, al fine di evitare malattie da raffreddamento. 



ALIMENTAZIONE
L’areale di provenienza di Stigmochelis pardalis è caratterizzato principalmente da climi aridi, dove le precipitazioni sono sporadiche e la vegetazione è spesso secca, ed è proprio di queste sterpaglie, erbe secche e arbusti spinosi, che si nutre la testuggine leopardo in natura.  La sua dieta, in natura, viene talvolta integrata con sterco di elefante, praticamente un concentrato di fibre, o con sterco di iena, in questo caso possiamo parlare di un concentrato di calcio; sporadicamente     può capitare che si cibi di qualche carcassa di animale, mentre assolutamente non si ciba di frutta.
Anche in cattività è preferibile prediligere un’alimentazione basata sulla somministrazione di fieno, erbe di campo come tarassaco, piantaggine, erba medica e trifoglio, possibilmente fatte appassite.
Altri alimenti indicati per variare la dieta sono le foglie di vite, di gelso o i fiori e le foglie d’ibisco. L’aloe vera e le pale di fico d’india possono essere altri cibi da somministrare saltuariamente. 
La frutta può essere causa di problemi intestinali e non va mai somministrata.
E’ inevitabile che durante l’inverno, quando le erbe di campo sono poco reperibili, si somministrino altri cibi, come radicchio, le varie cicorie, le foglie di cime di rapa e tutte le insalate in genere a foglia scura. Anche queste vanno offerte appassite o essiccate.
Sarebbe opportuno che la dieta fosse costituita per almeno il 70% da fieno anche se non sarà facile abituare S. Pardalis a cibarsene prevalentemente, ma un po’ di digiuno forzato e l’introduzione di piccole quantità di fieno sminuzzato, mischiate ad altri alimenti freschi, che diminuiranno gradatamente a favore del primo, faranno sì che il fieno diventi il cibo principe della dieta. 
E’ importante che il rapporto tra calcio e fosforo dei cibi che offriamo a S. pardalis, sia sbilanciato a favore del calcio, che dovrebbe essere almeno il doppio del fosforo. 
L’acqua deve essere offerta non più di due o tre volte a settimana e non va lasciata a disposizione quotidianamente. Questo non vale per l’allevamento dei piccoli all’aperto, che, nelle giornate di forte caldo, corrono il rischio di disidratarsi.
Un osso di seppia deve sempre essere lasciato a disposizione dei nostri animali. Con un’adeguata esposizione ai raggi UVB, eviteremo che un eccesso di assunzione di calcio si tramuti in problemi di calcoli o peggio di vere e proprie calcificazioni degli organi interni dell’animale.
Non sarà facile abituare S. pardalis a cibarsi prevalentemente di fieno, ma un po’ di digiuno forzato e l’introduzione di piccole quantità di fieno sminuzzato, mischiate ad altri alimenti freschi, che diminuiranno gradatamente a favore del primo, faranno sì che il fieno diventi il cibo principe della dieta.



RIPRODUZIONE
Essendo Stigmochelys pardalis una tartaruga molto diffusa e adattabile al mantenimento in cattività, anche i successi nelle riproduzioni sono ormai molteplici.
La maturità sessuale degli esemplari viene raggiunta intorno agli 8-9 anni per le femmine e ai 6-7 anni per i maschi.
Il rituale di corteggiamento del maschio nei confronti della femmina non è particolarmente irruento, talvolta può capitare che il maschio debba ricorrere a morsi alle zampe posteriori la femmina per costringerla a fermarsi, in modo da poter procedere con la monta e la copula vera e propria.
L’accoppiamento può durare dai 3 ai 15 minuti e può ripetersi più volte durante la giornata.
In cattività non esiste un periodo ben stabilito per l’accoppiamento, possiamo assistere ad accoppiamento tanto in estate quanto in inverno.
Le uova vengono deposte in una buca scavata nel terreno dopo 4-6 settimane e le deposizioni possono contare da 4 a 30 uova, il numero delle uova dipende dall’età e quindi dalla taglia della tartaruga, ma anche dalla sottospecie.E’ S. p. babcoki che depone il maggior numero di uova.
Le operazioni di scavo e deposizione hanno una durata media che va dalle due alle tre ore.
Durante l’anno possiamo assistere anche a più deposizioni, di solito non più di quattro o cinque.
Una volta che avremo localizzato la buca di deposizione, dovremo con cautela prelevare le uova, avendo cura di non ruotarle e rischiare così di far morire l’embrione all’interno dell’uovo.Le uova andranno poste in un contenitore contenente vermiculite o perlite ed acqua, in rapporto di peso 2:1.
La temperatura d’incubazione delle uova dovrà attestarsi intorno ai 28°-29° e l’umidità dovrà essere mantenuta superiore al 60-70%, avendo cura d’innalzarla con l’avvicinarsi del periodo di schiusa.
I tempi per la schiusa delle uova sono piuttosto variabili a seconda dei parametri d’incubazione e vanno dai 4 ai 6 mesi.    
Una volta che i piccoli avranno completato la schiusa e riassorbito completamente il sacco vitellino, potranno essere spostati in terrario, quest’ultimo dovrà ricreare i parametri di umidità e temperatura tipici per l’allevamento di questa specie. I piccoli inizieranno ad alimentarsi dopo un paio di giorni dal completo riassorbimento del sacco vitellino. E’ buona cosa allevare inizialmente i piccoli su un substrato facile da sostituire e mantenere pulito.



NOTE
Capita spesso di rimanere affascinati dai piccoli di questa specie, sia per i colori che per la forma che è simile ad una pallina, ma bisogna ricordare che sono animali che richiedono condizioni di allevamento particolari e soprattutto, crescendo, avranno bisogno di grandi spazi.
E’ bene riflettere e valutare attentamente l’acquisto di una tartaruga che raggiungerà in breve dimensioni di 40-50 cm e un peso di 25-30kg!

Autore: Alessandro Govoni
Foto di: Giuseppe Liotta, Enrico Di Girolamo e di Carmelo Bruno.

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