Ecologia e status delle popolazioni italiane di Testudo hermanni dott.Mazzotti Stefano

Pubblicato in Risorse
Sabato, 26 Aprile 2014 14:31

Testudo hermanni

Testudo hermanni

Testuggine di Hermann

Specie Terrestri

Testuggine di Hermann - Hermann's Tortoise
Gmelin, 1789

CLASSIFICAZIONE
Ordine = TESTUDINES
Sottordine = CRYPTODIRA
Famiglia = TESTUDINIDAE
Genere = TESTUDO
Specie = TESTUDO HERMANNI

STATUS GIURIDICO
Per motivi conservazionisti, Testudo hermanni è stata inclusa nella Convenzione di Washington (C.I.T.E.S.), appendice II.

DISTRIBUZIONE IN NATURA
Testudo hermanni è la testuggine terrestre maggiormente diffusa nella nostra penisola e l'unica sicuramente autoctona. L'areale di distribuzione europeo della specie spazia dalla Spagna alla Romania, passando attraverso il sud della Francia, Italia, Grecia, regioni balcaniche e Bulgaria.
Nel nostro Paese si estende lungo pressoché tutta la costa tirrenica, in Puglia, in Calabria, in Sicilia e in Sardegna, seppure in modo locale e punteggiato, comprendendo popolazioni la cui attuale segregazione ad un numero sempre più ristretto di località e soprattutto all'interno di aree protette, riflette l'attività di raccolta cui è stata sottoposta questa specie nel corso degli anni per scopi commerciali, nonché la rarefazione degli habitat naturali.

COLLOCAZIONE TASSONOMICA
La collocazione tassonomica di Testudo hermanni ha attraversato nel corso degli anni alcune revisioni, sia a livello specifico che subspecifico. Sino a non moltissimi anni fa essa veniva designata col nome Testudo graeca, ora appartenente ad una specie diversa dalla quale si differenzia per alcuni caratteri distintivi. D'altro canto l'abitudine, rimasta nei paesi di lingua anglosassone, di chiamare Testudo hermanni col nome comune di 'Greek Tortoise', cioè testuggine greca (la vera Testudo graeca è detta 'Spur-thighed tortoise'), concorre ancora oggi ad alimentare la confusione nel distinguere queste due specie morfologicamente simili.
L'iniziale suddivisione nelle due sottospecie , quella occidentale Testudo hermanni ssp. robertmertensi e quella orientale Testudo hermanni ssp. hermanni, a partire dal 1987 si è tradotta, per motivi di priorità tassonomica, in Testudo hermanni ssp. hermanni e Testudo hermanni ssp. boettgeri (Mojsisovics, 1889), rispettivamente. La forma occidentale era stata infatti descritta per prima da Gmelin e quindi, in quanto olotipo, doveva rappresentare la specie nominale. Recentemente sono state proposte due nuove forme, dal valore tassonimico non ancora accertato: Testudo hermanni 'peloponnesica' e Testudo hermanni 'hercegovinensis'.

CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE
La presenza di due scuti sopracaudali in luogo di uno scuto singolo viene di norma assunta quale carattere più evidente e sicuro per distinguere Testudo hermanni da Testudo graeca, nonostante vari studi condotti su popolazioni appartenenti alle due diverse specie abbiano evidenziato in entrambe diffusi casi di "anomalie" che ne ridimensionano l'importanza: da una parte l'esistenza di esemplari di Testudo hermanni dotati di singolo scuto sopracaudale, dall'altra esemplari di Testudo graeca con scuto sopracaudale doppio (questi ultimi meno frequentemente).
"Eccezioni" queste, talvolta anche abbastanza diffuse, che possono rendere difficile la collocazione certa di simili esemplari anomali nell'una o nell'altra specie da parte dei non esperti. La presenza di tale variabilità morfologica per questo carattere impone che vengano considerati anche altri caratteri, la combinazione sola dei quali sarà determinante per una sicura classificazione.
Questi ultimi sono:
- l'astuccio corneo presente all'apice della coda tanto dei maschi quanto delle femmine di Testudo hermanni (e assente in T.graeca);
- la presenza di tubercoli cornei ai lati delle cosce nelle sole T.graeca;
- la colorazione del piastrone, formante due bande nere più o meno continue in T.hermanni, confusamente segnato di colore grigio scuro-nero in T.graeca.

Rapporti fra T. hermanni hermanni e T. hermanni boettgeri
Queste due razze geografiche comprendono, rispettivamente, le popolazioni ad Occidente e ad Oriente del Mare Adriatico. Le popolazioni italiane appartengono quindi alla sottospecie Testudo hermanni hermanni, che differisce dalla simile Testudo hermanni boettgeri per taluni caratteri morfologici, dei quali ci occuperemo più avanti in modo dettagliato, e per le dimensioni generalmente più contenute.
La sottospecie boettgeri occupa un vasto areale che, partendo dall'Istria, si estende lungo tutte le coste orientali dell'Adriatico per allargarsi nella penisola greca fino alla Romania e Bulgaria. La supposizione circa la presunta autoctonicità di questa sottospecie nel Friuli, nel Veneto ed in Emilia Romagna è stata più volte avanzata a giustificazione dei frequenti rinvenimenti, per esempio nelle zone attorno al Delta del Po, ma non sembra aver ottenuto conferme definitive.
Sappiamo inoltre che numerosi esemplari provenienti dall'ex Jugoslavia sono stati importati e liberati negli anni passati nel Centro-Nord Italia, circostanza che renderebbe particolarmente difficili eventuali studi che intendessero provare quanto sopra ipotizzato sulla base della comparazione di individui nelle zone di ritrovamento e tendenti a ricercare un'eventuale uniformità morfologica.
Attualmente entrambe le sottospecie sono diffusamente allevate e riprodotte con successo in cattività, per quanto quella orientale abbia dimostrato una maggiore resistenza ai climi rigidi del Nord Italia, resistenza probabilmente dovuta al fatto che si tratta per la maggior parte di esemplari provenienti da zone a latitudini più elevate (per esempio, dall'Istria o dalla Croazia).
I caratteri che distinguono le due sottospecie di T. hermanni, pur di facile individuazione, mostrano tuttavia una variabilità tale da rendere in alcuni casi ardua la sicura classificazione di esemplari di provenienza sconosciuta. Per quanto alcuni studiosi si siano dati parecchio da fare analizzando un gran numero di soggetti appartenenti a ciascuna delle due sottospecie (vedi gli "indici di Stemmler", proposti nel 1968), appare complessivamente difficile stabilire parametri esatti che possano distinguerle, questo in parte a causa della presenza accertata di esemplari portatori di caratteri intermedi, anche non necessariamente ibridi.
La livrea di Testudo hermanni boettgeri si è rivelata particolarmente variabile, specie nella colorazione del carapace, e si sono osservate anche forme con una pressoché totale assenza di pigmento nero. Al contrario la "cugina" occidentale sembra più costante nelle caratteristiche, soprattutto nella colorazione. Per questi motivi non è da escludere che future ricerche possano portare al riconoscimento di talune di queste forme locali di T.h.boettgeri come nuove sottospecie o razze geografiche, e quindi alla suddivisione di questo taxon, ipotesi sempre comunque subordinata all'individuazione di uniformità morfologiche nelle popolazioni selvatiche considerate e alla presenza di fattori ecologici e geografici che possano chiarire la natura e il grado di un eventuale isolamento riproduttivo.

La descrizione che segue va quindi ponderata alla luce di queste considerazioni.

Testudo hermanni hermanni presenta un piastrone con un'estesa copertura di colore nero, tale da formare due bande continue ai lati dello stesso, a differenza di T.h.boettgeri sul cui piastrone è possibile osservare solamente macchie di colore scuro o nero disgiunte fra loro. Si segnala peraltro la presenza di esemplari appartenenti a quest'ultima sottospecie con piastrone completamente nero o con una disposizione del colore simile a quella osservabile nella forma occidentale: alcuni esemplari provenienti dal Peloponneso o dalla Croazia possono per esempio trarre facilmente in inganno date le dimensioni generalmente contenute e la colorazione scura del loro piastrone. Nel caso particolare della Grecia, la variazione morfologica nella pigmentazione del piastrone di T.h.boettgeri segue un cline individuato nel passaggio dagli esemplari di grandi dimensioni e debolmente macchiati di nero tipici del Nord, a quelli di dimensioni più contenute e col piastrone molto scuro del Sud. Ladistribuzione del pigmento nero in questi ultimi è assai simile a quella tipica della nostra T.h.hermanni, quando non addirittura più estesa, data la frequenza di esemplari melanotici (dintorni di Sparta, come rilevato da R. Willemsen, 1999).

Altro parametro utile è il rapporto fra le dimensioni della sutura pettorale e quella femorale del piastrone: si assumono appartenenti alla sottospecie hermanni gli esemplari in cui la sutura pettorale è minore della femorale; il rapporto inverso sarebbe invece tipico della boettgeri. Proprio questo che potrebbe sembrare a prima vista il carattere più "certo", quasi matematico, si è invece rivelato forse il più controverso. Il problema nasce infatti dall'esistenza di esemplari che presentano un rapporto uguale o vicino a uno: a tal proposito, e a sostegno della già citata difficoltà di fondo a distinguere con certezza le due sottospecie, va rilevata l'esistenza di soggetti di Testudo h.boettgeri verosimilmente "puri" la cui sutura pettorale è di dimensioni uguali (quando non leggermente inferiori) a quella femorale. Anche in questo caso, quindi, ci troviamo di fronte ad un continuum di forme caratterizzate da un'assenza di variazioni discrete (vale a dire di "salti") che rende certamente ragione di una classificazione inferiore al rango di specie e giustifica le difficoltà che si incontrano nella collocazione tassonomica.

La presenza di una macchietta gialla sotto l'occhio può aiutare a classificare come T.hermanni hermanni un esemplare dubbio, per quanto sia possibile osservare la stessa caratteristica in T.h.boettgeri di giovane età (poi in questa sottospecie tende a sparire).

Le dimensioni della nostra h. hermanni si aggirano intorno ai 14-17 centimetri per le femmine, con punte minime e massime rispettivamente nelle popolazioni pugliesi e sarde (queste ultime possono raggiungere i 19-20 cm in grosse femmine), mentre fra le più grandi h.boettgeri non sono rari casi in cui i 20 cm vengono ampiamente superati (dimensioni massime 28-30 cm osservate in esemplari provenienti dalla Romania e dalla Bulgaria). I maschi sono più piccoli in entrambi i casi.

Va inoltre segnalato che soggetti anomali con scuto sopracaudale unico si rinvengono molto più facilmente nella sottospecie orientale: uno studio condotto da Highfield & Bayley su un campione composto da 438 esemplari di T.h.boettgeri in natura e in cattività, ha rilevato un'incidenza dell' anomalia attorno al 18%; questo carattere è inoltre trasmissibile nelle generazioni anche in forma recessiva.

L'accoppiamento fra Testudo hermanni hermanni e Testudo hermanni boettgeri, sconsigliato tanto in natura (introduzione di esemplari non autoctoni) quanto in cattività (promiscuità fra esemplari delle due sottospecie) per comprensibili motivi biologici ed ecologici, porta alla nascita di ibridi fertili e dotati di caratteri più o meno intermedi fra i due genitori, ma più frequentemente, sembra, con una dominanza della livrea tipica della prima.

A fronte della citate difficoltà nel discernere morfologicamente le due razze geografiche, va peraltro sottolineato che studi biomolecolari hanno rilevato significative differenze nelle sequenze del loro DNA (con riferimento allo studio condotto nel 2002 da A.C. van der Kuyl et al.).

DIMORFISMO SESSUALE
La presenza nei maschi delle tartarughe di un organo copulatore che viene estroflesso attraverso l'apertura cloacale solo nel momento dell'accoppiamento, fa sì che la distinzione del sesso debba basarsi principalmente su una serie di caratteri sessuali secondari. Nel caso di Testudo hermanni questi ultimi sono abbastanza evidenti, più che in altre specie dello stesso genere.
I maschi possiedono una coda lunga, robusta e grossa alla base. L'astuccio corneo è ben sviluppato. La coda della femmina è invece piccola e corta, l'apice corneo presente ma non così evidente.
La distanza dell'apertura cloacale dalla base della coda è maggiore nel maschio.
I maschi adulti presentano una concavità nel piastrone che tende ad accentuarsi con l'età; il piastrone delle femmine e dei giovani è invece piatto.
L'angolo formato dagli scuti anali del piastrone è molto maggiore nel maschio; l'altezza degli stessi scuti è però maggiore nella femmina.
Osservando la parte posteriore del piastrone di un maschio, si può notare che lo scuto sopracaudale è incurvato verso il basso. Nella femmina è "in linea" col resto del carapace.
I maschi sono di taglia inferiore rispetto alle femmine adulte della stessa sottospecie.

Le caratteristiche elencate riflettono le diverse necessità che maschio e femmina si trovano a dover affrontare nel rispettivo ruolo riproduttivo. Per esempio, la maggiore apertura degli scuti anali del piatrone garantisce al maschio una maggiore mobilità della coda durante l'accoppiamento, la concavità facilita monta, la rientranza dello scuto sopracaudale del carapace lo mette al riparo da possibili aggressioni di altri maschi e aiuta il mantenimento della posizione quasi verticale durante l'accoppiamento.
Tutti i caratteri considerati si rendono tanto più evidenti quanto più l'esemplare in oggetto si avvicina alla maturità sessuale (in cattività, 4-6 anni per i maschi, 6-9 anni per le femmine); piccoli di 1-2 anni possono essere sessualmente indistinguibili se non ad un occhio molto esperto o attraverso la comparazione con numerosi esemplari.

MANTENIMENTO IN CATTIVITA'
Anche questa specie, come le altre appartenenti al genere Testudo, necessita di ampi spazi all'aperto e di un ricovero invernale, all'esterno o all'interno, nel quale trascorrere i mesi più freddi. Particolare attenzione verrà prestata all'allestimento di recinti "a prova di fuga", in quanto questi animali si sono dimostrati in molte occasione degli evasori insospettabilmente abili.
L'esposizione ideale dovrebbe permettere alle tartarughe di beneficiare dei raggi diretti del sole perlomeno nella prima metà della giornata; le ore mattutine sono infatti quotidianamente impiegate alla termoregolazione, vale a dire al raggiungimento della temperatura corporea ideale. Il loro metabolismo viene così velocizzato e dopo questo "bagno di sole" gli animali cominciano la ricerca dell'alimento: con una temperatura corporea di circa 30°C gli enzimi digestivi vengono completamente attivati.
Le ore più calde della giornata vengono trascorse all'ombra; questi animali infatti mal sopportano l'eccesso di calore e, se da una parte l'esposizione ai raggi del sole è certamente essenziale per permettere la termoregolazione e il fissaggio del calcio nelle ossa, dall'altra l'impossibilità di godere di un riparo adeguato può portare rapidamente alla morte per surriscaldamento.
L'occupazione di habitat semiaridi da parte della specie in condizioni selvatiche, impone un'attenzione particolare nell'evitare l'allevamento in microclimi eccessivamente umidi, ciò che potrebbe provocare problemi respiratori e favorire l'insorgenza di patologie come raffreddori o polmoniti. Soprattutto al Nord è il caso di costruire dei ripari all'asciutto. D'altra parte un certo grado di umidità ambientale è necessario soprattutto per i neonati durante i primi mesi di vita, quindi l'ideale sarebbe disporre di un'ampia varietà di ambienti fra i quali possano scegliere.

LETARGO
L'entrata nella fase di riposo invernale corrisponde ad un rallentamento di tutta l'attività metabolica. Si tratta quindi di un momento particolarmente delicato durante il quale avvengono delle importanti modificazioni fisiologiche, motivo per cui in cattività è necessario prepararlo con il massimo riguardo alle esigenze di questi animali.
Ciò nonostante sosteniamo che l'allarmismo col quale viene normalmente affrontato il tema "letargo", sentito soprattutto nel caso dei giovani esemplari, sia totalmente ingiustificato; si tratta infatti di un evento assolutamente normale e fisiologico, ed eventuali decessi sono da attribuire per la massima parte a nostri errori di allevamento.
Le cifre che vengono spesso propinate come effetto della "selezione naturale" che opererebbe per mano della latenza, secondo taluni vicine al 50% di sopravvivenza al primo anno di letargo, sono del tutto esagerate e prive di obiettività relativamente alle ragioni che vengono addotte, e con tutta probabilità sono la somma di una serie di fattori fra i quali il letargo in sé non ne rappresenta che una minima percentuale.
Partiamo dal ragionevole presupposto che non esista alcun motivo per cui un esemplare in condizioni normali di salute non dovrebbe superare quei 4-5 mesi di letargo che costituiscono un evento assolutamente normale nella sua vita, e per affrontare il quale ha evoluto, in quanto specie, adattamenti più che adeguati. Miriamo piuttosto ad individuare le cause che nelle condizioni anormali imposte dalla cattività possono di fatto portare ai decessi.

Primo fattore importante è la temperatura. Il luogo di svernamento, sia esso all'aperto o al chiuso, deve mantenersi preferibilmente attorno ai 5°C, evitando con attenzione che la colonnina di mercurio scenda al di sotto dei 2° (la temperatura va calcolata laddove si trova l'animale, quindi sottoterra se è interrato). D'altra parte anche temperature eccessivamente elevate, per esempio quelle vicine o sopra i 10°, possono determinare qualche problema dovuto ad un mantenimento troppo elevato dei tassi metabolici, cui segue un consumo eccessivamente rapido delle riserve accumulate durante la bella stagione. Questa circostanza è tanto più pericolosa quanto più giovani sono le tartarughe.

L'umidità del substrato nel quale si trova l'animale durante la latenza è altrettanto importante in quanto, purché moderata, aiuta a limitare fortemente la disidratazione. Anche in questo caso le più esposte sono le giovani tartarughe, dato che soffrono maggiormente degli esemplari adulti per un'eccessiva siccità.

E' importante che tutte le tartarughe vadano in letargo con lo stomaco e l'intestino vuoti; questo serve ad evitare che il cibo non digerito possa fermentare o putrefare all'interno dell'animale. In condizioni normali l'assunzione dell'alimento viene istintivamente ridotta con avvicinarsi della brutta stagione e del freddo. Pertanto è senz'altro sconsigliabile l'abitudine di ritirarle in casa per ripararle dal freddo notturno, per poi rimetterle all'aperto di giorno: ciò può indurre negli animali un disorientamento tale da renderli incapaci di regolarsi adeguatamente in preparazione del letargo.

E' utile far bere le nostre tartarughe prima che si addormentino definitivamente: in questo modo, esse conserveranno una riserva di liquidi nella vescica dalla quale poter attingere in caso di bisogno.

Visite periodiche sono consigliate al fine di rilevare in tempo qualsiasi problema. E' possibile anche procedere al peso dell'animale, che non dovrebbe perdere più dell'1% del proprio peso per ogni mese di letargo; se il dato rilevato sul nostro esemplare fosse significativamente superiore, ciò potrebbe essere la spia di una situazione anomala ed in questo caso sarebbe quindi consigliabile interrompere la latenza portandolo in un locale riscaldato.

Gli animali malati o denutriti e in generale tutti quelli che non hanno recuperato il loro peso entro il mese di agosto non vanno fatti ibernare. Qualsiasi situazione anomala o patologica tende inevitabilmente a degenerare durante il riposo invernale.

Anche i piccoli nati alla fine dell'estate in genere possono tranquillamente sopportare i 4 mesi di letargo. Tuttavia può essere consigliabile ridurne la durata limitatamente a questo primo anno, specie se si tratta di tartarughine nate solo da pochi giorni o poche settimane: un paio di mesi possono essere in questi casi sufficienti.

ALIMENTAZIONE IN NATURA
Contrariamente a quanto si credeva fino a pochi anni fa, Testudo hermanni è una specie quasi esclusivamente vegetariana e le poche ricerche compiute sulle preferenze dietetiche di esemplari allo stato selvatico rafforzano questa conclusione. Le essenze erbacee consumate regolarmente dalle testuggini spaziano attraverso diverse famiglie, in particolare le ompositae, Leguminosae, Ranuncolaceae, Rubiaceae, Graminaceae. Esempio di piante molto comuni e bilanciate dal punto di vista nutritivo sono il tarassaco, la piantaggine e l'erba medica.
Frutti e bacche costituiscono una minima parte della loro dieta (non più del 10%), quindi si consiglia anche in cattività di non eccedere nel proporli.
Ancora controversa è l'ipotesi relativa ad un consumo deliberato di artropodi, in particolare anellidi, gasteropodi e insetti. L'analisi fecale effettuata in habitat ha peraltro evidenziato l'assenza di elementi a sostegno di questa ipotesi, sottolineando così il carattere saltuario di un eventuale consumo (cfr. Highfield) .
Non è peraltro mai stato osservato in natura un comportamento attivo nel ricercare queste fonti di proteine animali. Si ritiene quindi che in natura le testuggini ingeriscano alimenti con un rapporto Calcio-Fosforo pari a 4-8:1 e che un limite massimo per la regolare assunzione di proteine animali sia il 7%.

DISORDINI DIETETICI IN CATTIVITA'
Diversamente Testudo hermanni si dimostra, in cattività, un animale fortemente opportunista e poco specializzato dal punto di vista alimentare, arrivando ad accettare tutto quanto di commestibile le viene offerto.
L'abitudine ad assecondare questa tendenza porta a gravissime conseguenze per la loro salute: gran parte dei decessi occorsi in esemplari detenuti presso privati o giardini zoologici possono essere attribuiti ad un regime alimentare inadeguato, come hanno dimostrato alcuni studi effettuati in Inghilterra (rilevati da Rosskopf, 1981). La regolare somministrazione di elevati tenori di proteine animali causa sforzo renale, danni epatici, deformazioni alla corazza e può portare nel giro di alcuni anni al decesso.
Le gravi deformazioni alla corazza osservabili in alcuni esemplari nati in cattività, sono anch'esse collegate a disordini alimentari, ed in particolare all'interferenza di alcuni alimenti con l'assimilazione del calcio:
- il cavolo, gli spinaci e la barbabietola (fam. Chenopodiaceae, Brassicaceae) contengono elevati livelli di acido ossalico che inibisce direttamente il fissaggio del calcio nelle ossa;
- la carne e i prodotti di origine animale possiedono un rapporto Calcio/fosforo fortemente sbilanciato a sfavore del calcio, ciò diminuisce la portata del calcio disponibile;
- fagioli e piselli, pur essendo verdure, sono molto alti in proteine e quindi l'utilizzo regolare nella dieta è sconsigliato;
- alimenti ad alto contenuto di carboidrati, come il pane, la pasta e frutta promuovono una crescita eccessivamente rapida esponendo gli animali a problemi di salute anche gravi;
- il latte e il formaggio sono due autentici veleni per le tartarughe: poiché non possiedono gli enzimi per digerirli, essi fermentano al loro interno.

Tutti gli alimenti sopra elencati andrebbero eliminati dalla dieta in cattività.
I giovani di Testudo hermanni sembrano particolarmente portati a soffrire dei sintomi della Malattia ossea metabolica (MOM), dovuta a carenza di calcio nella dieta o alla mancata esposizione ai raggi del sole (raggi uv-b) e, da alcune osservazioni, sembra più di Testudo marginata e Testudo graeca graeca.
E' quindi consigliabile l'utilizzo per gli animali in crescita di un supplemento dietetico di carbonato di calcio da spargere sul cibo anche su base quotidiana.

RIPRODUZIONE
Il periodo riproduttivo di Testudo hermanni è esteso a tutti i mesi di attività, e ciò significa da marzo alla fine di ottobre secondo le condizioni climatiche.
Gli accoppiamenti si susseguono dalla primavera all'autunno, con un calo durante i mesi estivi più caldi; i maschi inseguono le femmine e le insidiano con morsi alle zampe anteriori, posteriori e sul capo.
L'accoppiamento vero e proprio è preceduto da una stimolazione della regione cloacale della femmina che i maschi effettuano grazie allo sperone corneo presente sulla punta della loro coda. Questa pratica, che se continuata nel tempo può fra l'altro provocare lesioni ai danni della femmina nei pressi della coda, è
accompagnata da suoni emessi per rapida emissione di aria dai polmoni.
Data la natura poco delicata di questi approcci, si consiglia di ridurre al minimo indispensabile i contatti fra maschi e femmine, o di mantenere un rapporto numerico fra i due sessi fortemente sbilanciato a favore delle femmine.
Eventuali accoppiamenti avvenuti alla fine dell'estate sono validi per la fecondazione delle uova dell'anno successivo. Le femmine sono infatti in grado di trattenere lo sperma e di fecondare le uova successivamente deposte anche per quattro anni dopo l'ultimo contatto con un maschio.
L'entrata nel periodo dedicato alla ricerca del posto più adatto allo scavo del "nido" viene avvertito da parte della femmina manifestando una particolare irrequietezza che si traduce in una frenetica attività quotidiana, nel corso della quale può essere osservata passare e ripassare accanto ad un fazzoletto di terra "candidato" e talvolta iniziare lo scavo di più buche senza portarne a termine nessuna.
Le uova vengono infine deposte in buche scavate nel terreno con le zampe posteriori, e il numero delle stesse può variare a seconda delle dimensioni della femmina. Il numero delle deposizioni è di una-quattro all'anno e si susseguono a distanza di 15-30 giorni l'una dall'altra. La media per T.h.hermanni sembra essere più vicina a due, per T.h.boettgeri a tre.
L'incubazione richiede da 50 a 90 giorni, in alcuni casi anche fino a 120; i tempi più brevi si sono registrati in incubatrici con temperatura costante di 32 gradi circa. Come noto, la temperatura di incubazione influenza il sesso del nascituro. Per Testudo hermanni si considerano i 32.5°costanti la soglia al di sopra della quale (ma non oltre i 33°!!) nasceranno solo femmine.
E' possibile osservare lo sviluppo dell'embrione attraverso il guscio dell'uovo, preoccupandosi di creare attorno una sorta di camera oscura: già dopo due-tre giorni dalla deposizione è possibile individuare nella parte superiore dell'uovo fecondato un macchietta circolare di colore grigio: è il "disco embrionale" (o discoblastula) che galleggia sul tuorlo e che con le sue segmentazioni cellulari porterà alla formazione dell'embrione vero e proprio e alle membrane che lo circondano.
La manipolazione delle uova deve essere il più possibile delicata per evitare danni all'embrione in sviluppo, in particolare deve essere mantenuta la posizione nella quale le uova erano state deposte (cioè non devono essere ruotate). In natura può accadere che uova deposte tardivamente portino alla schiusa del piccolo l'anno successivo: in questi casi l'embrione già formato sverna all'interno dell'uovo.
Dopo la schiusa, che può richiedere da poche ore a 3-4 giorni, i piccoli si trovano a dover superare uno strato di terra spesso 6-10 cm e a questa operazione possono dedicare alcuni dei loro primi giorni di vita.
Le riserve del sacco vitellino, che nel frattempo si sarà completamente assorbito, provvedono a nutrire i neonati durante questi i primi giorni.
I piccoli sbucano dal terreno: sebbene catapultati in questa "nuova dimensione" a loro totalmente sconosciuta, essi sono mirabilmente forniti di tutte le "informazioni" necessarie per far fronte ai loro bisogni.

Autore: Gionata Stancher
 
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