Relazione del Dr. Francesco Origgi al TARTARUGHE BEACH 2004
Un numero sempre maggiore di patologie a possibile o confermata eziologia infettiva e’ stato descritto recentemente nei cheloni. Tra queste possiamo ricordare in particolare delle patologie ad eziologia batterica come la micoplasmosi e ad eziologia virale come l’herpesvirosi, l’iridovirosi e quella ascritta al “virus X”.
MICOPLASMOSI: Descritta inizialmente all’inizio degli anni “90 nelle testuggini del genere Gopherus, nel sud-ovest degli Stati Uniti, questa patologia ha rapidamente accresciuto la sua importanza in relazione alla dimostrazione sperimentale che il Micoplasma agassizzi era in grado di riprodurre il complesso di segni clinici associato alla sindrome “URTD” (Upper respiratory tract disease) nelle testuggini del genere Gopherus dopo essere state infettate con il patogeno stesso. Questa malattia e’ caratterizzata dal un copioso scolo nasale e da una congiuntivite che può essere mono - o bi-laterale. La mucosa del tratto respiratorio superiore viene invasa da cellule infiammatorie che ne sovvertono la struttura compromettendo alcune funzioni fondamentali per le testuggini come la capacità olfattiva. A questo punto possono subentrare delle infezioni secondarie che possono interessare tutto il tratto respiratorio superiore delle testuggini affette dalla malattia. Lo stato generale delle testuggini peggiora progressivamente e la malattia assume un andamento cronico. Successivamente può subentrare la morte se e quando l’animale non e’ più in grado di assolvere le funzioni fisiologiche primarie quali prima fra tutte l’alimentazione. Le testuggini selvatiche che vengono colpite da questa patrologia possono andare progressivamente incontro alla morte, mentre per gli animali allevati in cattività e’ possibile una convivenza con la malattia caratterizzata da lunghi periodi asintomatici e da fasi di riacutizzazione. La patologia e’ stata poi recentemente segnalata anche nelle testuggini del genere Testudo ma non e’ chiaro se il significato patologico sia simile a quello che questa malattia ha nelle testuggini del genere Gopherus. La trasmissione pare avvenga per contatto e non per via verticale. Il trattamento con antibiotico non e’ risolutivo e le recidive sono frequenti. E’ disponibile un test sierologico in grado di identificare gli animali che sono stati infettati dal patogeno. Per il momento, la prevenzione e’ ancora l’arma migliore contro questa malattia.
HERPESIVIROSI: Tra le infezioni di origine virale, quella da herpesvirus e’ una delle più temibili. Sono noti diversi herpesvirus che possono infettare le testuggini terrestri, quelle marine e le tartarughe semi-acquatiche. Tra tutti, quello che infetta le testuggini terrestri e’ il più studiato. La via di contagio non e’ conosciuta, anche se si ritiene che sia necessario un contatto diretto. Le lesioni caratteristiche della patologia sono generalmente limitate al cavo orale ed al tratto respiratorio superiore. La presenza di placche diftero-necrotiche localizzate sul dorso della lingua e/o sulla mucosa del cavo-orale, e’ un segno clinico caratteristico. Il virus e’ in grado però di raggiungere praticamente tutti gli organi dell’animale ed e’ stato possibile rilevarlo con l’aiuto di mezzi diagnostici molecolari anche nei nervi cranici. Tra le testuggini del genere Testudo, sembra che le T. hermanni siano le più sensibili all’azione del virus con una progressione molto rapida della malattia fino ad arrivare alla morte. La T. graeca sembra invece essere più resistente al virus sebbene la sensibilità all’infezione sembra essere molto simile a quella della T. hermanni. La T. hosfieldii sembra avere una sensibilità al virus analoga a quella delle hermanni mentre la T. marginata pare abbia una sensibilità intermedia alla T. hermanni e alla T. graeca. Una volta che il virus e’ entrato in una collezione di testuggini e’ probabile che sia presente per sempre in quanto questo herpesvirus analogamente agli altri rappresentanti della famiglia degli Herpesviridae sembra essere caratterizzato dal poter instaurare una “latenza” e cioè di rimanere silente per lunghi periodi nell’animale fino a poi “risvegliarsi” non appena le difese immunitarie dell’ospite si indeboliscono. Sebbene alcuni trattamenti terapeutici hanno sortito dei buoni effetti, la prevenzione resta senza dubbio l’arma migliore. La separazione degli animali per specie, l’accertarsi della provenienza di nuove Testuggini da inserire nella propria collezione e l’esame sierologico periodico dei propri animali sono condizioni indispensabili per mantenere la propria collezione “HERPES-free”. Sono disponibili dei test sierologici e molecolari per la diagnosi della malattia.
IRIDOVIROSI: Un virus che recentemente sta acquisendo una sempre maggior importanza da un punto di vista sanitario e’ l’IRIDOVIRUS, un virus che originariamente era noto come un agente patogeno di alcuni insetti. L’isolamento sempre più frequente dell’iridovirus da testuggini terrestri impone di prestare un’attenzione maggiore anche nei confronti di questo virus. Analogamente all’infezione da herpesvirus e’ possibile osservare la presenza di placche diftero-necrotiche sul dorso della lingua e/ o sulla mucosa del cavo orale. Nulla al momento e’ noto relativamente alla patogenesi dell’infezione da iridovirus. Studi più approfonditi sono necessari per acquisire dati ulteriori.
VIRUS X: Il virus X e’ stato isolato in Germania per la prima volta alla fine degli anni 80. Si sa molto poco di questo virus al di la’ del fatto che e’ stato isolato da diverse testuggini del genere Testudo e che pare essere un virus ad RNA a differenza di herpes e irido-virus che sono virus a DNA. Analogamente all’iridovirus e’ stato isolato da testuggini con gravi segni di malattia o post-mortem, ma non e’ ancora chiaro se esiste un nesso causale fra il virus e’ la malattia alla quale e’ associato.
Molto resta ancora da fare per individuare, studiare e sconfiggere virus, batteri e parassiti che mettono a rischio la vita delle nostre testuggini. Al momento possiamo solo cercare di capire gli aspetti più superficiali delle malattie infettive delle testuggini, ma in futuro, sono certo che sapremo di più e soprattutto saremo in grado di dare risposte alle sempre più numerose domande con cui ci dobbiamo confrontare ogni giorno.
Relazione del Dr. Gabriele Tenti al TARTARUGHE BEACH 2004
Introduzione
Mi preme che da questa breve relazione su un argomento molto vasto e complesso emergano risposte ad alcune domande che un proprietario di tartarughe coscienzioso sicuramente si pone:
Sempre più frequentemente data la grande diffusione di rettili e tartarughe in particolare è richiesto l’aiuto del veterinario per cure specifiche riguardanti questi animali. Uno degli strumenti diagnostici fondamentali nella medicina moderna è la medicina di laboratorio. Il ricorso ad esami del sangue, del midollo osseo e di altri liquidi organici, assieme a esami delle feci, agli esami microscopici citologici, all’istologia, agli esami micologici e batteriologici sono strumenti fondamentali nella pratica veterinaria attuale. Tuttavia poca preparazione ancora oggi viene ottenuta nei corsi laurea universitari sull’applicazione di tecniche diagnostiche di laboratorio ai cosiddetti animali non convenzionali. I rettili sono ancora poco studiati dal punto di vista medico in tutto il mondo e l’Italia non è ai primi posti nelle ricerche per colmare questo gap di conoscenze. Il sangue può servire per un gran numero di ricerche di laboratorio (ematologiche, biochimiche, immunologiche, biologico- molecolari), utilissime a fini diagnostici, prognostici e terapeutici, tuttavia già il prelievo può essere una grossa difficoltà senza una buona esperienza su questi animali. E’ opportuno quindi descrivere le tecniche ematologiche e emato chimiche di base su questi animali con l’auspicio di una loro adozione sempre più ampia nella pratica, descrivendo anche ai non veterinari quali limiti e problemi di non facile soluzione si pongano nell’effettuare anche sulle tartarughe esami che sono comuni ad esempio nella medicina del cane e del gatto. Molti veterinari di piccoli animali non hanno sufficiente preparazione in tal senso e pertanto nel curare una tartaruga è oggi indispensabile rivolgersi a quei professionisti che curano un gran numero di rettili, dai quali occorre esigere dei profili ematici ed emato chimici ben eseguiti. Il proprietario dovrebbe innanzi tutto essere a conoscenza che non tutti gli ambulatori hanno la possibilità di effettuare determinazioni in tal senso, molti laboratori di analisi privati sono ugualmente messi a dura prova nella esecuzione di vari test per scarsa conoscenza delle particolarità di questi animali. Descrivo dunque le tecniche che adotto abitualmente con i miei pazienti col carapace, consapevole che altri possono utilizzare metodi diversi e che nuove soluzioni ed esperienze possono essere acquisite con la pratica ed il confronto continuo con i colleghi.
Quando è necessario un esame del sangue?
Chi possiede un rettile dovrebbe avere nel veterinario curante i suoi animali un consulente in grado di offrire consigli relativi ad ogni aspetto della biologia dell’animale (es. alimentazione, problemi riproduttivi), da consultare almeno una volta l’anno, anche in assenza di un vero problema e sciogliere ogni dubbio per quanto possibile. L’appassionato dovrebbe prestare particolare attenzione a tutti i cambiamenti anche minimi nel comportamento e nella condizione dei singoli soggetti le condizioni di malessere di una tartaruga possono essere subdole, l’animale poi peggiora improvvisamente o muore, ma in genere stava già male da tempo senza segni evidenti. È più prudente preoccuparsi troppo piuttosto che trovarsi poi di fronte problemi gravi, che si presentano sia al novizio che all’appassionato esperto. L’esperto magari avrà più animali e effettuerà nuove acquisizioni per la propria collezione e dovrà essere particolarmente scrupoloso nelle pratiche igieniche, nella quarantena, nella verifica e nel rinnovo periodico delle attrezzature.
Ogni nuovo acquisto dovrebbe essere visitato e non è una cattiva idea far effettuare in questi casi un profilo ematico per assicurarsi sullo stato di salute dell’animale.
In generale l'interpretazione dei cambiamenti nel profilo ematico delle tartarughe è abbastanza simile a quella dei mammiferi e degli uccelli. Idealmente, siccome i parametri ambientali influenzano molto i risultati, l' animale sano, tenuto in un determinato habitat, con una certa dieta, ritenuta appropriata, dovrebbe avere i suoi valori normali conservati in una cartella e, quando esso si ammali, si potrebbero valutare, ripetendo gli esami, le eventuali variazioni. Inoltre, proprio per il gran numero di variabili implicate, più che un unico prelievo, dovremmo farne diversi, a distanza di un certo tempo l'uno dall'altro e valutarli quindi assieme per scopi prognostici e terapeutici.
Chi alleva tartarughe potrebbe essere interessato a far esaminare dal punto di vista ematico un gruppo omogeneo di soggetti ritenuti sani, un veterinario responsabile sarà ben lieto di poter determinare i valori medi di vari parametri importanti su un gruppo di soggetti sani con le strumentazioni che usa abitualmente, per poter rendersi conto di eventuali cambiamenti qualora si verificassero in futuro, piuttosto che dover basare le proprie valutazioni su dati di riferimento presenti in letteratura. Purtroppo infatti questi ultimi sono incompleti, determinati spesso su uno scarso numero di soggetti, in epoche più o meno diverse con tecniche e strumenti diversi, inoltre non sono rappresentativi più di tanto in quanto la popolazione animale del proprio cliente potrebbe essere un po’ diversa. Non solo i contaminanti ambientali possono essere presenti diversamente da zona a zona, molti possono variare da gruppo a gruppo. Credo che l’appassionato serio interessato a fare un po’ di analisi preventive sui propri animali sani, sia da considerarsi anche lungimirante da un punto di vista economico. Molti appassionati sono disposti a spendere tanto su soggetti di una specie rara e poi ricorrono al veterinario che magari non ha dati affidabili su quella specie pretendendo diagnosi rapide, assolutamente certe, magari realizzate in economia ed in pochissimo tempo. In medicina umana ove esistono ampi investimenti nella ricerca, prevenzione, amplissime casistiche, molte persone muoiono ogni anno per errate diagnosi. Nel campo degli animali e in particolare se abbiamo a che fare con quelli meno diffusi, sta al cliente avere la lungimiranza di investire denaro per fare un po’ di prevenzione, al veterinario il compito di aggiornarsi e condividere con i colleghi le conoscenze acquisite, nonché di venire incontro anche dal punto di vista economico ai clienti che ripongono in loro fiducia.
Le analisi di laboratorio sono uno strumento che non deve mai prescindere da un esame clinico completo, una corretta anamnesi, dai quali dovrebbero scaturire anche delle indicazioni su cosa cercare, cioè su quali parametri valutare e perché. Tuttavia, siccome le conoscenze di patologia clinica di questi animali sono ancora approssimative ed i parametri facilmente interpretabili sono pochi, non dovrebbe essere biasimato il professionista che fa qualche esame forse non strettamente necessario, ma piuttosto quello che corre il rischio di farne qualcuno in meno.
Nelle tartarughe allevate in cattività possono riscontrarsi abbastanza frequentemente malattie quali la malattia ossea metabolica, salmonellosi (spesso sono portatrici asintomatiche di vari tipi di salmonelle) insufficienza renale, epatopatie, diabete, gotta viscerale ed articolare, affezioni repiratorie di origine batterica o virale, stomatiti, dermatiti batteriche, fungine, micosi sistemiche, varie parassitosi, interne ed esterne. Fra le malattie virali il più noto è sicuramente l’Herpesvirus, causa di stomatite, affezioni respiratorie e indebolimento del sistema immunitario in varie specie di tartarughe terrestri e lesioni cutanee in tartarughe marine. Esistono però altri virus, parassiti e batteri patologeni meno frequenti e non facilmente diagnosticabili. I rettili possono ad esempio contrarre steatosi epatica (in particolare specie carnivore in sovrappeso), rickettsiosi, leptospirosi, vari tumori, anche delle cellule del sangue. Per la diagnosi di alcune malattie è necessario fare esami che non si possono condurre nel normale ambulatorio, il veterinario dovrà però avere un sospetto diagnostico e essere capace di fare idonei prelievi per inviare ad esempio il siero al laboratorio specializzato, dove si effettueranno i vari accertamenti (es. il test PCR per l’Herpes-virus sviluppato dal Dr. F. Origgi). Alcuni parametri biochimici potrebbero essere meglio determinati da un laboratorio esterno alla struttura veterinaria e pertanto le risposte perverranno alla struttura dopo un certo tempo, mediamente tre giorni lavorativi.
Prelievo di sangue
In un rettile sano si può prelevare senza rischi fino al 10 % del volume ematico totale (5% del peso corporeo) per cui in un soggetto di 100 g si possono prelevare sino a 0,5 (si può prelevare sino allo 0,5 % del peso corporeo). Con 1,5 ml di sangue si possono oggi effettuare moltissimi esami, molti laboratori utilizzano infatti microtecniche.
Il prelievo di sangue nelle tartarughe è poco agevole, nessun vaso è facilmente utilizzabile anche se sono state descritte molti siti di prelievo. In medicina umana per prelevare il sangue spesso si utilizzano provette vacutainer, ma nelle tartarughe sia la difficoltà a reperire e mantenere il vaso, sia la suzione esercitata da questo sistema, che potrebbe essere eccessiva, non ne rendono secondo me opportuno l’utilizzo. Una siringa da 1-2,5 ml sono quindi gli strumenti che utilizzo, cambiando, semmai l’ago, a seconda del soggetto. Utilizzo abitualmente siringhe da insulina (25G) per animali al di sotto di 20 cm lunghezza del carapace, ed in genere aghi 23G per soggetti da 500g a 2kg. Aghi 22G possono andar bene per soggetti di taglia superiore, es. Testudo marginata adulte o Geochelone sulcata medio grandi.
Il mio sito di prelievo preferito nelle tartarughe terrestri non sedate è il plesso venoso sub carapaciale, mentre per le acquatiche il seno venoso post- occipitale. In una tartaruga sedata la vena giugulare è quella che preferisco e in tartarughe di una certa mole anche la brachiale e la safena. In letteratura sono descritti anche vena ventrale, dorsale, laterale della coda, il plesso venoso retrobulbare dell’occhio e la cardiocentesi (sia ponendo un ago cannula al centro dello spazio fra collo e arto anteriore, oppure previa trapanazione del piastrone usando come punto di repere il margine craniale della placca addominale). Occorre considerare che il sangue fuoriesce dopo 20 secondi, inoltre defluisce lentamente, per cui in alcune situazioni è opportuno eparinizzare leggermente la siringa.
Ematocrito
Il valore ematocrito è la frazione del sangue occupata dagli eritrociti (%).Si indica con la sigla PCV se è calcolato con la tecnica di riferimento. In tal caso viene determinato utilizzando un capillare da microematocrito contenente sangue e chiuso ad una estremità da plastilina, centrifugando a 12000 giri per 3 minuti con una centrifuga apposita (che non tutti gli ambulatori possiedono), mentre quando si trova la sigla HCT si tratta dell’ematocrito calcolato da un conta globuli automatico secondo la seguente formula:
Hct = (RBC x MCV)/10
Purtroppo la maggioranza dei conta globuli attualmente in uso non forniscono valori molto precisi del numero dei globuli rossi (RBC), né del valore MCV (volume corpuscolare medio) in animali che hanno i globuli rossi nucleati (ad esempio gli uccelli ed i rettili). Inoltre questo parametro fondamentale può essere effettuato in pochi minuti con una minima quantità di sangue, quindi anche da animali molto piccoli. Su soggetti in cui la quantità di sangue prelevabile è minima è importante determinare almeno il PCV e fare lo striscio ematico. Il PCV ci permette di valutare rapidamente la presenza di anemie, emoconcentrazione e quindi il grado di disidratazione. Se poi si effettua una conta accurata al microscopio del valore RBC e la determinazione dell’emoglobina (Hgb) abbiamo i tre 3 elementi che ci permettono di calcolare gli indici eritrocitari MCV, MCH, MCHC, importanti per la valutazione delle anemie.
Esecuzione dello striscio ematico
Lo striscio di sangue andrebbe realizzato col sangue rimasto nel cono della siringa, senza anticoagulante dopo aver posto il sangue prelevato in una provetta contenente l’anticoagulante litio eparina. L’Edta non è utilizzabile nelle tartarughe perché dà lisi dei globuli rossi. Per quanto riguarda la tecnica di striscio ci sono molte alternative anche se il metodo classico rovina le cellule e per strisciare si dovrebbe disporre di vetrini molati sul bordo del lato corto, in alternativa si possono usare la tecnica per apposizione comunemente utilizzata per la citologia. E’ meglio in questo caso sovrapporre un copri oggetto magari di quelli rettangolari al porta oggetto o adottare la cosiddetta tecnica del doppio copri oggetto, più usata in ematologia aviare. Io vario la tecnica di striscio a seconda del tipo di animale, le cellule ematiche dei rettili sono particolarmente delicate. La tecnica che ho adottato di routine per le tartarughe, non disponendo sempre di vetrini molati me la sono inventata di recente. Avvicino alla goccia un capillare da microematocrito, utilizzandone la superficie curva, ponendolo orizzontalmente sul copri oggetto perpendicolare all’asse maggiore del vetrino e lascio che la goccia si espanda su di esso, poi striscio, facendo così senza troppa difficoltà la giusta pressione per ottenere strisci con una buona forma ed una disposizione uniforme e monostratificata delle cellule. Varie colorazioni tipo Romanowsky sono utilizzate per la colorazione degli strisci. Frye preferisce Kleinenberger-Noble Giemsa se i vetrini devono essere conservati a lungo, ottimi risultati però si ottengono anche con Jenner Giemsa, secondo questo autore, autorità indiscussa nella medicina dei rettili. Possono andar bene May Grunwald Giemsa o Wright Giemsa o le colorazioni rapide tipo Diff Quick e simili. Avendo utilizzato May Grunwald Giemsia con ottimi risultati lo consiglio per ricerca e pubblicazioni, ma per la pratica ambulatoriale di routine si ottengono discreti risultati anche con Diff Quick.
Conte Eritrocitarie e Leucocitarie
Le conte dei bianchi e dei rossi potrebbero essere stimate su uno striscio veramente ben fatto, con distribuzione omogenea e monostratificata delle cellule, ma preferisco utilizzare un conta globuli automatico per la stima dei rossi e per la lettura dell’emoglobina, poi calcolo comunque RBC e WBC su camera di Neubauer al microscopio, usando l’obiettivo non ad immersione più potente, con la soluzione di Natt e Herrick come diluente –colorante. In alternativa si possono utilizzare le pipette del sistema Unopette. La pipetta per i globuli bianchi del sistema Unopette dà una diluizione 1:200 e può essere reperita da alcune ditte di attrezzature veterinarie più fornite. La soluzione di Natt e Herrick, che va filtrata prima dell’uso necessita di pipette di vetro specifiche per le camere di conta in cui il sangue ed il diluente vengono aspirati dall’operatore tramite un tubicino di gomma, ma permette la conta di rossi e bianchi caricando una sola volta la camera, diluendo con la pipetta dei bianchi, aspirando sangue fino al segno 0.5 e diluente fino al segno 101, poi si agita la pipetta ev si fanno uscire e gettando le prime 4 gocce si depone l goccia nella camera dopo avervi posto il vetrino copri camera, facendo entrare il sangue diluito per capillarità dal bordo del vetrino copri camera stesso. Occorre fare attenzione che nel reticolo non si formino bolle d’aria e che il liquido non fuoriesca dalle scanalature laterali. L’inconveniente maggiore dell’uso della soluzione di Natt e Herrick è che le pipette per la diluizione (che devono sempre essere ben sciaquate in acqua distillata) impiegano moltissimo ad asciugarsi completamente, anche una settimana, se non poste su un piano caldo (ad es. sopra una stufa o una autoclave), le pipette umide impediscono una diluizione accurata e quindi una conta valida. In alternativa si può far fare una lettura dei rossi, non molto precisa ma pratica, da un conta globuli automatico e fare una conta dei bianchi stimata sul vetrino con il metodo Campbell:
WBC= n medio leucociti in 5 campi x 3500
Che è attendibile se l’ematocrito è normale, altrimenti il valore va corretto:
WBC corretto = WBC osservato x (PCV osservato/PCV medio fisiol)
Per il calcolo del WBC è descritto anche nelle specie con un altro numero di eosinofili circolanti il metodo della Flossina B con la pipetta Unopette per gli eosinofili. Non l’ho mai utilizzato, non è un metodo molto diffuso la flossina colora eterofiliv ed eosinofili in rosso el a conta si ottiene con la formula:
WBC = (n eterofili e eosinofili/mm3 x 100)/(% eterofili ed eosinofili)
C’è il rischio di confondere trombociti e piccoli linfociti, per cui è necessario porre molta attenzione. In caso di dubbi si può confrontare il valore con quello ottenuto da una conta stimata (fatta con obiettivo ad immersione - i dettagli cellulari sono meglio evidenziabili). Molto utili se disponibili le colorazioni differenziali tipo Citocolor (R).
Emoglobina
Il valore dell’emoglobina è poco preciso se effettuato dai contaglobuli automatici per la presenza di nuclei liberi . E’ preferire effettuare la determinazione a parte con un emoglobinometro o mandare un campione di sangue al laboratorio per la determinazione spiegando che occorre nel realizzare il metodo alla cianometaemoglobina centrifugare la miscela per eliminare i nuclei dalla soluzione prima della lettura.
Morfologia degli elementi cellulari
Eritrociti
Gli eritrociti maturi nei rettili sono cellule ellissoidali con nucleo ovale in posizione centrale. Il citoplasma si presenta omogeneo, di colore dal giallastro al rosso mattone. Il loro numero va da
0,2 a 1 x 106 /l
con differenze molto significative a seconda della specie. Gli eritrociti hanno uno o più nuclei spesso marcatamente irregolari. Il citoplasma si colora di arancio – rosa fino al rosso mattone ed è di solito di aspetto uniforme. Il nucleo contiene cromatina addensata e diviene più picnotico man mano che la cellula invecchia. Quando la cellula diviene senile il nucleo comincia a presentare picnosi, poi rigonfia e diventa amorfo, perdendo la sua cromatina caratteristicamente densa. In diversi casi la cromatina si aggrega in ammassi densi. La membrana nucleare ed eritrocitaria infine si lisano e a meno che la cellula non più funzionale sia inglobata da monociti o altri fagociti, il contenuto cellulare si disperde nel plasma circostante. L’origine stessa degli eritrociti nei rettili è interessante perché potrebbe darci indicazioni utili clinicamente.
L’eritropoiesi può avvenire in 5 modi:
Il grado di policromasia fornisce l’indicazione più utile di attiva rigenerazione eritrocitaria. Eritrociti di tartarughe con una marcata risposta rigenerativa, che si sono appena svegliati dall'ibernazione o con marcate forme infiammatorie spesso sono binucleati, mostrano abnormi divisioni nucleari o attività mitotica.
Eritrociti con forma anomala del nucleo possono essere associati con malattie infiammatorie, malnutrizione, cachessia. Una leggera poichilocitosi e anisocitosi sono considerate normali in molte specie tuttavia moderate o marcate poichilocitosi e anisocitosi possono trovarsi in condizioni di anemia rigenerativa o altri disordini eritrocitari. Si osservano occasionalmente eritrociti mancanti del nucleo che sono denominati “eritroplastidi” e se in numero ridotto hanno scarso significato. Inoltre si trovano anche nuclei eritrocitari liberi nel plasma fra cellule adiacenti. Sono chiamati ”ematogoni” e hanno importanza discutibile. Sembra che si formino quando il nucleo è espulso dagli eritrociti insieme con un sottile strato di citoplasma.
Eritrociti immaturi sono spesso presenti nel sangue periferico, specialmente nei rettili giovani o in quelli che stanno per fare la muta della pelle, oppure come risposta all’anemia. Gli eritrociti immaturi sono cellule rotondeggianti con grossi nuclei e citoplasma basofilo. Spesso appaiono più piccoli di quelli maturi. Mentre la sezione di un eritrocita di mammifero è discoidale o biconcava, quella di un rettile è appiattita, con una leggera sporgenza nella regione del nucleo. La cromatina è grossolanamente e densamente granulare. I reticolociti, così come i giovani eritrociti policromatofili dei rettili possono essere dimostrati usando il nuovo blu di metilene, brilliant cresyl blue e altre colorazioni sopravitali. I reticolociti dei rettili hanno un distinto anello di reticolo aggregato che circonda il nucleo cellulare. Occasionalmente si possono osservare negli eritrociti dei rettili corpi di Howell– Jolly. Qualche volta si possono vedere eritrociti falciformi, fusati, piriformi, sferici e di altre forme anomale. Alcune di queste cellule possono essere un artefatto, ma in alcuni animali l’incidenza di queste anomalie è sufficientemente alta da indicare un difetto della eritropoiesi. Un esempio clinicamente rilevante sono gli sferociti che sono associati ad alcune malattie immunomediate nei vertebrati superiori. Nei rettili sono più comunemente osservati in animali con infezioni croniche, anche se sono stati individuati in rettili affetti da lupus eritematoso sistemico e artrite reumatoide. Allo stesso modo si vedono occasionalmente eritrociti macrocitici e microcitici.
Le tartarughe hanno gli eritrociti più grandi tra tutti i rettili. Sembra infatti che i rettili più primitivi abbiano gli eritrociti più grandi. La taglia dell’eritrocita è inversamente proporzionale al livello metabolico. Il numero degli eritrociti è sempre molto inferiore a quello degli uccelli e dei mammiferi. In alcune specie la conta eritrocitaria è più elevata nei maschi. Essa comunque varia anche a seconda della stagione in molte specie. Il numero aumenta immediatamente prima dell’inverno, così come l’ematocrito. Alla fine dell’ibernazione il numero degli eritrociti è diminuito, ma ciò potrebbe essere correlato ai cambiamenti ormonali della stagione riproduttiva che in molte specie inizia subito dopo il risveglio invernale.
In alcune infezioni virali si possono osservare corpi inclusi intraeritrocitari.
Leucociti
I linfociti
Sono i più comuni leucociti, taglia e colore variano a seconda delle specie. Il nucleo è eccentrico.
La forma del linfocita è uguale a quello dei mammiferi e può essere piccolo e rotondo oppure più grande e irregolare. I piccoli linfociti vanno dai 5,5 ai 10 micron e i grandi dagli 11 ai 14,5. Il citoplasma è finemente granuloso e si colora in blu pallido con colorazioni tipo Romanowsky. Il citoplasma contiene frequentemente inclusioni azzurrofile o ialine.
In casi di batteriemia spesso all'interno dei linfociti si ritrovano microrganismi, in altri casi eritrociti fagocitati. I nuclei dei prolinfociti presentano un singolo nucleolo ben definito, occasionalmente due. In situazioni di grave stress o neoplasia linforeticolare si trovano nel sangue periferico forme blastiche. Visto al microscopio elettronico e anche a quello ottico, il linfocita presenta la membrana cellulare con piccole estensioni (pseudopodi). La conta linfocitaria assoluta (e relativa) è altamente variabile ed è influenzata da molti fattori: specie, età, sesso, stagione, stato di nutrizione, presenza di parassiti emoprotozoi o metazoi, concomitante stato di malattia. Le femmine di alcune specie a parità di condizioni ed età presentano una conta linfocitaria leggermente maggiore dei maschi della stessa specie. I giovani tendono ad avere un numero di monociti, linfociti, eterofili e trombociti maggiore rispetto agli adulti. Il numero dei linfociti è più alto durante i mesi estivi più caldi e minore durante l'inverno e l'ibernazione. Quest'ultimo fatto è stato correlato con la minor risposta immunitaria durante temperature basse e l'ibernazione da parte di alcune specie di clima temperato.
Le plasmacellule
Le plasmacellule sono molto simili a quelle dei mammiferi e si differenziano bene negli strisci colorati dai linfociti. Il numero di plasmacellule circolanti è minore di solito di quello dei linfociti. Il nucleo solitamente eccentrico si colora di blu scuro con le colorazioni tipo Romanowsky. Di solito si osserva addensamento cromatinico perinucleare.
Il citoplasma si colora intensamente in blu, eccetto per un alone perinucleare più pallido (detto ialoplasma) corrispondente all'apparato del Golgi. In condizioni di intensa stimolazione immunologica si osservano all'interno del citoplasma corpi chiari tipo Russel. In rari casi si possono trovare plasmacellule multinucleate. La conta plasmacellulare di solito non supera lo 0,2-0,5 % ma potrebbe risultare molto aumentata nel caso di infezioni o altri stimoli immunologici.
Monociti
Molto simili a quelli dei vertebrati superiori. Sono di grande taglia ma rari. Di solito sono più grandi dei linfociti di maggiori dimensioni e possiedono un nucleo fatto ad "U", indentato o comunque curvo, contenente cromatina granulare. La loro dimensione è molto variabile nell'ambito di uno stesso individuo, da 2 a 20 micron. Il citoplasma si presenta di solito finemente granulare e si colora di blu- grigio pallido con colorazione tipo Romanowsky. Nel citoplasma si possono trovare vacuoli contenenti vari materiali fagocitati (es. batteri, detriti cellulari, vacuoli chiari di aspetto lipoideo, ecc.). I monociti rappresentano dallo 0,5 al 3% della conta leucocitaria totale. Tuttavia in alcuni casi e specie diverse i monociti sono stati riscontrati al 10 o addirittura al 20%. La monocitosi di solito si riscontra in processi infettivi di tipo cronico o altri stimoli immunologici cronici. In questi casi la conta monocitaria diviene elevata e questo dato è importante in patologia clinica per giudicare la risposta alla terapia e determinare un giudizio prognostico. In casi di granulomatosi (a varia eziologia) la conta monocitica aumenta sensibilmente.
Granulociti
Tali cellule sono simili a quelle dei mammiferi, Frye riporta che ci potrebbe essere un unico precursore primordiale all'origine dei vari granulociti eosinofili, neutrofili e basofili.
Neutrofili
Riconosciuti nei rettili per la prima volta più di 30 anni fa spesso sono stati contati, soprattutto in studi precedenti al 1973, assieme ai monociti e anche ai linfociti. Questo è comprensibile perché gli azzurrofili dei rettili hanno sia caratteristiche proprie del monocita che del neutrofilo dei mammiferi, infatti a differenza di quelli dei mammiferi i neutrofili dei rettili sono presenti in numero relativamente più scarso e tendono a essere messi in ombra dagli altri granulociti nella risposta ai microoorganismi patogeni.
Il neutrofilo dei rettili è caratterizzato da un nucleo non segmentato, composto di cromatina grossolanamente raggruppata. Questo nucleo assomiglia molto a quello che si trova nell' iposegmentazione anomala umana e canina di Pelger -Hüet. I bordi del nucleo potrebbero essere leggermente indentati ma non si osserva solitamente una vera segmentazione. Il citoplasma blu grigiastro nelle cellule reattive contiene piccoli e irregolari granuli azzurrofilici, in pratica agli usuali ingrandimenti la cellula appare praticamente senza granuli,tanto sono piccoli, ma si vedono un'area azzurrofila, inclusioni, sottili filamenti fibrillari, vacuoli chiari di tipo lipidico. Visibili, sempre in condizione di reattività, inclusioni di batteri o altro materiale fagocitato che dà l'aspetto di neutrofilo tossico assai noto nei mammiferi. Anche in queste cellule sono spesso visibili pseudopodi, singoli o multipli. I neutrofili dei rettili dimostrano positività per la perossidasi e la fosfatasi alcalina. Ai reagentii della Citocolor®, come il Neutrocolor® dimostrano la stessa colorabilità di quelli dei mammiferi.
Neutrofilia si ha in casi di necrosi cellulare e infezioni batteriche.
Nel rettile sano i neutrofili vanno dal 3 al 7% della conta leucocitaria differenziale, raramente superano il 10%.
Eosinofili
Per la loro somiglianza con gli eterofili spesso possono essere confusi con questi ultimi. Chelonia (le tartarughe) e Crocodylia hanno 2 tipi di granulociti acidofili: eosinofili ed eterofili. Gli eosinofili sono caratterizzati, come gli acidofili dei vertebrati superiori, da granuli rosso arancio, sferici e un nucleo eccentrico, blu pallido, semplice o lobato. La membrana cellulare, come quella degli altri leucociti, nei rettili, possiede numerosi pseudopodi.
Se gli eosinofili si degranulano perdono la loro eosinofilia e la riacquistano dopo un certo tempo. I granulociti acidofili dei cheloni hanno granuli citoplasmatici sferici che reagiscono sia alla perossidasi neutra che alcalina (perossidasi di Grahm-Knoll) e che si colorano con Sudan nero (eosinofili). Le tartarughe possiedono però anche cellule acidofile più numerose, perossidasi negative, che non si colorano con Sudan nero. Tali cellule contengono granuli citoplasmatici bastocellari che reagiscono negativamente con benzidina perossidasi. Le cellule sopra menzionate sono definite, per questa loro caratteristica, eterofili.
Eterofili
Ci sono differenze nell'attività degli eterofili e degli eosinofili, infatti, gli eosinofili aumentano sotto stimolazione antigenica, ad esempio, in caso di gravi parassitosi elmintiche o di altro genere, diventando il tipo predominante. Gli eterofili intervengono invece in molte infezioni batteriche extracellulari aumentando in maniera relativa ed assoluta. I granulociti eterofili hanno infatti attività fagocitiche e assumono la funzione e il ruolo che nei mammiferi hanno i neutrofili polimorfonucleati. Per cui in caso di infezioni batteriche o necrosi, i granulociti che più aumentano in frequenza relativa sono gli eterofili, così come nei mammiferi aumenterebbero i neutrofili. L'eterofilo è insomma il caratteristico granulocita acidofilo che si trova in molti ascessi, primariamente quelli indotti da batteri extracellulari. Gli eterofili sono spesso contati erroneamente insieme ai meno comuni eosinofili. Gli eterofili in genere hanno granuli allungati, gli eosinofili rotondi. Alcuni autori definiscono i granuli degli eterofili "granuli eosinofilici spiculati". I granuli negli Squamata (sauri e serpenti) tendono a essere più piccoli, numerosi e allungati rispetto a quelli dei coccodrilli mentre nelle tartarughe, in particolare quelle d'acqua, si colorano in rosso marrone con Romanowsky e sono così numerosi da spostare il nucleo alla periferia della cellula .
Gli eterofili in molte specie di rettili sani sono di norma dal 30 al 45% della conta totale leucocitaria. Nelle infezioni batteriche si può arrivare al 65%. La conta totale leucocitaria può aumentare di cinque volte in una reazione leucemoide.
Basofili
In uno striscio di sangue sauriano colorato il granulocita più facile da identificare è il basofilo perchè presenta granuli intensamente basofili. I basofili sono piccoli ma numerosi. Si tratta di cellule fragili che possono rompersi nell'allestimento dello striscio. I granuli intracitoplasmatici di questo leucocita si colorano rosso porpora con colorazioni tipo Romanowsky e possiedono un nucleo centrale che si colora di scuro. In individui sani, non ibernanti, il loro numero è dal 10 al 25% della conta leucocitaria. I basofili diminuiscono nell' ibernazione e aumentano con l'attività.
20 micronsIl nucleo del basofilo contiene un denso nucleolo ovale che si apprezza meglio alla microscopia elettronica, infatti col microscopio ottico questi particolari possono essere nascosti dalla densa colorazione dei granuli.
Trombociti
Di solito sono meno del 40% anche se sono stati riportati valori da 25 a 350 su 100 leucociti. Il normale range nel sangue periferico va da 10500 a 19500 per mm cubo di sangue , la larghezza varia da 5 a 9 microns, la lunghezza da 8 a 18, a seconda della specie. Risultano più piccoli degli eritrociti.
Per quanto riguarda la forma si tratta di cellule piccole, basofile, ellissoidali o fusate con un grosso nucleo centrale basofilo, la cui cromatina è più omogenea di quella di un eritrocita. Nei rettili il citoplasma della maggior parte dei trombociti varia dal blu pallido al quasi privo di colore e si presenta agranulare.
Queste cellule hanno la tendenza ad aderire le une alle altre e a formare aggregati negli strisci. All'esame con il microscopio elettronico possono essere visti pseudopodi che contengono materiale finemente granulare [22].
Occasionalmente nei rettili anemici si possono osservare trombociti binucleati, queste cellule, infatti, come gli eritrociti, sono capaci di divisioni amitotiche.
L'uso di colorazioni sopravitali come ad esempio il Nuovo Blu di Metilene aiuta a distinguere i trombociti, il cui nucleo è affine al colorante, dagli eritrociti.
I trombociti nei rettili originano da cellule multinucleate di tipo megacariocitico presenti nel midollo osseo o in siti di eritropoiesi extramidollare. In queste cellule multinucleate è stata dimostrata, con colorazioni specifiche, la presenza di lisosomi. Queste cellule assomigliano molto ai megacariociti dei mammiferi. Sia i megacariociti che i trombociti maturi possono avere funzione di fagociti. Nei loro citoplasmi sono stati infatti ritrovati detriti cellulari ed eritrociti invecchiati.
Il trombocita è parte del sistema della coagulazione, serve da fagocita, possiede una pluripotenza funzionale che gli permette di trasformarsi in eritrocita. Come l'eritrocita dopo che è maturato può tornare indietro nel processo maturativo sdifferenziandosi e andare incontro a divisione mitotica o amitotica. In casi di grave anemia i trombociti possono essere reclutati per diventare eritrociti, ma questo può portare il loro numero a non essere più sufficiente e allora ci possono essere emorragie spontanee per trombocitopenia. Studi in merito sono stati compiuti da Frye con vari rettili resi anemici e studiati per la morfologia cellulare e per la presenza di emoglobina, trovata anche nei pochi trombociti normali. In pochi giorni, eliminata la causa anemizzante, i due tipi cellulari tornavano a differenziarsi.
Rilievi anormali occasionalmente riscontrati
A volte osservando uno striscio di sangue di una tartaruga possiamo rilevare cellule anomale, emoprotozoi intra e extraeritrocitari, corpi inclusi di tipo virale ad esempio per infezioni da herpesvirus, microfilarie, alcuni inclusi sono in realtà artefatti dovuti alla colorazione. I parassiti ematici possono essere o no patologicamente significativi. La rilevanza o meno di questi parassiti deve essere giudicata sulla base dei segni clinici che quel particolare rettile manifesta. Spesso le filarie non sono patogene nei rettili.
Nelle forme malariche ci sono delle crisi periodiche come nei mammiferi. Alcuni parassiti che non si ritrovano nel sangue periferico al mattino possono trovarsi la sera, in concomitanza con il periodo di attività degli insetti vettori. Le cellule anormali che invece potremmo trovare, generalmente derivano da neoplasie linforeticolari e mieloproliferative. Tuttavia poche cellule con divisioni mitotiche non sono indice di neoplasia e il caso va valutato globalmente (intero emogramma, esame fisico, ecc.). Eritrociti a forma di falcetto o lupus eritematoso- like sono state riscontrate.
Prelievo di midollo osseo
Indicazioni al prelievo e alla valutazione del midollo osseo includono l’anemia cronica o non rigenerativa, leucopenia persistente, trombocitopenia, le neoplasie del sistema ematopoietico. Si effettua previa disinfezione con betadine e perforazione della porzione anteriore del piastrone, lateralmente alla placca gulare. La zona perforata va poi richiusa con una piccola quantità di colla tessutale ed un ulteriore strato di epossidico bi-componente. Il vetrino va effettuato con delicatezza, utilizzando due copri oggetto.
Sierologia e biochimica clinicaL'analisi del siero è un importante ausilio diagnostico. Per il clinico è spesso necessario mettere in ordine di priorità i componenti di un profilo da realizzare, per l'inadeguato volume di sangue presentato al laboratorio.
Profilo minimo | Elettroliti | Test addizionali | Test di solito poco usati per valutare le tartarughe |
Proteine totali | Na | Amilasi | ALT |
Albumine | K | Acidi biliari | AP |
Globuline | Cl | Glucosio | Bilirubina |
AST | LDH | BUN | |
CK | Creatinina | ||
Acido urico | |||
Ca | |||
P |
I parametri di cui conosciamo il valore diagnostico in queste specie e che quindi possiamo utilizzare purtroppo non sono utili per l'identificazione precoce del danno renale e le tartarughe con insufficienza renale potrebbero presentare solamente una elevata quantità di fosforo o un rapporto Ca: P invertito.
Proteine totali Generalmente da 30 a 80 g/l. L'ipoproteinemia è spesso associata con la malnutrizione. Altre cause includono malassorbimento, cattiva digestione (es. per parassitismo intestinale), enteropatie proteino-disperdenti, gravi perdite di sangue e affezioni croniche epatiche o renali.
Elettroforesi delle proteine Richiede solamente una piccolissima quantità di plasma e fornisce dati diagnostici veramente utili. Attualmente informazioni specifiche sui rettili sono limitate. Estrapolazioni dai risultati ottenuti nei mammiferi e negli uccelli potrebbero avere valore dubbio ma una valutazione iniziale mostra che sono comparabili. Andrebbe sempre effettuatain caso di aumento delle proteine totali non correlabile a disidratazione ed in caso di iperglobulinemia. Gli anticorpi migrano prevalentemente a livello delle gamma globuline.
Albumine I livelli di siero albumine variano in maniera notevole con stato di salute, ambiente esterno, stato nutrizionale. Sono importanti nel mantenere il volume plasmatico. L' interpretazione dei valori del calcio deve essere fatta alla luce dei valori di Albumine (calcio corretto).
Ca corretto = (Ca-Albumina) + 3,5
L'uso del fattore di correzione 3,5 è stato contestato nei rettili, ma in mancanza di studi chiarificatori viene attualmente utilizzato.
Globuline Possono aumentare negli stati infiammatori e portare ad un aumento delle proteine totali. Le frazioni , potrebbero aumentare nelle necrosi tissutali e diminuire nelle patologie epatiche, nella malnutrizione e nel malassorbimento. Le frazioni , , aumentano in caso di malattie infettive.
AST L'aspartato aminotransferasi (AST= GOT) è presente in tutti i tessuti corporei ma le concentrazioni maggiori si trovano nei muscoli e nel fegato. Valori elevati di AST suggeriscono un danno tissutale che coinvolge in special modo il fegato o i muscoli. In associazione con la CPK, per escludere il danno muscolare, l' AST è un test utile nelle tartarughe per valutare il danno epatocellulare. Alcune malattie generalizzate come le setticemie, ad esempio, possono elevare anch'esse la AST.
CK La creatinin kinasi è considerata come prevalentemente derivante dal muscolo scheletrico ed è utile considerata insieme a test non specifici per la funzione epatobiliare (AST) per escludere un coesistente danno al muscolo scheletrico.
Acido urico E' il principale catabolita finale delle proteine, dell' azoto non proteico e delle purine nei rettili. E' sintetizzato dal fegato e escreto per secrezione dal tubulo renale. Il livello ematico perciò dipende largamente dal flusso urinario (e quindi non è un indicatore sensibile di disidratazione).
Ca L' ipocalcemia si ha associata con squilibri di Ca, P, vitamina D. In femmine con attiva follicologenesi si potrebbe rilevare ipercalcemia, ma i valori di calcio ritornano nella norma una volta che esse hanno deposto le uova. Il rapporto Ca / P può essere invertito in corso di malattia renale
P L' iperfosfatemia si può avere per eccessiva quantità di fosforo nella dieta, ipervitaminosi D e patologie renali. Il fosforo può essere l'unico parametro aumentato nella insufficienza renale.
Ipofosfatemia si può riscontrare in caso di anoressia, inanizione o altri squilibri di natura nutrizionale. Un rapporto Ca - P minore di 1:1 è indicatore di un problema renale.
Elettroliti
Na La quantità di sodio in un rettile sano è variabile con la specie e va da 120 a 170 mg/ l .
Ipernatriemia sarà presente in caso di disidratazione (inadeguata assunzione o eccessiva perdita).
Iponatriemia sarà riscontrabile in corso di perdite gastro enteriche (diarrea).
K Varia generalmente da 1,5-2 a 7 mmol/l. L' ipokaliemia nei rettili si riscontra per inadeguato apporto o eccessiva perdita di questo ione (diarrea). Nei mammiferi si trova iperkaliemia per eccessiva assunzione di potassio, diminuita secrezione o spostamento dal comparto dei fluidi intracellulari a quelli extracellulari (es. grave acidosi).
Cl Lo ione cloruro varia in un range di 85- 120 mmol/l.
L'ipercloremia si associa a disidratazione e anche ad insufficienza renale.
Test aggiuntivi
Amilasi Viene prodotta in altre sedi oltre che nel pancreas, ma potrbbe essere utile nella diagnosi di pancreatiti. Non ho dati di riferimento sulle tartarughe.
Acidi biliari Sono stati poco studiati e sono attualmente indicatori di scarso valore diagnostico ma nuove ricerche potrebbero dimostrare la loro utilità.
LDH L'enzima lattato deidrogenasi ha un'ampia distribuzione nei tessuti e un suo aumento sierico suggerisce danno tissutale. In alcune specie un aumento oltre 600-1000 Ui/l è considerato significativo, ma, in generale, è un indicatore di scarsa importanza. Un suo aumento assieme a AST, con CK nella norma è indice di danno epatico.
Parametri comunemente poco utilizzati
ALT L'aumento dell' alanina aminotransferasi (ALT=GPT) non è specifica e non è un indicatore affidabile di danno epatico o muscolare. ALT non è di solito parte della biochimica di routine nelle tartarughe. Solitamente < 20 UI/L.
AP La fosfatasi alcalina è ampiamente distribuita nei tessuti e l'interpretazione di un suo aumento a livello sierico è difficile, a causa delle differenze di età, specie e a causa di una mancanza di informazioni. Valori medi di riferimento 50-120 Ui/l
Bilirubina totale Val. rif. 0.2-1.0 mg/dl Può non essere rilevata o essere a concentrazioni molto basse, perciò è un parametro di scarso valore nei rettili. La biliverdina è il pigmento biliare delle tartarughe. Una elevata presenza di biliverdina nel sangue indica grave danno epatico.
BUN Dato che i rettili sono primariamente uricotelici, l'azoto ureico ematico è basso. E' escreto per filtrazione glomerulare. Nei rettili, generalmente, è considerato un indicatore di scarso valore per le affezioni urinarie. Un aumento può aversi in gravi patologie renali, nell’azotemia prerenale, in diete ad alto contenuto di urea.
Profili biochimici
Mini profilo: Ca, P, acido urico o BUN, AST, PT, Albumina* e globuline*.
Profilo esteso: CA, P, Acido urico, BUN, AST, ALT, GGT, Acidi biliari, Colesterolo, Trigliceridi, CPK, LDH, glucosio, PT, Albumina*, Globuline*, Na, Cl, K.
*con elettroforesi meglio
Un esame emocromo citometrico di un rettile dovrebbe costare di più perché ben eseguito dovrebbe comprendere sempre esmae dello striscio e possibilmente anche le conte totali dei rossi e dei bianchi al microscopio, questo richiede, se si effettuano le conte complete circa 45 minuti di lavoro. Per un emocromo più 5 parametri del biochimico e elettroforesi è ragionevole spendere 40-50 euro, per emocromo più 12 parametri ed elettroforesi almeno 55-65 euro.
Interpretazione del profilo emato-biochimico nelle tartarughe
Le valutazioni ematologiche e emato- chimiche sono frequentemente utilizzate per verificare le condizioni di salute nei rettili. Tuttavia, come abbiamo spiegato, moltissimi fattori influenzano i valori che possiamo rilevare. Uno di questi è la temperatura dell'animale al momento del prelievo, e forse anche altri parametri fisiologici, come l' aumento del respiro e del battito cardiaco, per la paura.
Purtroppo, i valori di riferimento normali pubblicati sono scarsi e, spesso, carenti di informazioni sulle variabili ambientali e fisiologiche proprie dell'animale al momento del prelievo, manca inoltre una dettagliata spiegazione delle modalità dello stesso, come pure la dascrizione dell'utilizzo e della conservazione del campione. Per queste ragioni, cioè per una generale carenza di studi sperimentali riguardanti l'ematologia e la biochimica nonchè di valori di riferimento attendibili, l'interpretazione degli esami può essere problematica.
In molti casi la scarsa quantità di sangue prelevato impone al clinico una scelta ben precisa su quali parametri sia più utile testare. In generale nei sauri le informazioni che valutano fegato, rene, glucosio, proteine, calcio, fosforo e l' emogramma sono le più importanti.
Le anemie si classificano in emorragiche, emolitiche o da depressione midollare. La risposta rigenerativa include policromasia da moderata a marcata, anisocitosi, poichilocitosi, presenza di eritrociti immaturi e basofilia con punteggiature. Risposte marcatamente rigenerative denotano la presenza di eritrociti binucleati, forma anomala del nucleo e attività mitotica.
Le anemie emolitiche e post emorragiche di solito dimostrano un risposta rigenerativa che dipende dalla durata dell'anemia. Le anemie da perdita ematica sono spesso causate da traumi, lesioni ulcerate, parassiti ematofagi. L'anemia emolitica è frequentemente associata con tossiemia, setticemia, parassitemia. L'anemia da depressione midollare risulta da infiammazioni croniche, malattie epatiche o renali, intossicazioni e mostra poca o nulla risposta rigenerativa.
Eritrociti ipocromatici sono associati a carenza di ferro nella dieta o infiammazione cronica.
Un PCV >50% nelle tartarughe marine, del 40% nelle terrestri e del 30% nelle acquatiche di solito è indice di disidratazione; comunque è anche possibile la policitemia vera.
Per quanto riguarda l’utilizzo dei parametri biochimici ricordiamo che l'acido urico è spesso utilizzato per investigare sulla presenza di patologia renale. Tuttavia non è né un parametro sensibile né specifico di malattia renale nei rettili. I normali valori plasmatici di acido urico sono inferiori a 10 mg/ dl . L' iperuricemia può essere causata da gotta, recente ingestione di una dieta molto ricca di proteine o grave malattia renale (con perdita di funzionalità renale superiore al 75%).
I normali valori dell' azoto ureico sono tipicamente minori di 90 mg/dl, ma alcune tartarughe marine possono avere valori più alti, in tartarughe terrestri fortemente disidratate al risveglio dal letargo valori superiori o vicini a 200 mg/dl depongono per una prognosi infausta.
Siccome pochi studi sono stati fatti per valutare le malattie epatiche dei rettili, gli stessi enzimi plasmatici e test biochimici utilizzati nei mammiferi, sono loro applicati. L'AST ha una elevata attività nel fegato, pur non essendo specifica per le malattie epatiche, un aumento dell'attività al di sopra di 250 UI/L può essere associato con malattia epatocellulare e muscolare ma anche con malattie generali come setticemia e tossiemia. Una attività della AST sopra 275 UI/L si ha con traumi, infezioni sistemiche, iniezioni intramuscolari e esercizio (ad esempio durante la manipolazione dell'animale). Aumenti nell'attività della lattato deidrogenasi sopra 1000 UI/L si ha con emolisi, insulti al fegato, ai muscoli scheletrici o al muscolo cardiaco.
Per la scarsità di studi specifici non sappiamo molto sulla ALP in queste specie, comunque un aumento dell'attività (valore normale inferiore a 100U/l ) potrebbe riflettere attività osteoblastica e non malattia epatica.
Aumenti della biliverdinemia potrebbero indicare malattia epatica ma molti laboratori non testano per la biliverdina. Un plasma verdastro suggerisce iperbiliverdinemia e grave malattia epatica. Il valore delle PT(metodo del biureto) va di solito da 3 a 7 g/dl. Femmine sane presentano iperproteinemia (soprattutto iperglobulinemia) durante la follicologenesi attiva e la concentrazione delle proteine ritorna nella norma dopo l'ovulazione.
Aumenti patologici delle proteine si hanno nella disidratazione e l’iperglobulinemia è associata a infiammazione cronica.
La concentrazione normale di glucosio va dai 60 ai100 mg/dl, ma è soggetta a marcati cambiamenti fisiologici. In generale l'ipoglicemia si associa con inedia, malnutrizione, gravi malattie epatiche e, più comunemente setticemia. L'iperglicemia solitamente si riscontra in seguito a un eccesso di somministrazione di glicocorticoidi o, di origine iatrogena, per eccessiva somministrazione di glucosio.
La concentrazione normale di calcio nella maggioranza dei rettili va da 8 a 11 mg/dl. L'ipercalcemia (aumento da due a quattro volte il valore normale) di solito si riscontra nelle femmine in follicologenesi attiva, la concentrazione in esse torna normale dopo la deposizione delle uova. Ipocalcemia si riscontra in stati di alcalosi, ipoalbuminemia, eccesso di fosforo alimentare, iperparatiroidismo secondario nutrizionale, mancanza di adeguata esposizione alla luce ultravioletta B. Concentrazioni plasmatiche di Ca maggiori di 20 mg/dl possono capitare con una somministrazione eccessiva con la dieta o con somministrazione parenterale di calcio e vitamina D3.
La maggioranza delle tartarughe ha valori di fosforo da 1 a 5 mg/dl. Ipofosfatemia si può riscontrare nell' inedia e nella mancanza di fosforo nella dieta. Iperfosfatemia negli eccessi dietetici di fosforo, ipervitaminosi D3 e malattie renali.
Valori normali di riferimento
Riporto i valori di riferimento normali di Testudo hermanni e un esempio di tracciato elettroforetico nella norma delle proteine plasmatiche della stessa specie.
Valori ematologici normali di Testudo hermanni
PCV 25-35 %
RBC 0.36-0.80 x 106/l
HCT 19-45%
Hb 11.3 + 3.3
WBC 2.0-6.0 x 103//l
Linfociti 20-60%
Eterofili 10-20%
Eosinofili 0,2 –1 ? %
Basofili 0.1-10 %
Monociti 0-3 %
Valori ematochimici normali di Testudo hermanni
Glucosio 35-100 mg/dl
BUN 30-80 mg/dl
Acido urico 2-5 ? mg/dl
Na 130-160 meq/l
K 3.2-7.8 meq/l
Cl 85-108 meq/l
P 2.1-5.9 mg/dl
Ca 7.7-14.0 mg/dl
AST 42-150 Ui/l
AP 50-120 g/dl
PT 2.9-6.8 g/dl
Albumine 0.8-2,3 g/dl
Globuline 1-4.8 g/dl
LDH 135-700 Ui/l
CK 1400-1700 Ui/l
Colesterolo 60-150 mg/dl
Bilirubina tot. 0.2-1 mg/dl
Questi dati sono quelli a cui, per esperienza, faccio riferimento nelle pratica. Non devono essere considerati, per l’esiguo numero e la eterogeneità dei campioni, un punto di arrivo, un riferimento certo. Se i valori si discostano molto, tuttavia, preoccupato, cerco di indagare ulteriormente. Man mano che si effettuano sempre nuovi esami i dubbi si chiariscono, sarebbe utile uno studio sistematico italiano che indaghi i valori di riferimento su questa specie cosi comune nella pratica ambulatoriale in Italia.
Tracciato :
Albumine 41%
Globuline 30%
Alfa 1 6,5%
Alfa 2 23,5 %
Beta 19,8%
Gamma 9.2 %
Tratto da www.tortoisetrust.org
Su autorizzazione dell'autore Dr. A. C . Highfield per il Tarta Club Italia
Traduzione di Filippo Stefano Dell'Aera
Quanto segue è un breve riepilogo dei maggiori risultati ottenuti nel nostro lavoro per stabilire i precisi meccanismi fisici e biologici coinvolti nella "Sindrome della Crescita Piramidale". Questo ha costituito una parte della ricerca molto complicata nonché impegnativa. Abbiamo condotto questo studio in maniera continuativa dal 1990 circa, ma dal 2004 abbiamo intensificato i nostri sforzi per trovare qualche risposta. Nel corso del progetto abbiamo condotto ampi lavori sul campo, usato tecniche di diagnostica per immagini, e condotto molteplici esami di laboratorio post-mortem sia in animali sani che in animali affetti. Ci tengo a sottolineare che in questo lavoro nessun esemplare è stato mai ucciso o ferito. Ci siamo serviti di esemplari morti per cause naturali piuttosto che per altre cause. Gli obiettivi principali sono stati guardare alle teorie concorrenti, per distinguere quelle che si basano su basi effettive da quelle basate su dati falsi e incompleti, e stabilire in conclusione gli esatti meccanismi coinvolti nel processo di "piramidalizzazione". Un ulteriore obiettivo è stato iniziare a sviluppare delle pratiche linee guida per mezzo delle quali si potrebbe attenuare o prevenire il problema.
Questo articolo in particolare è soltanto un estratto della completa ed espletiva analisi che abbiamo preparato (1) e che sarà pubblicata a breve. Questa contiene un gran numero di dati e riferenti completi. Lo scopo di questo articolo è quello di esporre brevemente le basi della ricerca in una forma facilmente accessibile e comprensibile per l'allevatore.
Due sono le teorie chiave che hanno dominato nella discussione in oggetto:
La crescita anormale è causata da dieta errata, specialmente ricca in proteine, energetica e povera di calcio.
La crescita anormale è causata da insufficiente umidità o disidratazione generale o entrambe.
Come vedremo, tutti questi fattori, giocano un ruolo cruciale.
Uno dei più grandi problemi, in quella che potremmo chiamare la "teoria dell'umidità", è stata la carenza di ogni plausibile spiegazione dal punto di vista biologico. Alcune proposte sono state avanzate, ma ci hanno richiesto di allontanarci dalla scientificamente provata fisiologia e aggrapparci ai nebulosi concetti di "disidratazione cellulare" e "collasso dei tessuti". Altre teorie simili, allo stesso modo, sono state provate essere impraticabili. Tuttavia, molti sono stati gli allevatori che hanno avuto modo di notare alcuni degli effetti legati all'umidità e in generale ai livelli di idratazione e calore. Uno dei nostri principali obiettivi della ricerca è stato cercare di capire cosa realmente accade.
La prima cosa da puntualizzare è che i cheloni sono costituiti dagli stessi tessuti di molti altri animali. Lo scheletro, sebbene differente nella forma, è esattamente identico a quello di altri animali. Alla stessa maniera, gli scuti esterni, sono composti principalmente da beta-cheratina unitamente ad alcune cellule di alpha-cheratina. Questi tessuti sono stati studiati approfonditamente. Ciò che è unico nelle testuggini (e nelle tartarughe) è il modo in cui lo scheletro racchiude l'organismo e l'ampio rivestimento di strati cheratinici. Conseguentemente, qualsiasi interruzione di ognuno di questi strati avrà una profonda conseguenza.
Se esaminiamo lo scheletro, si può notare come sia vulnerabile, alle malattie da deficienza, esattamente come quello di un cane, un cavallo o un essere umano. Non c'è nulla di singolare o di unico nel modo in cui lo scheletro di una tartaruga si sviluppa e viene sostenuto. Si tratta di un processo normale e del tutto coerente con le affermate conoscenze biologiche e nutrizionali.
Per svilupparsi normalmente, lo scheletro necessita di un approvvigionamento (trasportato dal sangue, e ottenuto dal cibo) di oligoelementi essenziali all'osso-costruzione, principalmente calcio e fosforo. Questi devono essere assunti nelle corrette quantità e proporzioni. Inoltre, al fine di trasportare questi elementi, il metabolismo della vitamina-D3 dell'animale deve funzionare correttamente. Qualsiasi inadempienza, sia della fornitura di "materie prime" o del meccanismo di trasporto(D3), si tradurrà in formazione ossea che manca di densità normale e di forza. Nei rettili, questa condizione è ampiamente nota dagli allevatori come "MBD" o Metabolic Bone Disease.
Un'ossatura che non ha un'adeguata densità è fortemente soggetta a stress fisici e deformità derivata da forze fisiche contrastanti. Questo è forse meglio conosciuto negli esseri umani come condizione chiamata "rachitismo", dove le ossa lunghe delle gambe sono incurvate e piegate da una combinazione di effetti di gravità (peso) e la spinta dei muscoli. Se esaminiamo una struttura ossea affetta da rachitismo, troviamo una condizione molto simile a quella di testuggini con MBD e con la cosiddetta "Piramidalizzazione". Invece di essere dure, sottili e compatte, le ossa appaiono fibrose, spesse e porose. Tali ossa sono estremamente facili da deformare in condizioni di stress costante. In una tartaruga, una causa di stress è quella dai muscoli (molto potenti) delle zampe. Non è inconsueto osservare, in tartarughe che soffrono di MBD o Piramidalizzazione, anche uno schiacciamento della regione pelvica. La causa di questa deformità è la tensione muscolare. Tali animali possono anche presentare un "rigonfiamento" nella parte superiore del corpo causata dall'espansione e contrazione dei polmoni e dei muscoli coinvolti in questo processo. Le ossa sono vulnerabili a questo tipo di effetti durante la fase di crescita, in quanto è nella sua forma più plastica. Più rapida è la crescita, maggiore è il rischio che queste carenze, parziali o assolute, si verifichino. Questa è una relazione ben nota e riguarda tutti gli animali e gli esseri umani. Può essere estremamente difficile ottenere una buona densità ossea in situazioni di cattività basata su dieta artificiale. Gli erbivori sono particolarmente sensibili. A règimi di crescita notevolmente accelerati, raggiungere una densità ossea normale è estremamente difficile. Infatti, a tutt' oggi, non l'ho riscontrato. Il 100% degli animali che abbiamo esaminato, che sono stati allevati su regimi di crescita elevati, presentano MBD in diverse misure, anche se non appaiono evidenti sintomi esterni.
Questo è relativamente facile da dimostrare mediante la dissezione di esemplari deceduti o attraverso la comparazione di radiografie di animali selvatici con animali cresciuti in cattività.
Qualsiasi allevatore di testuggini sa, che i neonati, appena usciti dall'uovo, hanno ossa molto morbide e flessibili. Si induriscono gradualmente nei giorni successivi, nei mesi e negli anni. Tuttavia, non sono mai completamente rigide. Continuano a essere sensibili a condizioni di stress applicate per periodi prolungati. Anche tensioni relativamente brevi, se applicate in maniera continuativa, possono avere effetti sostanziali.
Una particolarità importante in cui le tartarughe e le testuggini differiscono dagli altri animali è, come abbiamo notato, il fatto che sono in gran parte ricoperti dalla loro struttura scheletrica. Il corpo è ricoperto dall'interno da strati scudi cheratinici o "scuti". La cheratina è un materiale interessante con molte proprietà insolite. E' uno dei materiali biologici più forti e resistenti noto alla scienza. Inoltre, è igroscopico, e perde e assorbe umidità in uno sforzo per raggiungere l'equilibrio con l'ambiente. Questo effetto è noto a tutti: dopo un bagno o una doccia calda, le nostre unghia, sono morbide e flessibili. Dopo un'escursione nel deserto, sono dure e fragili.
Sia l'Alpha che la Beta Cheratina sono state studiate approfonditamente, e sappiamo bene come si comportano a differenti livelli di contenuto di umidità e in diversi livelli di umidità ambientale. Una caratteristica molto importante è il modo in cui guadagnano e perdono rigidità come risposta all'umidità esterna. Questi cambiamenti sono drammatici e possono essere misurati e quantificati. A livelli di umidità superiore all'80% gli scuti cheratinici posseggono solo una frazione della resistenza e della durabilità che hanno al livelli del 50% di umidità relativa. Tali variazioni possono essere misurate e quantificate usando criteri come quello del "Modulo di Young". A livelli sostenuti del 90-100% sono essenzialmente saturi per effetto dell'accumulo delle molecole di acqua, diventando estremamente soffici e malleabili, esercitando quasi nessuno stress sullo scheletro sottostante. Agli estremi opposti di bassi livelli di umidità, al di sotto del 25%, perdono molecole di acqua e diventano molto rigide e resistenti. A questi livelli si esercita una forza fisica notevole sull'osso sottostante. Sappiamo, dalle prove precedenti che abbiamo condotto, che molte di queste condizioni di estrema secchezza si verificano a livelli inferiori al 12%. Studi più recenti hanno anche dimostrato che direttamente sotto le lampade(che producono calore) per il basking, condizioni molto localizzate di livelli di umidità inferiori al 20% possono verificarsi immediatamente sopra la superficie degli scuti del carapace. Questo produce un profondo effetto di essiccazione, aumentando la rigidezza cheratinica, eliminando le molecole di acqua e al tempo stesso aumentando le forze di stress sullo scheletro osseo sottostante.
Ciò è di fondamentale importanza per affrontare uno dei più comuni errori da disinformazione. E' stato affermato che le giovani testuggini (per esempio, Testudo greca) trascorrono, allo stato selvatico, gran parte del tempo in microclimi umidi dove le condizioni ambientali si attestano sul 90-100% di umidità relativa. Questo è completamente falso. Una parte del nostro studio è consistita nella rilevazione di migliaia di misurazioni negli habitat naturali per stabilire le effettive condizioni sperimentate. La nostra metodologia ha comportato l'utilizzo di mini registratori automatici capaci di registrare temperature e umidità con un elevato livello di precisione. Abbiamo preso le registrazioni nel corso di un ciclo completo di 12 mesi in numerosi habitat chiave. Abbiamo anche attaccato dei loggers (misuratori) ai carapaci delle testuggini e recuperato in un secondo momento per raccogliere i dati. In totale abbiamo raccolto 18.000 dati specificando solo l'umidità. Quello che abbiamo scoperto – in breve - è che le tartarughe giovani non trascorrono la loro vita a livelli di umidità sostanzialmente differenti rispetto agli adulti. Mentre è perfettamente vero che le tartarughe fanno largo uso di microclimi selezionati, i livelli registrati in questi erano nel range di 34-60% di umidità relativa. Le uniche occasioni in cui l'umidità supera il 90% sono state registrate durante piogge e temporali. Negli ambienti semi-aridi di Almeria e Murcia (che sono molto simili a quelli del nord Africa), le precipitazioni sono sporadiche anche i periodi di picco di attività delle testuggini. In totale, abbiamo riscontrato che le tartarughe sono esposte a livelli di umidità che potrebbe definire "alto" (80%>)solo per il 2% del tempo totale registrato. Durante la ricerca di cibo, l'umidità può anche essere inferiore al 20%, ma a questo segue il ritiro delle testuggini in microclimi vegetativi dove l' umidità si attesta nella media del 45-50%. Le misurazioni sono state prese da tartarughe in tutte le fasi di attività comprese quelle interrate nei rifugi. Questi dati sono in linea con le misurazioni prese precedentemente (anche se non dettagliatamente) in Marocco, Turchia e Tunisia. Altri ricercatori hanno anche condotto estese rilevazioni di dati sui livelli di umidità nei cunicoli utilizzati dalla "Tartaruga del Deserto", in Nord-America. Questi dati non hanno rivelato la benché minima prova della disponibilità di nascondigli "umidi" capaci di offrire un'umidità relativa del 90-100%. Infatti, i livelli nelle regioni aride dell'Arizona occupata da Gopherus agassizii, sono addirittura inferiori a quelli che abbiamo registrato in Almeria e Murcia. Se davvero (come si sostiene) il motivo principale per cui le tartarughe selvatiche in regioni aride non soffrono di "Piramidalizzazione" perché utilizzano molto rifugi e macchie di vegetazione con livelli del 90-100% di umidità relativa, allora tutte le nostre locali Testudo graeca graeca in Spagna dovrebbero essere tutte deformi in quanto non esistono, qui, simili condizioni. Si tratta di un habitat semi-arido con livelli di precipitazioni tra i più bassi in Europa, con una precipitazione media di 226 mm all'anno ( il Regno Unito ne riceve quasi 600 mm).
Vorrei esortare tutti coloro che allevano testuggini ad utilizzare estrema cautela nell'affidarsi a dati sulle medie dell'umidità relativa negli habitat delle tartarughe estrapolati dai siti web climatici. Potrebbero dare un'impressione molto fuorviante. Gli unici dati significativi e affidabili sono quelli rilevati al livello del suolo occupato dalle testuggini (non a molti metri da terra) e nei precisi microclimi utilizzati. Ci sono enormi differenze di temperatura e umidità a varie altitudini, e anche dall'entroterra alle zone costiere le condizioni possono variare in maniera sostanziale. Le tartarughe tendono ad occupare biotipi molto circoscritti e precisi. Questo è da prendere in considerazione se si considerano i dati climatici. Dati basati sulle medie di tutti gli habitat all'interno di una regione o un paese rischiano di essere completamente fuorvianti e inappropriati.
C'è un altro aspetto importante della cheratina che influisce sullo stress fisico dello scheletro e le modalità con cui prolifera nei cheloni. Ci sono due modi principali. Le tartarughe soltanto hanno una modalità di proliferazione delle cellule in cui il nuovo materiale cellulare si deposita sui bordi degli scuti, causando il ben noto effetto di "anello d'albero".
La maggior parte delle tartarughe acquatiche (non tutte) hanno una diversa modalità, in cui la crescita avviene soltanto sul piano orizzontale, con le nuove cellule che crescono anche sotto il vecchio materiale. Molte specie di tartarughe acquatiche non presentano " gli anelli di accrescimento) proprio per questo motivo. Infine, gli scuti più vecchi cadono (di solito interamente) per essere sostituiti da quelli nuovi e più grandi. Nelle tartarughe terrestri, la perdita degli scuti non avviene. La cheratina si accresce in maniera verticale, continuamente.
Questo sistema di accrescimento delle cellule estensivo e verticale crea sullo scheletro una forza verso l'alto. Dove c'è presenza di un qualsiasi grado di MBD, l'effetto sarà sostanziale. L'osso tenderà a conformarsi al modello di crescita degli scuti. Questo è il principale meccanismo coinvolto nella sindrome della crescita "piramidale" e il motivo principale per cui ciò non avviene nelle tartarughe acquatiche che lasciano cadere interamente gli scuti. Questi effetti sono ulteriormente amplificati quando si verificano alcune condizioni:
Quando la cheratina è eccessivamente rigida a causa della bassa percentuale di umidità.
Quando la cheratina è innaturalmente addensata.
La cheratina ispessita, per maggiore proliferazione, è una caratteristica comune in ogni grave forma di piramidalizzazione osservata fino ad oggi. Spesso può essere diagnosticata confrontando il colore della cheratina con un esemplare sano selvatico. Nei casi di maggiore proliferazione, di solito è molto più spessa e molto più scura. Questi animali tendono ad avere le stesse modalità di allevamento. Nella maggior parte dei casi, sono cresciuti in terrari, sotto lampade di calore, spesso privi di un'adeguata assunzione di liquidi. Abbiamo già notato come nei terrari, i livelli di umidità ambientale restano estremamente bassi, anche più dei valori registrati negli habitat più aridi. Gli effetti delle lampade riscaldanti su una testuggine non sono stati adeguatamente analizzati, ma certamente hanno una notevole influenza nella disidratazione. Tartarughe tenute in tali condizioni, inoltre, tendono ad avere altri problemi di saluti legati alla disidratazione: calcoli alla vescica, gotta e insufficienza renale. Tutte queste conseguenze sono associate a un'idratazione non ottimale.
Un effetto molto interessante è stato dimostrato in prove di laboratorio con i cheloni.
Quando sono soggetti a lunghi periodi di disidratazione, la pelle si ispessisce nel tentativo di ridurre l'evaporazione cutanea. Questo colpisce la pelle degli arti e in particolare la proliferazione di beta-cheratina che comprende gli scuti. Quando l'animale è sottoposto a disidratazione, la crescita degli scuti si accelera, diventando sempre più spessi. La crescita delle ossa non accelera, però, allo stesso ritmo, producendo un differenziale importante. Questa cheratina, secca e ispessita, comincia ad esercitare una forza enorme sullo scheletro (che di solito in questi animali ha una densità molto scarsa). Questo è un altro motivo molto importante per cui si tende a vedere animali particolarmente e gravemente deformati quando sono stati allevati in condizioni di umidità non ottimali. Dove la crescita accelerata ( e tipicamente MBD) incontra pericolosamente bassi livelli di umidità, si creano le condizioni per la produzione di grossolane distorsioni del carapace a causa dello stressante conflitto fisico della tensione muscolare e la tensione derivante dalla eccessiva proliferazione delle placche cheratiniche.
Un altro fattore importante è che nelle testuggini selvatiche l'eccesso di cheratina in eccesso è continuamente sottoposto ad abrasione e usura nel corso della loro esistenza. Diversamente dalle tartarughe acquatiche, non si liberano del vecchio stato cheratinico. Sono abrase dalla vegetazione, dall'impatto con le rocce, da particelle di sabbia trasportate dal vento, dai costanti interramenti. Anche quando sono il letargo o in estivazione, non sono mai immobili. Si muovono, circondate da particelle altamente abrasive nel terreno. Inoltre, i micro-organismi nel terreno consumano a poco a poco la superficie esterna degli scuti. In questo modo, sono soggetti a continuo logoramento (e conseguente assottigliamento). Nella stragrande maggioranza delle situazioni in cattività ( e soprattutto nell'allevamento indoor) questo fattore è del tutto trascurato da parte degli allevatori. Ne risulta che la cheratina continua ad accumularsi anche in situazioni in cui l'umidità non è un problema. Dove è presente anche bassa umidità, l'effetto è accentuato.
Più spessa (e più secca) è la cheratina, peggiore è la piramidalizzazione. Questo non è solo conseguenza dello strato di cheratina in sé, ma anche del suo potente effetto fisico deformante sullo scheletro sottostante.
Molti allevatori hanno mitigato questi sintomi evidenti, sostanzialmente mettendo l'animale in "ammollo" ad alta umidità ambientale (di media superiore al 90%) ed ad elevate temperature per lunghi periodi. Il reale effetto di questo è semplicemente quello di ammorbidire la cheratina e ridurre le sollecitazioni. Questa tecnica non da alcun effetto nel rimediare ad eventuali MBD sottostanti ( la rende solo molto meno evidente) e in aggiunta si espone l'animale a un alto rischio di infezioni fungine o batteriche. La cheratina morbida e umida è altamente vulnerabile a tali organismi. Manca l'integrità strutturale e si danneggia facilmente. Anche se la piramidalizzazione potrebbe essere ridotta o eliminata mediante queste misure estreme, non è una soluzione soddisfacente. Si tratta di una soluzione artificiale a un problema del tutto artificiale.
Se il metodo di allevamento proposto ci impone di ricorrere a condizioni del tutto innaturali (esposizione prolungata maggiore al 90% di umidità relativa per tartarughe degli habitat aridi) per risolvere un problema creato da altre condizioni del tutto innaturali (umidità sub-ottimale, disidratazione, e tassi di crescita in eccesso con conseguente scarsa densità ossea), farebbe pensare che qualcosa è seriamente errato. E' di gran lunga preferibile affrontare le questioni fondamentali da cui discendono tali problemi piuttosto che concentrarsi soltanto sul tentativo di sopprimere i sintomi più evidenti, che è l'unico risultato di tali metodi.
In questo caso, le questioni che devono essere affrontate sono:
Ottenere una crescita in cui la densità ossea risulti paragonabile a quella di esemplari selvatici sani. Questo dovrebbe essere testato con radiografie di routine. Con l'ottenimento di una sana densità ossea, viene raggiunta anche la massima resistenza alla conseguente deformità.
Assicurare che gli ambienti in cattività forniscano i giusti parametri sia di temperatura che di umidità. I parametri sicuri e appropriati dovrebbero essere definiti con riferimento ai reali dati registrati negli habitat naturali della specie in questione e non con supposizioni o con riferimenti alle medie generali climatiche inadeguate e spesso fuorvianti.
Riguardare le strutture di cattività in modo da sviluppare metodi che consentano una naturale usura della cheratina che forma il carapace, evitandone così un continuo accumulo.
E' un'impresa difficile riuscire a soddisfare queste esigenze. E' chiaro che la progettazione di habitat in cattività deve essere migliorata. Le lampade di calore effettivamente sono di notevole aiuto, però da questo studio è anche chiaro che possono avere dei seri effetti negativi. Ottenere sicuri livelli di umidità ambientale non è affatto facile per chi alleva testuggini al di fuori dei loro habitat naturali, affidandosi a strutture artificiali. Ottenere una buona densità ossea e tassi di crescita sostenibile sana è molto difficile in situazioni di cattività. Le testuggini allo stato selvatico hanno cicli di attività e di alimentazione, con lunghi periodi di inattività e di digiuno. La natura stessa della loro assunzione varia anche stagionalmente, soprattutto in termini di umidità e di contenuto di fibre. Le soluzioni pratiche a questi problemi non sono oltre il limite del possibile e, tuttavia, rappresenteranno un importante passo in avanti nell'allevamento dei cheloni. Questo è particolarmente importante nell'allevamento di conservazione delle specie o per la moltiplicazione di quelle altamente minacciate. E' estremamente importante che ad animali compromessi siano evitati tali situazioni.
RINGRAZIAMENTI
Vorrei esprimere i miei ringraziamenti a Ed Pirog per i molti dibattiti affascinanti, le discussioni e anche gli argomenti su questo tema nel corso di quasi due decenni. E' vero anche che Ed è stato persistente quanto lo sono stato io nel cercare di risolvere il problema. Ed aveva fatto alcune importanti osservazioni su questo tema, e aveva anche identificato che lo strato di cheratina, il calore, l'umidità e l'idratazione svolgono un ruolo importante in un problema che ha afflitto gli allevatori sin da quando la riproduzione è diventata normale routine. E' stato, in parte, dovuto alle osservazioni di Ed che ho deciso di esaminare il ruolo e la risposta della cheratina alle diverse condizioni ambientali il modo più dettagliato possibile, e sono queste ricerche che hanno permesso di ottenere i risultati qui presentati per la prima volta.
(1) Umidità, Crescita, Stress Fisici e Sviluppo di Anomalie del Carapace (Piramidalizzazione) nelle Testuggini: una Rassegna delle Ricerche in corso (in preparazione).
Autori : S. Giannetto & E. Brianti & G. Poglayen & C. Sorgi & G. Capelli & M. G. Pennisi & G. Coci
Articolo tradotto da Maddalena Marconi, con l’autorizzazione della Dott.ssa M. G. Pennisi.
S. Giannetto, E. Brianti, C. Sorgi
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria,
Facoltà di Medicina Veterinaria,
Università degli Studi di Messina,
G. Capelli
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie,
M. G. Pennisi, G. Coci
Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie,
Facoltà di Medicina Veterinaria,
Università degli Studi di Messina,
G. Poglayen
Dipartimento di Sanità Pubblica e Patologia Animale,
Università degli Studi di Bologna
Sommario: 36 tartarughe (Testudo hermanni) infette da oxyurids acquisito in natura sono state utilizzate per valutare l’efficacia antielmintica dell’oxfendazole (Dolthene ; Merial) e fenbendazole (Panacur; Hoechst Roussel Vet). Gli animali sono stati assegnati casualmente a tre gruppi ( A, B, e C) basandosi su sesso e peso. Gli animali nel gruppo A (7 maschi e 6 femmine) sono stati sottoposti ad un trattamento per via orale con una dose di 66 mg/kg di oxfendazole, gli animali del gruppo B sono stati sottoposti ad un trattamento orale di fenbendazole da una dose di 100 mg/kg e gli animali del gruppo C (tre maschi e tre femmine) non sono stati sottoposti ad alcun trattamento e sono serviti in funzione di controllo. Tutti gli animali sono stati sistemati ciascuno in scatole di plexiglass con condizioni controllate di temperatura, umidità e luce a partire dal 7° giorno prima del trattamento continuando per tutta la durata dell’esperimento.
Le feci di ciascuna tartaruga sono state esaminate quotidianamente con la tecnica McMaster e l’efficacia delle sostanze è stata valutata con la prova della riduzione del numero delle uova fecali (FECR).Entrambe le sostanze hanno dimostrato il 100% di FECR. Tuttavia, l’oxfendazole ha raggiunto questo livello 12 giorni dopo il trattamento, mentre, per ottenere lo stesso risultato stabile con il fenbendazole, sono stati necessari 31 giorni dopo il trattamento. Le due sostanze sono state ben tollerate da tutti gli animali e dopo il trattamento non è stata osservata alcuna reazione avversa.
Introduzione
Le tartarughe sono una new entry nel mondo degli animali domestici. Nonostante la recente relazione del CDC (2003) abbia scoraggiato la considerazione delle tartarughe come animali domestici, la presenza di questo “fossile vivente” ha favorito il cambio del suo ruolo nella società umana moderna da animale “ornamentale” da giardino ad animale domestico non convenzionale che vive dentro le nostre case. La poca conoscenza veterinaria sulle tartarughe e le specie fisiologiche di questi rettili diverse dai mammiferi crea difficoltà nel trattamento di molte malattie. Per esempio, la maggior parte degli attuali protocolli contro i vermi per tartarughe provenienti dalle esperienze delle medicine su cani e gatti dimostra tutte le difficoltà aspettate in questo semplice transfer di conoscenza senza un esame profondo.(Claussen e Fortsner 1981; Teare e Bush 1983; altri 1999) Lo scopo di questo studio è quello di valutare e paragonare l’efficacia antielmintica di due sostanze di uso comune nelle tartarughe, l’oxfendazole e fenbendazole (Holt e Lawrence 1982; Brogard 1987;Highfield 1990; Frye 2001 Gabrisch e Zwart 2001) utilizzando una prova di protocollo scientifica (Coles e al. 1992) appositamente adattata alle tartarughe.
Materiali e metodi
Indagine parassitologia preliminare
Al fine di acquisire una migliore conoscenza parassitologia sui parassiti delle tartarughe e di valutare l’esito della tecnica McMaster come strumento per la diagnosi dell’infezione di parassiti nelle tartarughe, è stata condotta un’indagine preliminare parassitologia su 24 carcasse di Testudo hermanni. Questi animali morti al centro di unità di riabilitazione Vita selvaggia di Catania sono stati necrosezionati secondo Cooper (1992) e l’intero tratto digestivo isolato ed esaminato per la presenza di parassiti con la tecnica del numero totale dei vermi (TWC) descritta come segue.
Lo stomaco e l’intestino suddivisi in piccoli pezzi sono stati aperti longitudinalmente. I pezzi sono stati poi immersi in un catino parzialmente coperto con acqua del rubinetto per 30 minuti , sbattuti e la mucosa strisciata tra due dita premute. Anche la superficie della mucosa è stata scalfita con un vetrino del microscopio. I materiali ottenuti in questa maniera sono stati lasciati sedimentare e poi lavati fino a quando il supernatante fosse chiaro. Usando un microscopio per dissezione (a x25 ingrandimenti) il precipitato è stato esaminato per la presenza di parassiti in piccole porzioni in dischetti rotondi di plastica. Qualsiasi parassita presente durante questa procedura è stato immagazzinato nel 70% di alcol e identificato secondo le chiavi di Petter (1961, 1962) e Johnson (1973). Materiale fecale presente nel colon e retto degli animali necrosezionati è stato raccolto ed esaminato per la presenza di uova di parassiti da una tecnica modificata McMaster utilizzando 1 g di feci e 14 ml di soluzione di nitrato di sodio di 1.30 di gravità specifica con una sospensione di 50 uova al grammo (epg) Euzeby 1981). Il risultato della tecnica McMaster è stato valutato paragonando i risultati di questa tecnica con quelli ottenuti dalla tecnica TWC.
Reclutamento degli animali
Dopo l’indagine parassitologia preliminare 36 tartarughe 19 maschi e 17 femmine provenienti dal dipartimento delle scienze veterinarie mediche di Messina (nove animali) e il centro di riabilitazione vita selvaggia di Catania (27 animali) sono stati reclutati per la prova terapica.
Tutti gli esemplari erano positivi alle uova di oxyurids grazie alla tecnica McMaster modificata. Per minimizzare l’errore sistematico dovuto alla fluttuazione nella perdita delle uova sono stati coinvolti nello studio soltanto animali con un continuo spargimento di uova di oxyurids (7 giorni). Le tartarughe reclutate sono state anche esaminate da un punto di vista clinico, per escludere altre malattie, pesate, identificate in base al sesso e con un numero sopra il carapace .
Locazione dei gruppi e prova del trattamento
Gli animali in base al sesso, ai pesi e EPG sono stati assegnati casualmente a tre gruppi: gruppo A composto da 13 tartarughe (sette maschi e 6 femmine); gruppo B 17 tartarughe (nove maschi e 8 femmine): ed il gruppo C sei tartarughe ( tre maschi e tre femmine) (tabella 1). Le tartarughe sono state sistemate in apposite scatole di plexiglass (70x50 cm) in una stanza dove la temperatura e l’umidità relativa sono state controllate artificialmente e stabilizzate rispettivamente a 28°-30° gradi e 70/ 80%. L’illuminazione della stanza è stata assicurata da un neon UVB con 12 ore di luce e 12 ore di notte. Ciascun animale è stato nutrito a volontà con frutta e verdure e acclimatato nella stanza 7 giorni prima dell’inizio dell’esperimento. Le scatole delle tartarughe sono state ripulite ogni giorno da feci e cibo. Nel giorno 0 gli animali del gruppo A sono stati trattati con oxfendazole (Dolthene; Merial) con la dose di 66 mg/kg, gli animali del gruppo B sono stati trattati con fenbendazole (Panacur, Hoechst Roussel Vet) con la dose di 100 mg/kg, mentre gli animali del gruppo C non subirono alcun trattamento e sono stati considerati da controllo. Le sostanze sono state somministrate oralmente tramite un tubicino nello stomaco della stessa lunghezza della distanza tra la bocca e metà del piastrone. Dal giorno 0 fino al 40 dopo il trattamento è stato monitorato il numero delle uova fecali nelle feci raccolte da ogni esemplare utilizzato nello studio usando la tecnica Mcmaster modificata e le uova sparse sono state espresse come EPG.
Efficacia antielmintica e analisi dei dati
L’efficacia antielmintica delle due sostanze è stata valutata come FECR utilizzando la formula proposta da Coles (1992) FECR = 100 1- (Xt / XC ) dove Xt e Xc sono rispettivamente la media aritmetica di EPG nei gruppi trattati (t) e di controllo (c). I valori del significato di EPG dei tre gruppi dai 7 giorni prima fino a 40 giorni dopo il trattamento sono stati paragonati da onera ANOVA, usando il test Tukey per il confronto saggio del paio. L’analisi statistica è stata mostrata usando il software SPSS 12.01 per Windows e p inferiore a 0.05 è stato usato per indicare il significato statistico.
Risultati
L’indagine parassitologia preliminare: tutte e 24 le tartarughe esaminate con la tecnica TWC avevano uno o più elminti intestinali con intensità differente. In totale sono stati identificati 8 specie di oxyurids: Tachygonetria conica, Tachygonetria dentata, Tachygonetria robusta, Tachygonetria macrolaimus, Mehdiella stylosa, Mehdiella uncinata, Thaparia thapari e Atractis dactyluris.
Eccetto per il A. dactyluris che è una specie vivipara, la tecnica Mcmaster modificata è stata sempre capace di eliminare l’infezione da oxyurids ma senza specificità tra le specie. Negli animali necrosezionati non è stato isolato alcun altro parassita.
Efficacia antielmintica
Le tartarughe dei tre gruppi hanno mostrato livelli similari di confini parassitari basati sui valori EPG tra il giorno 7 e il giorno 0 (Fig.1) Dopo il trattamento si è visto una diminuzione nell’EPG in entrambi i gruppi trattati tra gli 11 e 13 giorni dopo il trattamento. Questa riduzione è apparsa meno stabile nel gruppo trattato con fenbendazole (gruppo B), dove l’EPG dei tre gruppi nei 7 giorni prima del trattamento non era significativamente differente. Mentre dopo il 12 giorno di trattamento sono state registrate delle differenze statistiche significative tra il principale EPG degli animali trattati da quelli degli animali non trattati. L’emissione del principale EPG tra i due gruppi trattati non è mai stata significativa da un punto di vista statistico. Alti livelli di efficacia come indicata da FECR sono stati visti in entrambi i gruppi trattati (fig.2). Nel gruppo trattato con oxfendazole (gruppo A) il FECR raggiunse il 95% nel 12° giorno e non ha mostrato variazioni marcate fino alla fine dell’esperimento. (Fig.2). Nel gruppo trattato con fenbendazole (gruppo B) il FECR ha raggiunto il massimo con 95% dal 14 giorno dopo il trattamento fino al giorno 21, ma è stato variabile dal 22 al 31 giorno e alla fine è rimasto stabile (100%) dopo il 32 giorno fino al termine dell’esperimento (Fig. 2). Non sono state osservate reazioni avverse negli animali dopo i trattamenti e durante tutto il periodo dell’esperimento.
Discussione
I risultati di questa indagine preliminare parassitologia ci ha permesso di identificare 8 specie di oxyuridis nella Testudo hermanni. Non è stato riconosciuto alcun agente zoonotico. Tra le 8 specie identificate. Inoltre, 5 di queste ( T.dentata, T. robusta, T. macrolaimus. M. stylosa e Tharapia thapari) sono state scoperte per la prima volta in T. hermanni allevate in Italia (traversa et al. 2005) come riportato e discusso negli studi precedenti (Setter 1966; Capelli et al. 1998; Traversa et al. 2002) oxyuridis sono confermati essere i più diffusi nematodi nell’adulto di t. hermanni.
La tecnica modificata McMaster ha mostrato una buona performance come mezzo quantitativo coprologico.
Tuttavia l’alto stato patologico e mortalità riconosciuta nei parassiti (Rideout et al 1987) e l’incapacità nell’eliminare l’infezione atractids con la tecnica Mcmaster ha accentuato l’importanza di un esame parallelo per i parassiti grazie a tecniche qualitative (es. galleggiamento, Baermann ) e quantitative. La prova terapeutica effettuata ci ha consentito di valutare l’efficacia in termini di FECR di oxfendazole e fenbendazole contro l’oxyuridis delle tartarughe. Un 100% di FECR è stato osservato in entrambe le sostanze, ma l’oxfendazole si è dimostrato reagire più velocemente – raggiungendo valori più altri e più stabili dopo 12 giorni. Mentre non è accaduto questo per le tartarughe trattate con fenbendazole, che non hanno raggiunto questo livello di riduzione se non al 31 giorno di trattamento. Poiché entrambe le sostanze fanno parte della stessa famiglia (benzimidazole – methylcarbamates), il tempo più corto registrato per l’oxfendazole, per raggiungere l’effetto antielmintico, ha potuto riflettere la capacità delle tartarughe di metabolizzare più velocemente questa sostanza nella sua forma attiva. Comunque una conoscenza più approfondita della relazione tartarughe/parassiti e lo studio del benzimidazole farmacocinetici in questi animali potrebbe portare ad una interpretazione migliore della fluttuazione osservata nella produzione delle uova ed il lungo periodo necessario ad ottenere lo scopo terapeutico. Il lungo periodo necessario dopo il trattamento per ottenere una riduzione significativa nel numero delle uova ci ha portato a considerare la richiesta di un sconfinamento di almeno 14 giorni per le tartarughe trattate. Questo è importante, quando gli animali trattati devono essere introdotti in un recinto o in un cortile con altre tartarughe senza parassiti. La capacità dell’oxyurids di resistere al periodo del letargo probabilmente ad uno stadio di larva era già nota da prima (Dubinina 1949; Capelli 1998). Inoltre si è osservato un aumento dell’oxyuridis delle uova nelle feci dopo il letargo specialmente nei giovani esemplari. (Cappelli 1998). Queste considerazioni assieme alla richiesta di un metabolismo più attivo delle tartarughe per assicurare un migliore effetto delle sostanza ed eliminare il fenomeno della tossicità suggeriscono che la stagione calda è il periodo migliore per combattere i vermi nelle le tartarughe.
I nostri risultati non giustificano un secondo trattamento dopo 15 giorni come riportato da altri autori (Holt e Lawrence 1982; Brogard 1987; Page e Mautino 1991; Frye 1991; Klingenberg 1993; McArthur 1996; Gabrish e Zwart 2001). Un grazie al prof. Thomas Klei (scuola veterinaria dell’uiniversità della Louisiana) per la lettura critica del manoscritto ed a tutti i volontari dell’unita riabilitativa vita selvaggia di Catania . Gli autori dichiarano che gli esperimenti sono stati fatti secondo le leggi del paese, in cui sono stati eseguiti.
Referenze:
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Capelli G, Borsato E, Stancampiano L, Bozzolan G, Pietrobelli M
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Tratto da tortoisetrust.org
Su autorizzazione dell'autore Dr. Andy. C . Highfield per il Tarta Club Italia
Traduzione a cura della socia TCI "Lisa Rossi"
Questa testuggine presenta una deformità del carapace causata da una quantità inadeguata di calcio e/o di D3. Questo è un problema del tutto evitabile.
L'ottenimento di una crescita perfetta e naturale nelle testuggini e nelle testuggini palustri è una sfida multi-fattoriale. Se l'allevatore vuole ottenere questo deve bilanciare molti aspetti divergenti di una dieta con fattori (ambientali) estranei. Non esiste una soluzione rapida o un metodo ABC garantito che possa produrre risultati affidabili in qualsiasi circostanza. Invece è vitale che gli allevatori capiscano i meccanismi di base coinvolti. In questo studio analizzeremo uno alla volta i vari punti critici nello sviluppare una crescita salutare e naturale e discuteremo brevemente il modo più efficace per applicare la teoria alla pratica.
Inizieremo col studiare il calcio e l'integrazione di calcio.
In natura le testuggini si procurano il proprio fabbisogno di calcio in vari modi. La maggior parte del loro fabbisogno è solitamente ottenuto dal consumo di vegetazione ricca di calcio. Questa vegetazione cresce già di suo su terreni ricchi di calcio, una situazione che porta alla crescita di piante loro stesse ricche di questo minerale. Inoltre le tartarughe ottengono del calcio aggiuntivo dal consumo accidentale di particelle di sabbia/terriccio mentre mangiano e dalla ricerca deliberata di prodotti ricchi di calcio nel loro ambiente come i gusci delle lumache o le ossa sbiancate dal sole. Sorprendentemente persino gli ambienti desertici hanno spesso una popolazione estremamente numerosa di lumache e non è insolito trovare letteralmente centinaia di lumache per metro quadro in estivazione e migliaia di particelle di gusci rotti nella stessa area. Le tartarughe sono state osservate mentre le cercavano e le consumavano con entusiasmo. Esse forniscono una risorsa di questo minerale vitale concentrata e immediatamente assorbibile.
Nella maggior parte delle situazioni in cattività il contenuto lordo di calcio nella dieta si avvicina raramente, se non mai, a quello delle diete selvatiche e il rapporto calcio- fosforo delle diete in cattività è nel complesso solitamente anche di molto inferiore a quelle in natura. Alcuni esempi tipici includono Plantago sp., con rapporto Ca:P di oltre 20:1 e Opuntia sp., in cui il rapporto Ca:P può raggiungere 78:1. Le diete tipiche adottate da molti allevatori, fondate sulle insalate e la frutta in commercio spesso contengono poco calcio e un eccesso di fosforo.
Opuntia cacti - una pianta tipicamente ricca di calcio con un altissimo rapporto Ca:P. Se allevate testuggini varrebbe la pena coltivare questa eccellente risorsa di cibo. Se riusciamo a farlo in Galles, UK, ci si può riuscire quasi ovunque.
Questo problema può essere affrontato in due modi:
1) selezionando attentamente diete che includano prodotti con un alto rapporto Ca:P ed escludendo il regolare assorbimento di quelli con rapporto Ca:P inverso;
2) Usando prudentemente gli integratori di calcio.
In pratica è raccomandabile una combinazione dei due metodi. Uno dei problemi nell'affidarsi esclusivamente ad una dieta selettiva è che molte piante che superficialmente sembrano offrire un rapporto calcio fosforo buono o positivo contengono anche prodotti chimici che impediscono l'assorbimento di calcio. Le foglie di senape, rapa, ravizzone, cavolo, bok choy, spinaci, bietola e cavolo nero appartengono tutte a questa categoria. Uno degli esempi migliori di un tale "fattore anti-nutriente" è l'acido ossalico. Un altro è l'acido fitico che si trova in alte concentrazioni nei piselli, fagioli e legumi simili. È quindi necessario selezionare le diete non solo per un contenuto lordo di calcio e un rapporto calcio-fosforo, ma anche per evitare di affidarsi a piante che contengono alti livelli di questi "anti-nutrienti". In pratica questo è abbastanza difficile da ottenere su base annuale.
Gli integratori di calcio
Il calcio può essere trasmesso in varie forme, alcune delle quali sono assorbite molto più velocemente ed efficacemente di altre. Gli integratori di calcio basati su farina di ossa non sono consigliabili a causa del loro apporto di fosforo intrinsecamente alto (24% calcio e 12% fosforo). Poiché molte diete per tartarughe sono già ricche di fosforo non è necessario né raccomandabile integrarle con dell'altro fosforo.
Secondo un recente studio sui preparati di calcio ne esistono almeno una dozzina di comuni e un centinaio di formulazioni diverse disponibili. Il carbonato di calcio è quello più diffuso; altri includono fosfato tricalcico, fosfato bicalcico, farina di ossa, calcio citrico-malico, guscio d'ostrica, calcio lattato e calcio gluconato. Questi preparati di calcio variano in molti modi. Il carbonato di calcio ha la concentrazione più alta di calcio in peso (40%), mentre il citrato di calcio ha il 21% di calcio e il fosfato di calcio ne ha l'8%. Malgrado il carbonato di calcio abbia la più alta concentrazione questo tipo di calcio è relativamente insolubile, specialmente a livello di pH neutro. Al contrario il calcio citrato, malgrado contenga la metà del calcio, è una tipologia più solubile.
Certi preparati di calcio (e.g. farina di ossa, dolomite) possono contenere contaminanti quali piombo, alluminio, arsenico, mercurio e cadmio. Delle quantità significative sono state identificate per esempio negli integratori di carbonato di calcio etichettati come guscio d'ostrica. La somministrazione cronica di questi integratori può creare un rischio inutile. La maggior parte dei preparati di calcio sono testati per una contaminazione di metalli pesanti.
In teoria un'eccessivamente alta somministrazione di calcio potrebbe interferire con l'assorbimento di altri nutrienti come ferro e zinco, comunque, nei cheloni, non siamo a conoscenza della dimostrazione di effetti simili. Altri potenziali effetti negativi della somministrazione cronica di alte dosi di calcio includono un'ipervitaminosi-D nel caso di integratori contenenti sia calcio che vitamina D. Recenti studi sugli esseri umani indicano che un incremento di calcio non aumenta il rischio di calcoli renali. Tuttavia la diminuzione di calcio nella dieta potrebbe aumentare l'escrezione urinaria di ossalato che a sua volta aumenta il rischio di calcoli renali oltre a causare problemi di sviluppo osseo.
Come regola generale il carbonato di calcio è preferibile per l'uso come integratore comune.
E' sia sicuro che efficace. La polvere di calcare è disponibile in grandi quantità ad un prezzo molto basso dai commercianti di alimenti per animali e si avvicina al carbonato di calcio per efficienza. Per le emergenze, se i comuni integratori o le polveri di calcare non sono disponibili, le pastiglie di calcio per esseri umani possono essere tritate finemente in polvere e introdotte generosamente nel cibo (si ricorda che mentre alcune pastiglie di calcio per umani possono contenere vitamina D, questa è di solito sotto forma di vitamina D2 piuttosto che della D3 richiesta dai rettili). Alcuni testi raccomandano l'uso di gusci d'uovo tritati di pollame come integratore di calcio. Se è vero che questi contengono un apporto utile di calcio (fino al 39% di Ca disponibile) e si è dimostrato in studi su esseri umani che aiutano a prevenire l'osteoporosi nei mammiferi, deve essere ricordato che per l'uso nei cheloni esistono vari potenziali inconvenienti.
Questi includono gli studi che dimostrano che tale materiale di guscio d'uovo contiene anche tracce di ormoni (con effetti imprevedibili sulle tartarughe) e che qualsiasi rimasuglio di membrana d'uovo può contenere tracce di antibiotico oltre a rappresentare una potenziale riserva di contaminazione da organismi di salmonella. Integratori di calcio derivati da gusci d'uovo per esseri umani vengono estratti e purificati sotto severe regole di laboratorio e sono ottenuti da pollame sottoposto a diete attentamente controllate. L'uso di gusci d'uovo preparati a casa da uova in commercio non è raccomandabile a causa della mancanza di controlli di qualità sull'alimentazione e della potenziale contaminazione con residui derivati dalla difficoltà di togliere tracce di membrane. L'osso di seppia è un metodo di vecchia data per fornire più calcio alle testuggini e specialmente alle testuggini palustri, poiché galleggia con facilità nell'acqua.
I principali componenti chimici dell'osso di seppia sono carbonato di calcio, cloruro di sodio, fosfato di calcio, sali di magnesio e un'abbondanza di micro-tracce di elementi. Malgrado il suo elevato contenuto di calcio lordo, l'osso di seppia è scarsamente assorbito e come tale non dovrebbe essere l'unica fonte di integrazione di calcio. Può comunque essere usato come risorsa secondaria.
Blocchi per tartarughe
Una forma di integratore di calcio spesso venduta nei negozi per animali è nota come "blocchi per tartarughe". Questi sono costituiti per la maggior parte dal Gesso di Parigi (solfato di calcio emiidrato) combinato col carbonato di calcio, spesso in una combinazione 50-50. Lo stesso Gesso di Parigi contiene del calcio quasi del tutto inutilizzabile ed è semplicemente usato per dare la forma al blocco. Quindi peso-per-peso i blocchi per tartarughe contengono 50% o meno di carbonato di calcio di cui, a sua volta, solo il 40% può essere biodisponibile. Inoltre ci sono preoccupazioni riguardo alle contaminazioni da metalli pesanti nel gesso da cui è ricavato il Gesso di Parigi. Quindi questa non è una forma di integrazione di calcio che raccomandiamo.
Raccomandazioni
Può sembrare che l'integratore di calcio più sicuro ed efficace di uso comune per testuggini in cattività sia una polvere di calcio tritata basata su carbonato di calcio e priva di fosforo, preferibilmente di una qualità in commercio, sia con o senza la vitamina D3. Al momento alcuni fornitori specializzati in vitamine ed integratori minerali per rettili offrono prodotti formulati con attenzione per fornire il miglior apporto possibile ai bisogni alimentari dei rettili rispetto agli integratori standard, come il Vionate, originariamente formulato per un uso generalizzato. Uno di questi fornitori, in Gran Bretagna, è Vetark Products i cui integratori ad elevata quantità di calcio sono adatti soprattutto a rettili erbivori. Negli Stati Uniti è raccomandato Rep-Cal come integratore di calcio e D3 privo di fosforo.
La vitamina D3
La vitamina D3 ha un ruolo fondamentale nella formazione delle ossa, permettendo al corpo di assorbire il calcio e mantenendo il giusto equilibrio di calcio e fosforo. Una testuggine potrebbe mangiare calcio tutto il giorno, ma se non ottiene una giusta quantità di vitamina D3 non sarebbe in grado di assorbirlo nel modo migliore.
In natura le tartarughe erbivore si procurano tutto il loro fabbisogno di vitamina D3 come risultato di una reazione chimica della pelle in seguito all'esposizione allo spettro solare UV-B. Si forma un composto noto come 7colesterolo deidrossidato (qualche volta abbreviato 7DCH o provitamina D). Questo a sua volta è trasformato, grazie alla temperatura, nella vitamina D vera e propria. E' vitale che siano disponibili per la buona riuscita del processo sia raggi UV-B in sufficienza che temperature adeguate. Questo è uno dei motivi per cui le nuove lampade riscaldanti a raggi UV-B (lampade a vapore di mercurio auto-regolate) sono così buone. Esse forniscono sia gli UV-B che il calore sufficiente a convertire il 7DCH in una forma che può essere infine usata dal metabolismo del calcio. Un tubo fosforescente a UV-B non ci riuscirà mai da solo. Se si usa un tubo simile, è obbligatoria un'altra fonte di calore separata. Senza un'adeguata fonte di calore, la conversione non avverrà efficacemente.
Il livello a cui dovrete usare un integratore contenente vitamina D3 cambierà a seconda di diversi fattori, il più importante quanto a nord ci si trovi e il numero di ore di esposizione alla luce naturale del sole ricevano gli animali o l'intensità di UV-B integrativi si utilizzino.
Come regola generale se vivete in una zona in cui le testuggini o le testuggini palustri vivono naturalmente e i vostri animali possono passare almeno tre o quattro ore all'aperto ai raggi solari non filtrati non avrete probabilmente bisogno di affidarvi ad integratori di D3. Un integratore di calcio dovrebbe bastare. Se vivete in una zona nuvolosa al nord dove testuggini e tartarughe palustri non vivono abitualmente o il tempo dei vostri animali all'aperto è limitato è raccomandabile che usiate un integratore regolarmente. Suggeriamo almeno tre volte a settimana al minimo. Se fornite lampade ad alta emissione di UV-B e avete impianti riscaldanti adeguati potrete affidarvi a queste per incoraggiare un'adeguata sintesi di D3, ma, personalmente, preferirei ridurre i rischi completando con integratori orali di calcio e D3 combinati almeno due volte a settimana.
Calcio e vitamina D3 non sono certamente i soli elementi richiesti per facilitare uno sviluppo osseo salutare nelle testuggini e nelle tartarughe palustri:
• Magnesio: è essenziale per un adeguato assorbimento di calcio ed è un minerale importante per la matrice ossea. Ha effetti specifici sull'ormone paratiroideo che aiuta a regolare il giusto metabolismo del calcio.
• Fosforo: è il secondo minerale più importante nelle ossa e forma più della metà della massa ossea. Quindi la dieta deve fornire abbastanza fosforo per sviluppare delle ossa sane. Per la maggior parte delle testuggini e delle testuggini palustri questo non è un problema visto che la maggior parte della vegetazione ne è ricca. Tuttavia quando i livelli di fosforo nel sangue sono troppo alti il corpo tende ad assorbire il calcio dalle ossa per legarsi al fosforo e facilitare la sua rimozione dal flusso sanguigno. Ne risulta che le ossa possono diventare fragili o deformate.
Anche altre microtracce di elementi sono importanti, inclusi il Manganese, lo Zinco, il Boro e lo Stronzio. Questi non potrebbero essere forniti solo con un integratore regolare di calcio o calcio con D3. Una dieta adeguata e variegata ne fornirà la maggior parte, ma anche un integratore di minerali ad ampio raggio può essere usato per assicurare che siano presenti regolarmente. Raccomanderemmo che un tale integratore venisse usato non più di una volta a settimana.
Riassumendo, per fornire il calcio di cui testuggini e testuggini palustri hanno bisogno, specialmente durante la crescita o per le femmine fecondate:
Articolo del Dr. Mattia Bielli per il Tarta Club Italia
-Introduzione
Nell’ultimo decennio la medicina erpetologica ha saputo fare passi da gigante ampliando le sue conoscenze in molti settori.
Sebbene in alcuni casi esistano ancora molte difficoltà nel giungere ad una diagnosi definitiva, possiamo oggi contare sulla possibilità di eseguire esami accessori in maniera simile a quanto avviene in medicina umana e veterinaria per altre specie animali.
Scopo di questa relazione è quello di illustrare brevemente le principali tecniche diagnostiche di cui il clinico di volta in volta si avvale per pervenire alla diagnosi; dal momento che alcune parti verranno in seguito approfondite dai colleghi che relazioneranno in seguito, alcune tecniche vengono solamente accennate.
Foto 01 Scorcio di un laboratorio veterinario
La clinica nei cheloni
-Esame clinico
Frequentemente i possessori di testuggini richiedono consigli per telefono o via posta elettronica e talvolta è possibile inquadrare il caso e fornire indicazioni che possano tranquillizzare ma solo raramente è possibile risolvere il problema e le cause che l’hanno determinato.
Foto 02 Esame clinico
Nonostante lo sviluppo di sempre nuove tecniche diagnostiche l’esame clinico rappresenta ancor oggi la base dell’accertamento dello stato di salute per ogni animale ed è quindi indispensabile poter condurre un esame accurato secondo metodologie non diverse da quanto applicabile per altre specie.
Raramente il solo esame clinico consente di poter formulare una diagnosi ma fornisce gli elementi necessari per contestualizzare il caso e orienta il clinico all’uso delle tecniche diagnostiche più appropriate.
-Esami del sangue
Gli esami che è possibile eseguire sul sangue (e i suoi derivati, siero, plasma…) sono molteplici ed è possibile dividerli schematicamente in quattro gruppi principali:
Foto 03 Striscio di sangue al microscopio
-Emocromocitometria
Prevede la conta e la misurazione delle dimensioni dei globuli rossi, la conta di globuli bianchi e piastrine, del contenuto di emoglobina; altri parametri misurabili (Fibrinogeno,VES…) trovano al momento attuale scarso impiego nella medicina dei rettili.
-Ematobiochimica
Si tratta della misurazione di diverse sostanze chimiche presenti in vari tessuti dell’organismo e rintracciabili nel plasma (talvolta nel siero) sanguigno; valori che deviano dagli standard per una data specie indicano il malfunzionamento di organi o apparati.
-Diagnostica di malattie infettive (vedi Microbiologia)
Per quanto sia possibile visualizzare direttamente nel sangue elementi quali batteri (liberi o all’interno di globuli bianchi), si tratta in genere di indagini sierologiche che permettono, con tecniche diverse, di rintracciare indirettamente la presenza di agenti infettivi.
-Citologia (vedi)
Valutando citologicamente uno striscio di sangue è possibile in primo luogo visualizzare parassiti ematici, sia liberi che inclusi nelle cellule ematiche (globuli rossi e bianchi).
L’esame delle singole costituenti del sangue permette inoltre di acquisire importanti informazioni e in particolar modo la citologia dei globuli bianchi riflette la reattività del sistema immunitario ed emopoietico.
Nella pratica clinica gli approcci sono spesso diversi ma a mio avviso un esame emocromo e la citologia di uno striscio ematico risultano indispensabili e fanno parte integrante di una qualsiasi visita di routine.
A seconda della progressione dell’iter diagnostico si sceglierà poi se comprendere ulteriori parametri o se ripetere la misurazione di quelli già effettuati.
Sia i parametri di emocitometria che quelli ematobiochimici sono influenzati da numerosi fattori, allo stesso modo di quanto avviene in specie diverse (sesso, età, stato riproduttivo..); in aggiunta, nei Rettili, esistono variazioni di tipo stagionale delle quali è opportuno tener conto nel momento della valutazione dei risultati ottenuti.
-Citologia
L’esame citologico è un esame che viene condotto al microscopio ottico e consente di valutare le singole cellule e altre entità come particelle, batteri… in un qualsiasi materiale prelevato con modalità e da sedi diverse e opportunamente trattato (con fissativi e coloranti).
Esempi tipici sono l’esame di fluidi raccolti nel cavo peritoneale (ma anche delle urine o del muco), da qualsiasi ferita sulla superficie esterna, così come campioni ottenuti aspirando con l’ago di una siringa i tessuti in profondità.
Foto 04 Vetrini allestiti per l’esame istologico
L’esame citologico del lavaggio di trachea e grossi bronchi risulta particolarmente utile per l’indagine di malattie respiratorie mentre un esame citologico dell’epitelio linguale può mettere in evidenza dei corpi inclusi nelle cellule consentendo una diagnosi di infezione da herpesvirus.
Anche un esame delle feci può comprendere una valutazione citologica permettendo di evidenziare elementi (parassiti unicellulari, cellule del sangue…) che possono sfuggire ad un normale esame microscopico.
Si tratta di un esame semplice e rapido che in talune circostanze permette di indirizzare prontamente l’iter diagnostico da seguire.
-Esame delle urine
E’ un esame che nei rettili pone alcune difficoltà di esecuzione e di interpretazione, di conseguenza trova un’applicazione limitata come esame di routine.
Il principale problema è costituito dalla peculiare fisiologia della vescica urinaria nei Cheloni in cui esiste la possibilità di riassorbimento di liquidi e di sostanze disciolte non che la contaminazione da parte di materiale fecale.
Oltre a valutarne i parametri fisici, nelle urine è importante ricercare cellule (della parete della vescica, del sangue…), sedimenti (cristalli, materiale amorfo), parassiti, batteri e spore di miceti (Hexamita sp., Candida sp.).
L’esame di alcune sostanze chimiche presenti nelle urine trova inoltre importanti indicazioni nella diagnosi di insufficienza renale.
-Parassitologia
I parassiti in grado di affliggere i Cheloni sono, come per la maggior parte delle specie, classificabili in esterni, gastroenterici, delle vie urinarie ed ematici.
Il riscontro di parassiti esterni è piuttosto raro in animali allevati in Europa ma non in quelli di recente importazione da paesi tropicali.
Il loro ruolo patogeno diretto non è particolarmente importante ma è possibile che fungano da veicolo per virus, batteri e altri microrganismi.
Foto 05 Ascaridi
Sui parassiti gastrointestinali esistono diverse interpretazioni fra quali specie risultino sicuramente patogene (e in quali contesti) e quali invece siano semplici commensali che, in condizioni ottimali, si rivelano addirittura utili per i processi di digestione e assimilazione dei cibi.
I parassiti ematici sono anch’essi di raro riscontro nei Cheloni e, anche in questo caso, non è ben chiaro il ruolo patogeno.
-Microbiologia
La microbiologia si occupa di isolare e identificare i germi (batteri, funghi, virus e altri organismi “intermedi”, come clamidie e micoplasmi) responsabili di un determinato processo patologico avvalendosi di numerose tecniche.
Tra queste ne esistono di dirette (es. microscopia, coltura batterica) in grado quindi di visualizzare direttamente i germi responsabili di un processo morboso e di indirette (es. sierologia, reazioni chimiche) che consentono di fornire una prova della presenza dei patogeni senza però poterli visualizzare.
Foto 06 Tamponi sterili per il prelievo e il trasporto di campioni per isolamento batteriologico
-Batteriologia
Nella medicina dei rettili è sicuramente riconosciuto il ruolo patogeno di alcune specie batteriche (cioè in grado di determinare un danno a organi o apparati, scatenando la malattia) ma sempre più spesso ci si rende conto che tali infezioni sono in primo luogo opportuniste e spesso concomitanti con infezioni di altro tipo, specie di natura virale.
In altre parole, l’isolamento di un germe da un organismo malato potrebbe non rappresentare la (sola) causa di malattia.
-Micologia
Malattie sostenute da funghi sono assai rare nei Cheloni ma talvolta è possibile riscontrare polmoniti micotiche (Aspergillus sp.) o infezioni agli apparati gastroenterico e urinario (Candida sp.).
In questi casi è possibile evidenziare le spore direttamente (al microscopio ottico) o ricorrere ad esami colturali.
-Virologia
Soprattutto nell’ultimo decennio, grazie alla disponibilità di maggiori conoscenze e risorse, si è iniziato ad affrontare la virologia dei rettili riconoscendo a queste entità un ruolo determinante nello sviluppo di malattie infettive.
Per quanto sia stato possibile isolare un discreto numero di agenti virali appartenenti a gruppi diversi, nei Cheloni rivestono particolare importanza l’herpesvirus (ChV1 e ChV2), l’iridovirus e il cosiddetto virus “X” (un picornavirus).
-Esame radiografico
Anche l’esame radiografico pone alcuni problemi per via della presenza del guscio che interferisce nella visualizzazione delle strutture interne (apparato respiratorio, gastro-enterico e genito-urinario) ma utilizzando particolari tecniche (es. il fascio orizzontale) risulta di grande utilità diagnostica.
L’indagine radiografica permette di visualizzare l’integrità dell’apparato scheletrico (ovviamente guscio compreso), calcoli vescicali radiopachi, corpi estranei (radiopachi) nel tratto gastroenterico, la presenza di uova calcificate, e i campi polmonari.
Foto 07 Immagine radiografica di Testudo greca; proiezione laterale
In alcuni casi l’impiego di liquidi di contrasto permette di approfondire ulteriormente l’esame condotto “in bianco” (cioè senza l’ausilio del contrasto) e di affinare le interpretazioni diagnostiche.
-Ecografia
L’ecografia nei Cheloni è in grado di mettere in evidenza alcune strutture e alcuni dettagli che normalmente sfuggono all’esame radiografico.
Si tratta di una tecnica non invasiva che purtroppo trova ancora limitato impiego nella medicina dei Cheloni soprattutto per via della necessità di sonde di dimensioni appropriate e di personale adeguatamente preparato nell’interpretazione delle immagini ottenute.
Il campo medico in cui l’esame ecografico trova maggiori applicazioni è la medicina riproduttiva ma sono possibili le valutazioni di altri organi quali il fegato, i reni, la vescica e dell’apparato cardiocircolatorio.
Un altro importante utilizzo è in combinazione con tecniche di biopsia in cui l’immagine ecografia permette di guidare l’operatore sul sito esatto di prelievo.
-Tomografia Computerizzata (CT) e Risonanza Magnetica (MRI)
Per quanto ancora limitate, soprattutto dall’elevato costo delle apparecchiature necessarie, queste tecniche di diagnostica per immagini offrono notevoli potenzialità di indagine di strutture interne sia per quanto riguarda i tessuti molli che per l’apparato scheletrico.
Contrariamente a quanto avviene per l’esame ecografico, le immagini ottenibili con risonanza magnetica e tomografia computerizzata sono di relativa facile interpretazione.
-Endoscopia/laparoscopia
Per questi esami si sfrutta essenzialmente lo stesso tipo di attrezzatura
Foto 08 Attrezzatura
e le differenze sono che l’esame endoscopico permette di visualizzare direttamente l’interno di organi cavi a partire da aperture naturali (apparato respiratorio, gastroenterico, genitourinario) mentre quello laparoscopico visualizza le strutture interne attraverso aperture praticate artificialmente attraverso la superficie esterna (breccia chirurgica).
Foto 09 Endoscopia cloacale
L’esame viene condotto in sedazione o in anestesia generale utilizzando delle ottiche anche molto sottili (meno di 3mm di diametro) costituiti da un complesso sistema di lenti e provvisti di una sorgente luminosa.
Attraverso l’uso diagnostico di tali strumenti (è possibile anche un utilizzo “operativo”) è possibile ispezionare direttamente le strutture interne e raccogliere materiale da sottoporre ad esame (per biopsia, citologia, coltura…)
-Istopatologia
L’esame istopatologico viene condotto esclusivamente in laboratori attrezzati allo scopo (generalmente universitari) in quanto richiede una lavorazione particolare e attrezzature costose.
I campioni sono rappresentati da parti di organo o tessuti e possono essere prelevati “in vivo” (in tal caso si parla di biopsia) o in sede autoptica.
L’istopatologia esamina le singole cellule nel contesto della struttura dei tessuti e quindi permette una valutazione dell’integrità degli organi rilevando eventuali alterazioni a carattere microscopico.
-Necroscopia
Per quanto si tratti di un evento sempre spiacevole, la morte di un animale costituisce una grande opportunità per investigare i problemi che affliggono animali così particolari come i Cheloni e i Rettili in generale.
Per quanto anche un esame autoptico ben condotto talvolta non riesca a chiarire le cause di un decesso, è importante, determinare le cause di morte in maniera sistematica soprattutto se si tratta di un animale inserito in un gruppo o in una collezione.
Foto 10 Necroscopia
Indicazioni: quando eseguire gli esami?
-All’acquisizione
All’acquisizione di ogni nuovo animale accertarsi del suo stato di salute ci permette innanzitutto di sapere se il soggetto è sano o se dobbiamo temere per la sua salute.
Altre motivazioni che dovrebbero essere sempre prese in considerazione nel momento in cui si decide di sottoporre un animale a dei controlli, sono la sicurezza sanitaria nei confronti delle persone (zoonosi) e di altri animali preesistenti (se il nuovo animale deve essere inserito in un gruppo); da ultimo, come evenienza da non sottovalutare, la possibilità di rivalersi in termini di responsabilità su chi ci ha ceduto un animale malato.
In questo caso sono perlomeno necessari una visita clinica, un esame parassitologico delle feci, un esame emocromo e uno screening per ChHV e virus X.
Se l’esemplare è adulto (sopra gli 8 anni) è consigliabile includere un profilo biochimico che ci permetta di avere un’idea delle funzionalità renale ed epatica, mentre se il soggetto è femmina e lo si acquista per un preciso scopo riproduttivo, è indicata un’endoscopia.
A questo proposito prima di ogni acquisizione è buona norma concordare sempre con il cedente delle forme di garanzia in modo da potersi tutelare in caso di malattia, mancata riproduzione o morte degli esemplari.
-Pre/post letargo
L’entrata e l’uscita dal letargo sono due periodi di transizione estremamente delicati in quanto sottopongono gli organismo che li affrontano a cambiamenti fisiologici davvero radicali, specie se in climi diversi da quelli consoni per la specie.
Segni clinici come lo scolo da naso o occhi, così come qualsiasi anomalia respiratoria, devono essere indagati ulteriormente in maniera tempestiva e sistematica anche se apparentemente si tratta di fenomeni transitori o che scompaiono in seguito ad una terapia più o meno avventata.
Parlando di malattie infettive, è soprattutto in periodi di stress che mettono sotto pressione il sistema immunitario che avviene la riacutizzazione di forme silenti con l’eliminazione nell’ambiente di un gran numero di particelle infettanti.
-Femmina in riproduzione
L’evento riproduttivo è senza dubbio un momento fra i più attesi e che prevede importanti cambiamenti fisiologici soprattutto a carico dell’organismo femminile.
Accanto ad un aumento del metabolismo e quindi ad un aumento delle richieste di particolari elementi quali proteine e calcio, è possibile un abbattimento delle difese immunitarie che rende più sensibili tali soggetti a malattie di tipo infettivo.
Un controllo a fecondazione avvenuta (dopo circa 10 giorni) di una femmina adulta dovrebbe prevedere un esame clinico, un esame emocromo, un profilo biochimico e i test per le principali malattie virali.
L’accertamento della presenza o meno di uova è raccomandato alla fine di ogni stagione riproduttiva per sincerarsi che non vi siano uova ritenute in ovidotto o in sedi diverse (cavità celomatica, vescica).
Va infine ricordato che qualsiasi anomalia riproduttiva (uova deformate, uova deposte fuori dal nido, mancata schiusa, mortalità embrionale…), deve essere indagata tramite esami appropriati.
-Nel momento in cui si scopre un problema
Ogni segno clinico di malattia è meritorio di attenzioni; prima che sia troppo tardi, di fronte a manifestazioni anche banali, è sempre buona norma approfondire la diagnosi ed escludere le patologie più pericolose.
Richiami di profilassi e management d’allevamento
Come raccomandazioni finali è importante sottolineare come oggi la medicina veterinaria, seppur con molti limiti, sia in grado di proporre tecniche diagnostiche d’avanguardia applicabili anche ai Cheloni.
Dal momento che l’allevamento in cattività, quando ben gestito e organizzato, permette di dare un importante contributo alla salvaguardia delle specie in natura, è imperativo condurre tale forma di allevamento in maniera responsabile anche per quanto riguarda l’aspetto sanitario.
Un allevatore serio non può fare a meno di un’assistenza veterinaria e deve essere in grado di poter fornire una prova dei controlli e delle profilassi effettuate sui suoi soggetti riproduttori e garantire, attraverso una certificazione scritta, il buono stato di salute dei soggetti che intende cedere.
Inoltre, nel caso di programmi di reintroduzione in ambiente selvatico finalizzati al ripopolamento, l’aspetto sanitario è un delicato punto cardine per poter garantire il successo di tali progetti e per scongiurare danni irreparabili al nostro patrimonio faunistico.
Marta Avanzi, Med. Vet.
Un esame accurato e sistematico di una tartaruga è importate sia come controllo periodico dello stato di salute che come esame precedente all'acquisto o all'acquisizione di un nuovo soggetto. Non bisogna però dimenticare che anche se il rettile appare in perfetta salute, è importante effettuare un adeguato periodo di quarantena prima di metterlo insieme ad altri soggetti.
Ecco alcuni elementi da considerare quando si esamina una tartaruga, ed il loro significato.
Aspetto generale
Sollevando la tartaruga si deve avere una sensazione di peso, non di tenere in mano un guscio vuoto, cosa che indicherebbe un forte dimagramento. La tartaruga deve essere in grado di camminare sollevandosi sui quattro arti senza difficoltà.
Lo spazio tra la base degli arti anteriori e la base del collo deve essere in carne; se è eccessivamente affossata indica uno stato di deperimento. Una tartaruga molto magra quando si ritira nella corazza lascia uno spazio eccessivo tra gli arti anteriori e il margine della corazza stessa
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Un gonfiore eccessivo della cute (foto02) può indicare la presenza di edema (accumulo di liquido nei tessuti per insufficienza renale o altre cause) o obesità( foto 03).
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Comportamento
Una tartaruga sana, se non è abituata ad essere maneggiata, quando viene stuzzicata si retrae velocemente nella corazza; alcune specie tentando di mordere il dito posto davanti alla bocca. Una tartaruga abituata al contatto umano appare attenta a ciò che la circonda. Se l'animale resta fermo, apatico, con gli occhi chiusi, mostra di avere una grave patologia (foto 04) (a meno che non sia ad una temperatura nettamente inferiore a quella ottimale).
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Messa sul dorso, una tartaruga sana cerca di raddrizzarsi con vivaci movimenti delle zampe; questa manovra non deve mai essere eseguita se esiste la possibilità di un problema respiratorio perché può far precipitare la situazione.
Nel caso di tartarughe acquatiche, il galleggiamento inclinato da un lato è anormale e può indicare la presenza di una polmonite, ma anche di disturbi intestinali (meteorismo, corpi estranei). (foto 05)
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La testa deviata da un lato, a volte accompagnata da movimenti in circolo, può indicare una lesione cerebrale (spesso un trauma, o lesioni da congelamento dopo il letargo). (foto 06)
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Le femmine gravide scavano buche nel terreno per alcuni giorni prima di deporre le uova; se a questo comportamento non segue l'ovodeposizione può esserci un problema di ritenzione.
Nelle tartarughe acquatiche il fatto di passare più tempo fuori dell'acqua e di essere riluttanti ad entrarvi può indicare uno stato di malattia.
Appetito
La diminuzione dell'appetito o la mancanza completa di alimentazione sono sintomi importanti ma del tutto aspecifici, che possono comparire con qualunque tipo di patologia. Tuttavia possono manifestarsi anche a causa di condizioni ambientali sbagliate (soprattutto temperatura e umidità), per stress ambientali (sovraffollamento, mancanza di nascondigli, competizione con individui dominanti) o per la somministrazione di alimenti inadatti alla specie.
In particolare, se una tartaruga non riprende ad alimentarsi entro una settimana dal risveglio del letargo, deve essere fatta visitare immediatamente, perché più si prolunga il digiuno minori sono le possibilità di recuperarla.
Testa
Occhi
Occhi infossati sono un segno importante di malessere: indicano disidratazione o malnutrizione cronica. (foto 07)
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Gli occhi devono essere puliti, senza muco, pus o croste, segni di infezioni. Le palpebre non devono essere gonfie: se sono tumefatte può essere presente un'infezione (foto 08)
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o una carenza di vitamina A (foto 09) (quest'ultima tipica delle giovani emididi alimentate solo a gamberetti).
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Al risveglio dal letargo, nelle Testudo spp. si osserva talvolta una macchia bianca della cornea, dovuta a condizioni di letargo non ottimali. Questa condizione può essere trattata con uno specifico collirio.
Narici
Le narici devono essere pulite e aperte. Uno scolo dalle narici (foto 10),
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(sieroso o mucopurulento) può indicare tanto una infezione respiratoria quanto un'infezione alla bocca: narici e bocca sono infatti collegate da fessure presenti nel palato. Talvolta esternamente non si osserva scolo nasale, ma premendo delicatamente con un dito sotto la mandibola si provoca la fuoriuscita di essudato dalle narici.
A volte le narici sono completamente ostruite a causa di una precedente infezione.
Membrana timpanica
La membrana timpanica, visibile come una scaglia rotonda dietro l'occhio, deve essere piatta. Una tumefazione a questo livello indica la presenza di un ascesso dell'orecchio interno, che deve essere trattato chirurgicamente. (foto 11)
foto 11
Bocca
Il becco (ranfoteca) può presentare fratture per traumi, che richiedono la stabilizzazione con cerchiaggi. La parte cornea del becco può risultare troppo lunga, se l'alimentazione non è sufficientemente abrasiva; in seguito a ciò può fissurarsi o spezzarsi, e comunque causare difficoltà nella prensione dell'alimento (foto 12) .
foto 12
In tal caso può essere accorciata con un'apposita fresa. La bocca può presentare malformazioni, in cui la mandibola o la mascella sono troppo corte in relazione una all'altra (foto 13), (foto 14).
foto 13
foto 14
Questo difetto se non è molto accentuato può essere compatibile con una vita normale, ma può richiedere l'accorciamento periodico della parte cornea del becco.
L'interno della bocca deve essere privo di schiuma o di materiale necrotico (Foto 15), dall'aspetto giallo o grigio, segni possibili di stomatite (infezione della bocca).
foto 15
Le stomatiti spesso sono patologie gravi che fanno parte di una malattia sistemica.
La respirazione a bocca aperta è anormale e indica una difficoltà respiratoria tanto più grave se si accompagna all'estensione del collo (foto 16).
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Corazza
La corazza nelle tartarughe di più di un anno di età deve essere di consistenza solida (se premuta tra le dita non deve cedere), ad eccezione di Malacochersus tornieri, la tartaruga frittella africana. Una consistenza cedevole indica un'inadeguata calcificazione causata da problemi alimentari (carenza di calcio e/o eccesso di proteine, carenza di raggi UVB).
Alterazioni della colorazione, scuti che si staccano lasciando aree ulcerate, erosioni, arrossamenti, sono tutte anomalie che richiedono una visita perché indicano infezioni della corazza o infezioni sistemiche. (Foto 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25)
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La presenza di alghe può indicare la presenza di condizioni ambientali inadeguate (scarso ricambio di acqua, mancanza di una zona asciutta riscaldata), ma nelle specie che passano la maggior parte del tempo sommerse è normale, e può anche essere un aiuto al mimetismo.
Erosioni nella parte posteriore e laterale del carapace delle femmine di Testudo spp. sono in genere causate dal corteggiamento da parte di un eccessivo numero di maschi. In questa specie il corretto rapporto maschi/femmine dovrebbe essere di 1:5 circa. (foto 26)
foto 26
Fratture della corazza, di gravità estremamente variabile, sono immediatamente evidenti all'ispezione, ma possono essere accompagnate da danni interni non immediatamente apprezzabili (lesioni alla colonna vertebrale, lacerazioni del fegato), e richiedono sempre una valutazione veterinaria.
La corazza può presentare anomalie congenite che ne alterano la forma, apparenti fin dalla nascita. La maggior parte dei difetti della corazza sono però causati da errori alimentari che ne provocano la progressiva alterazione nel corso degli anni negli individui in crescita. La deformazione degli scuti centrali del carapace (foto 27, 28)
foto 27
foto 28
(la metà superiore della corazza), che assumono un profilo rialzato ("a piramide"), insieme all'appiattimento della corazza e talvolta alla sua consistenza tenera, è tipica di un'alimentazione errata, troppo ricca di proteine e povera di calcio. Anche una "insellatura" del carapace (Foto 29)
foto 29
(formazione di una concavità invece del normale profilo convesso) indica alterazioni di sviluppo di origine alimentare.
Nelle tartarughe neonate al centro del piastrone si può osservare la cicatrice ombelicale, che è normale (Foto 30).
foto 30
Nei piccoli appena usciti dall'uovo talvolta si osserva il residuo del sacco vitellino, una struttura rotondeggiante arancione, che non è ancora stata assorbita (Foto 31)
foto 31
Esaminando il disegno degli scuti, si osservano spesso anomalie (scuti in sovrannumero o in numero inferiore, o di forma anomala). Non sono di per sé patologici, ma possono indicare che la temperatura o l'umidità non sono state adeguate durante l'incubazione. (foto 32)
foto 32
Arti
Noduli e tumefazioni sono anormali e possono indicare la presenza di ascessi (Foto 33, 34),
foto 33
foto 34
che vanno trattati chirurgicamente, o di fratture. Tumefazioni a livello articolare possono essere causate da infezioni (artriti) o gotta (Foto 35) (accumulo di cristalli di acido urico).
La perdita di unghie e ulcerazioni delle dita possono indicare un'infezione.
foto 35
Cloaca
La cloaca deve essere pulita, senza segni di feci o urati. La cloaca imbrattata può indicare un problema di diarrea, o il fatto che il rettile è troppo debole per sollevarsi sugli arti per eliminare le deiezioni.
A livello della cloaca si possono osservare prolassi di vari organi (pene (foto 36),
foto 36
utero (foto 37), intestino, vescica), che richiedono sempre un immediato intervento veterinario.
Lacerazioni della cloaca nelle femmine di Testudo di solito sono provocate dai maschi, soprattutto nel caso di T. hermanni. (foto 38)
foto 37
foto 38
Pelle
Il distacco della pelle può essere causato da infezioni, attacco da parte di insetti, o da ipervitaminosi A (foto 39) (causata dalla somministrazione in dosi eccessive di questa vitamina).
foto 39
foto 40
Nelle tartarughe acquatiche, una patina grigiastra (foto 40) che ricopre la pelle indica la presenza di un'infezione, in genere dovuta a condizioni igieniche scadenti e alla mancanza di una zona asciutta; questa patologia può accompagnarsi alla perdita delle unghie, e nei casi gravi portare a morte per setticemia.
Noduli nella cute possono indicare la presenza di ascessi, che vanno incisi ed asportati in anestesia.
Le tartarughe raramente sono affette da parassiti esterni. Le zecche si possono nascondersi alla base degli arti (foto 41) e passare inosservate. Le ferite durante la stagione calda possono essere contaminate da larve di mosca (foto 42).
foto 41
foto 42
Deiezioni
Anche l'osservazione di feci e urine può essere molto utile nell'individuare problemi di salute. Le feci devono in generale essere ben formate, anche nelle tartarughe acquatiche (anche se si sciolgono poi rapidamente). Feci molto tenere o acquose possono indicare un problema di diarrea (infettiva o parassitaria), o errori alimentari (foto 43) (ad esempio la somministrazione di frutta a tartarughe dei climi aridi).
foto 43
Esaminando le feci da vicino si può rilevare la presenza di minuscoli vermi parassiti, gli ossiuri (foto 44),
foto 44
che in grande quantità possono creare problemi di salute e richiedono un trattamento antiparassitario. Più raramente si possono osservare nematodi, parassiti molto più lunghi e generalmente patogeni. Tuttavia non si deve dimenticare che la diagnosi di parassitosi intestinale si effettua tramite l'esame microscopico delle feci, che permette di identificare in modo preciso i parassiti presenti.
Nelle feci possono essere presenti materiali estranei, ad esempio materiale del substrato (sassolini, sabbia, tutolo di mais), che indica la possibilità di un'ostruzione intestinale se non si cambia la gestione, oppure alimenti inadatti (noccioli di ciliegia), pericolosa causa di ostruzione.
L'emissione di urine contenti una massa densa di urati (la parte solida) di grandi proporzioni indica un problema di disidratazione, per cui la tartaruga ha trattenuto a lungo l'urina permettendo che nella vescica si accumulassero urati.
Urine e urati di colore giallo o arancio (fenomeno che prende il nome di biliverdinuria) è segno di un problema a livello del fegato (simile all'ittero nell'uomo). (foto 45)
foto 45
Oltre all'aspetto fisico, è importante anche la frequenza con cui le deiezioni vengono emesse. La mancanza di defecazione può essere correlata a digiuno, disidratazione, costipazione, corpi estranei, ecc.
Ecologia Molecolare (1999)
Blackwell Science, Ltd
P. LENK, U. FRITZ, U. JOGER e M. WINK
Estratto
La filogenia e la filogeografia della Emys orbicularis è stata ipotizzata dalle sequenze di nucleotidi mitocondriali del gene del citocromo b analizzato dall’ordinamento del Dna e dall’analisi eteroduplex dell’RNA. All’interno della famiglia di Emydidae la classe monotipica Emys è associata ai taxa vicino-artici delle Emydoidea blandingii e Clemmys marmorata. L’analisi di 423 individui di E. orbicularis , originati interamente nella propria zona di distribuzione, ha rivelato una significativa differenziazione intraspecifica in 20 aplotipi diversi con distribuzioni geografiche distinte. L’analisi di massima parsimonia ha prodotto una filogenia a stella con sette lignaggi principali che possono rispecchiare separazioni nel tardo Pliocene. La distribuzione dell’aplotipo esaminato da test parziali di Mantel e l’analisi di variazioni molecolari hanno rivelato una significativa conseguenza delle ere glaciali. Questa prospettiva ipotizza l’esistenza di svariati rifugi glaciali e una considerevole espansione della distribuzione nell’Olocene modulata da caratteristiche climatiche. Un ulteriore sostegno è ricavato dall’avvento di parapatria a lungo termine nei rifugi glaciali.
Parole chiave: citocromo b, Emys orbicularis, DNA mitocondriale, parapatria, filogeografia, Pleistocene
Ricevuto 2 Febbraio 1999; revisione ricevuta 10 Giugno 1999; accettato 29 Giugno 1999
Introduzione
La fauna di testuggini palustri del paleoartico occidentale è composta da solo quattro specie ed è impoverita se paragonata all’Asia Orientale o al Nord America dove le famiglie Bataguridae e Emydidae sono abbastanza varie. Le Mauremys caspica, M. leprosa, e M. rivulata sono le uniche rappresentanti europee della famigliaBataguridae, mentre al contrario la Emys orbicularis è un membro delle Emydidae del Nuovo Mondo. Tra le testuggini palustri, la E. orbicularis vive in una delle più grandi aree che include zone del Nord Africa, il Mediterraneo e regioni dal clima mite dell’Europa e del Medioriente fino al Mar d’Aral. Malgrado la sua vasta distribuzione la E. orbicularis è stata considerata per decenni come una specie monotipica. Sebbene una variazione di colore fosse nota da tempo (Arnold & Burton 1978), solo di recente è stata proposta una suddivisione intraspecifica in 13 sottospecie da Fritz e collaboratori (come recensito in Fritz (1998)). Mentre la zona nordica della distribuzione è abitata esclusivamente da specie designate, la maggior parte dei taxa intraspecifici avviene nel sud: Nord Africa (una sottospecie), penisola iberica (due), Sardegna (una), Corsica (una) , Francia meridionale – Italia orientale (una), Italia meridionale (una non descritta ufficialmente), costa dell’Adriatico e dell’Egeo (una), restante Asia Minore e Georgia (tre più una non descritta ufficialmente), regione Caspica (due). Questa diversità ci incoraggiò a risolvere la fitogeografia molecolare di questa specie. L’impatto del clima freddo del Pleistocene sulla fauna e flora olartica furono sostanziali e molte specie si estinsero o persero vaste aree della loro precedente distribuzione. Rettili termofili europei erano sensibili alle basse temperature e potevano sopravvivere solo in aree ristrette e con clima favorevole nelle estremità meridionali dell’Europa e nelle zone vicine, come descritto da Reinig (1937) e De Lattin (1949). Secondo i loro punti di vista gli effettivi schemi di distribuzione di molti organismi europei dipendono in larga misura dalla posizione dei rifugi glaciali e dal percorso della ricolonizzazione post-glaciale. Malgrado modelli molecolari contribuiscano notevolmente alla comprensione dei processi biogeografici, studi esaurienti sulla fauna europea sono ancora limitati (per gli animali: Wallis & Arntzen (1989), Taberlet & Bouvet (1994), Cooper et al. (1995), Santucci et al . (1998), come riassunto in Taberlet et al. (1998)). Studi sui rettili, termo-sensibili e meno mobili di altri organismi terrestri, sono finora carenti. Tuttavia del lavoro è già stato compiuto sulla fitogeografia molecolare e la filogenia delle testuggini in altre parti del mondo (Lamb et al. 1989; Avise et al1992; Bowen et al . 1992, 1994; Allard et al . 1994; Osentoski & Lamb 1995; Walker et al . 1995, 1997; Encalada et al .1996). Questi studi hanno dimostrato i meriti del DNA mitocondriale (mtDNA) nell’analisi degli schemi filogeografici delle testuggini, malgrado stime e divergenze evolutive tendono ad essere basse se paragonate ad altri vertebrati (Avise et al . 1992; Martin & Palumbi 1993). Uno studio preliminare (Lenk et al . 1998) basato su 187 esemplari ha già identificato una struttura intraspecifica significativa nella E. orbicularis di aplotipi localizzati geograficamente. Nel seguente studio presentiamo un campione di 423 individui comprendenti la maggior parte della distribuzione della specie. La relativamente vasta e fitta scala degli esemplari permette l’uso delle analisi statistiche globali per fornire una struttura per un’analisi dettagliata della storia della specie. I metodi usati sono stati l’ordinamento del DNA e l’analisi heteroduplex dell’RNA; quest’ultima è stata precedentemente adattata per quest’uso. (Lenk & Wink 1997).
Materiali e metodi
Campionamento e tecniche di laboratorio
I campioni sono stati ottenuti da 423 esemplari di Emys orbicularis e sei specie imparentate di testuggine palustre vicino-artica (genera Clemmys, Emydoidea, e Terrapene) appartenenti alla sottofamiglia emydinae (Gaffney & Meylan 1988). Sangue e tessuti muscolari (da animali conservati sotto etanolo) sono stati prelevati e raccolti come descritto in Haskell & Pokras (1994) e Arctander (1988). Tutto il DNA genomico è stato estratto seguendo i protocolli standard di proteinase K e fenolo–cloroformio (Sambrook et al. 1989). La metodologia della reazione a catena della polimerasi (PCR) è stata usata per ingrandire un frammento contenente la sequenza target (1036 nt del gene con citocromo b e 38 nt di tRNA Thr) seguendo una procedura descritta precedentemente (Lenk et al.1998). Gli iniettori usati sono stati mt-A (Lenk & Wink 1997) combinati con CR12H (Lenk & Wink 1997) o H-15909 (5AGGGTGGAGTCTTCAGTTTTTGGTTTACAAGACCAATG-3). Prima dell’ordinamento del DNA i risultati del PCR sono stati esaminati per identificare sequenze identiche che potevano essere assegnate ad aplotipi particolari. L’analisi heteroduplex dell’RNA è stato usato con l’aiuto del Mismatch Detect II Kit (Ambion 1418) come descritto in Lenk & Wink (1997). I risultati del PCR di almeno un esemplare per località sono stati ordinati come descritto in Lenk et al . (1998) o utilizzando il kit di ordinamento del ciclo di iniettori di etichettamento fosforescente Thermo Sequenase con 7-deaza-dGTP (Amersham Life Science, RPN 2438/RPN 2538) insieme ad un elaboratore in sequenza automatizzato (Pharmacia, ALF-Express). Gli iniettori di sequenza erano mt-A, mt-B, mt-C, mt-D (Wink 1995), L-14943 (Lenk et al. 1998), L-15601 (5-CCATTCTACGCTCAATCCC-3), e H-15909. Tutte le sequenze sono state lette ed allineate manualmente. I dati della sequenza del nucleotide qui registrati compariranno nel DDBJ/EMBL/GenBank
Nucleotide Sequence Database sotto il numero di collocamento nos AJ131407–AJ131432.
Analisi Filogenetica e statistica
Il programma pacchetto mega (Kumar et al. 1993) è stato usato per valutare le distanze genetiche e calcolare le statistiche di sequenza. Ricerche di massima parsimonia e massima verosimiglianza sono state effettuate attraverso l’approccio di ricerca euristica di * 4.0 (Swofford 1998) usando l’algoritmo di scambio dell’albero di bisezione-riconnessione. Per la massima parsimonia sono state applicati i parametri di default. Le assunzioni del procedimento di massima verosimiglianza sono state specificate per permettere sei tipi di sostituzioni (Lanave et al.1994) e una variazione percentuale infra-sito con distribuzione gamma (Yang 1994) con quattro categorie (parametri di forma da valutare per il set di dati). Tutti i calcoli sono stati condotti con composizioni variabili dell’outgroup: tutte le specie vicino-artiche insieme, separate o senza l’outgroup. Delle analisi bootstrap (500 repliche) sono state svolte per esaminare la robustezza delle biforcazioni ad albero con l’algoritmo di massima parsimonia. Per avere un’idea delle tendenze filogeografiche che potrebbero aver determinato l’espansione post-glaciale, il presente modello di distribuzione è stato analizzato usando test parziali di Mantel (Mantel 1967; Thorpe 1991). La struttura parziale filogeografica con schemi previsti da diverse ipotesi, mentre simultaneamente si escludevano gli effetti disorientanti dell’intercorrelazione tra ipotesi (Thorpe et al. 1994). Primo, le identità genetiche delle località sono state rilevate per un input in un formato di matrici di distanza (basato sulle distanze patristiche di un albero senza radice di parsimonia). Sono state raggruppate località geograficamente distanti meno di 50 km. Vari modelli di distribuzione putativi sono serviti come ipotesi di verifica rappresentanti gli stadi finali di un processo di colonizzazione. Queste ricostruzioni sono state fatte assegnando ciascun lignaggio a un rifugio specifico, definendo i più probabili percorsi di colonizzazione per evitare barriere fisiche (Fig. 1) e utilizzando scenari alternativi per controllare le ricostruzioni di colonizzazione. I scenari erano: (1) l’andamento di espansione costante attraverso tutti i lignaggi e i percorsi; (2) come (1), ma allo stesso tempo i lignaggi nordici ipotizzati categoricamente superiori nell’area nord di distribuzione; il confine nord controllato temporaneamente da un fattore variabile parallelo alla latitudine geografica (3); radialmente (4); con inclinazione di 45 (5); o 45 d’inclinazione (6) rispetto alla latitudine geografica (Fig. 1). La posizione sul percorso dove due fronti s’incontrano segna il confine di distribuzione tra due gruppi campione adiacenti. Le identità teoretiche di tutte le località sono state ri-campionate secondo queste ipotesi e matrici di distanza alternative sono state calcolate come descritto sopra. Associazioni tra queste e la matrice dipendente sono state esaminate con test parziali di Mantel con 10 000 permutazioni usando un programma sviluppato da R. Thorpe. Una procedura Bonferroni (Rice 1989) sequenziale è stata applicata a tutti i valori –P, per correggere il numero di test simultanei. La struttura genetica della popolazione è stata dedotta dall’analisi della variazione molecolare (amova ; Excoffier et al. 1992) fornito nel programma pacchetto arlequin 1.0 (Schneider et al. 1997) usando entrambe le statistiche dell’aplotipo (basate solo sulle frequenze dell’aplotipo) e statistiche di sequenza (che incorporano divergenze di sequenza tra aplotipi). Il programma calcola equivalenti di statistiche-F e componenti di variazione in entrambe le modalità. Schemi spaziali ritenuti significativi nei test parziali di Mantel sono stati usati per definire gruppi campione. Sono stati esaminati componenti di variazione e valori tra gruppi campione geografici, tra le popolazioni all’interno dei gruppi campione geografici e tra le popolazioni con 10 000 repliche.
Fig. 1 Un modello per ricostruire il processo di colonizzazione post-glaciale come usato per i test parziali di Mantel. Mostra le località approssimative dei rifugi glaciali (grigio) e percorsi di colonizzazione putativi (linee in grassetto) che sono stati definiti considerando la fisiogeografia della distribuzione della specie. Il riquadro in alto a destra mostra i limiti temporanei per controllare i fronti d’espansione lungo i percorsi secondo gli scenari 3-6 (vedi testo). La modalità di spostamento è indicata dalle frecce.
Risultati
Variazione dei nucleotidi e distanze genetiche
Sono stati osservati venti aplotipi, basati sul citocromo b e sequenze di tRNA Thr tra i 423 esemplari di Emys orbicularis. Di 1074 siti allineati, 50 erano variabili con 47 transizioni e tre transversioni; 46 siti sono stati informativi dal punto di vista della parsimonia. Divergenze di sequenza (Tamura & Nei 1993) tra gli aplotipi distribuiti da 0.09% a 1.71% (Tabella 1). Quando sei specie di testuggini palustri vicino-artiche sono state incluse, 242 siti sono diventati variabili includendo 183 transizioni, 37 transversioni, e 22 posizioni con transizioni più transversioni; 132 siti sono stati informativi di parsimonia. Stime di distanza genetica (Tabella 1) si sono distribuite tra 5.79% (Clemmys Muhlenbergi e C. insculpta ) e 11.45% (C. guttata e E. orbicularis). Gli elementi leggeri avevano le seguenti composizioni di nucleotidi: A, 30.4–31.6%; C, 29.9–31.7%; G, 11.7–12.5%; e T, 25.3–26.9%. Il forte pregiudizio contro la guanina è tipico del mitocondriale ma non dei geni nucleari (e.g. Desjardins & Morais 1990). Non sono state rilevate cancellazioni, aggiunte o inversioni.
Tabella 1
Tabella di distanza genetica dei lignaggi della Emys orbicularis e di sei specie imparentate. Per la E. orbicularis sono stati selezionati gli aplotipi che sono apparsi ancestrali ai rispettivi lignaggi secondo l’albero di parsimonia. Le stime di divergenza genetica (Tamura & Nei 1993) sono presentati nella parte sotto a sinistra, il numero assoluto di sostituzioni e il numero di transizioni (tra parentesi) nella parta alta a destra. La diagonale presenta le stime di divergenza massima in un lignaggio. (Tamura & Nei 1993)
Relazioni filogenetiche
Le analisi di massima parsimonia e massima verosimiglianza hanno prodotto alberi molto concordanti. Nel clade delle Emys sette dei lignaggi principali, indicati con numeri romani, erano inequivocabilmente rilevati da entrambi i metodi. Ciascun lignaggio includeva da uno a molteplici aplotipi strettamente imparentanti, di cui la monofila era supportata da alti valori bootstrap. Tuttavia solo una debole risoluzionecladogenetica è stata ottenuta tra questi lignaggi come indicato rispettivamente o da rami interni corti o da un basso supporto bootstrap (Fig. 2). L’unica eccezione è stata il cladecomprendente i lignaggi I e II che erano stati definiti come un gruppo monofiletico. Malgrado un minor supporto da analisi bootstrap il lignaggio III tendeva a prendere una posizione basale nella E. orbicularis in tutte le ricostruzioni. Se erano soggetti all’analisi di massima parsimonia solo gli aplotipi della Emys, si produceva un unico albero senza radice di massima parsimonia di 55 scalini (Fig. 3). Esso mostrava una filogenia a stella con sei rami lunghi. Biforcazioni secondarie significative appaiono nei rami che portano ai lignaggi I e II. Tra tutti i lignaggi basali, la V mostrava la minor lunghezza del ramo. Le C. marmorata e Emydoidea blandingii si mostravano come i parenti più prossimi della E. orbicularis. Le tre specie rappresentavano un clade monofiletico ben supportato. Tuttavia la posizione della C. marmorata era in conflitto in entrambi i metodi. La massima verosimiglianza la collocava come un taxon sorella della Emys (non mostrata), mentre la massima parsimonia indicava una relazione più stretta con la E. blandingii . Altri membri della specie Clemmys e Terrapene si collocavano nei cladi basali, indicando che la Clemmys rappresenta un gruppo parafiletico e che questa specie potrebbe richiedere una revisione tassonomica. Se erano utilizzati degli outgroup variabili si otteneva lungo i rami III o IV lo stesso ordine intraspecifico ma con diverse posizioni delle radici (Fig. 3). Le C. marmorata o E. blandingii, i parenti più stretti, producevano sistematicamente alberi con il lignaggio III come ramo basale. Tuttavia tutte le posizioni delle radici erano per la maggior parte acentriche, se paragonate con la divisione basale dei lignaggi principali della E. orbicularis. Il radicamento dell’outgroup ha portato a una significativa riduzione del ramo basale che appariva innaturale (forse a causa di molteplici inversioni come indicato da indici di consistenza sorprendentemente diverse nelle Fig 2 e 3). Per questa ragione la posizione basale del lignaggio III (Fig. 2) rimane problematica malgrado sia supportata da 63% repliche bootstrap.
Fig. 2 Un filogramma di consenso della regola del 50% di maggioranza dimostrante i risultati dell’analisi di massima parsimonia se tutte le specie vicino-artiche venissero poste come un outgroup. Inizialmente vennero trovati i 21 alberi più corti con 378 scalini in lunghezza (CI: 0.72, HI: 0.28, RI = 0.74, RC: 0.53). I valori bootstrap provenienti da 500 repliche sono indicati a ciascun nodo dell’albero o gli schemi di biforcazione alla destra.
Fig. 3 Un albero di parsimonia senza radice esclusivamente di tutti gli aplotipi di Emys orbicularis. E’ stato ottenuto un unico albero di maggiore parsimonia di 55 scalini in lunghezza (CI: 0.91, HI: 0.09, RI: 0.96, RC: 0.87). Ciascun scalino tra due cerchi rappresenta una sostituzione di nucleotide. Cerchi neri e simboli indicano rispettivamente aplotipi mancanti e esistenti. Le frecce indicano le potenziali posizioni delle radici quando sono state usate specie di outgroup diversi.
La distribuzione geografica degli aplotipi
Come indicato in Fig. 4 l’estesa sequenza di polimorfismo rilevata nelle E. orbicularis era caratterizzata da molti aplotipi localizzati. Erano situati nell’Europa dell’est e in Asia minore (lignaggio I), Europa centrale e Balcanico centrale (II), Italia meridionale (III), intorno al Mar Adriatico (IV), la costa sud-occidentale del Mediterraneo (V), la penisola iberica e il nord Africa (VI) e la regione Caspica (VII). Alcuni lignaggi mostravano una suddivisione su scala più sottile: nell’albero di parsimonia (Fig. 3) l’aplotipo VIc del nord Africa appariva ancestrale rispetto all’aplotipo VIa, b, d della penisola iberica; gli aplotipi IVc e IVb della Grecia sud-occidentale erano spazialmente separati dal IVa che occupava la rimanente distribuzione del lignaggio IV: nella Germania dell’est il diffusissimo aplotipo IIa era rimpiazzato dal discendente putativo IIb; in Asia minore Ic e Id sembravano occupare la parte più centrale, mentre Ib e Ia erano limitati alla costa. Il V era il solo lignaggio che non mostrava una suddivisione geografica.
Test parziali di Mantel
Siccome le calibrature temporali avevano suggerito, sulla base di distanze genetiche, (vedi sotto) un’origine per ciascuno dei sette lignaggi, sarebbero dovuti esistere sette diversi aplotipi dopo l’ultima fase fredda almeno nei rifugi meridionali. Sulla base delle loro limitate distribuzioni cinque dei sette lignaggi potevano inequivocabilmente essere assegnati a rifugi specifici (Penisola iberica, Italia, Grecia, Asia Minore, regione Caspica). L’assegnamento per due lignaggi (II, V) rimaneva ambiguo. Perciò prima di esaminare scenari alternativi dovevano essere analizzati gli arrangiamenti glaciali dei lignaggi mitocondriali. Sono stati allora proposti ed analizzati simultaneamente sotto ciascun scenario sette potenziali arrangiamenti (tipi a–g; Table 2). E’ stata trovata una congruenza attraverso tutti gli scenari per rifiutare l’ipotesi basata sul tipo di arrangiamento (Tabella 3). L’assegnazione del lignaggio V a un rifugio italiano e del II a un rifugio Greco, come suggerito sotto l’arrangiamento del tipo a, ha prodotto l’unico modello con un’associazione rilevante al rimanente schema filogeografico. Quando le associazioni delle sei ipotesi di espansione sono state esaminate simultaneamente sotto l’arrangiamento di tipo a, tutte le ipotesi sono state rifiutate tranne una, come indicato nella tabella 3, in basso. Perciò l’unico scenario che manteneva un significato in combinazione col tipo di arrangiamento era il 4. La struttura genetica della popolazione secondo l’ipotesi 4 (vedi Fig. 4) suggerita con l’amova ha rilevato una significativa divisione geografica come evidenziato sia dalla frequenza dell’aplotipo che dalla sequenza statistica. Tuttavia sulla base della sequenza di statistica era evidente una cospicua differenziazione di popolazione come indicato sui ST e componenti di variabilità (Tabella 4). Mentre il 38.8% del totale della variazione era spiegata dalle differenze di frequenza dell’aplotipo tra gruppi, il valore comparabile era del 62.1% quando veniva considerata la divergenza di sequenza. Al contrario, la variazione tra popolazioni era più alta quando erano considerate le frequenze di aplotipo. Questo significativo cambiamento era causato da numerosi aplotipi strettamente imparentati in molti cladi che fornivano una minore differenziazione di sequenza, ma contribuivano notevolmente alla diversità dell’aplotipo. Quindi la E. orbicularis è una specie che mostra schemi di divergenza discontinui nella distribuzione geografica. Questo è probabilmente dovuto a barriere estrinseche a lungo termine al flusso genetico corrispondente alla categoria Ia di Avise et al . (1987).
Fig. 4 Distribuzione geografica di 313 aplotipi di Emys orbicularis. I numeri vicino ai simboli indicano la frequenza di aplotipi per località (simboli senza numeri rappresentano singoli esemplari), i simboli nei riquadri segnano le popolazioni polimorfiche, i cerchi tratteggiati indicano località inesatte. Linee tratteggiate segnano la divisione di distribuzione secondo l’ipotesi 4a usato per l’amova. Il riquadro in alto a sinistra indica i simboli degli aplotipi, il riquadro in alto a destra mostra la distribuzione recente della E. orbicularis. Oltre a questi 313 esemplari sono stati ottenuti dati da altri 110 provenienti da località della Spagna: Menorca (V19), Mallorca (V12, IIa8); Italia: Castel Porziano (IVa15, V5); Francia: Camargue (IIa), Lyon (IIa); Danimarca, diverse località Ia6, Ib, IId); e Germania, diverse località (Ia14, Ib, IIa10, IIIa, IIIb, IVa11, V2, VIa), ma non erano utilizzabili per analisi filogeografiche (vedi Lenk et al. (1998)) e quindi sono state escluse.
Tabella 2 Sette potenziali tipi di arrangiamento spaziale (a–g) di lignaggi mitocondriali durante l’ultima glaciazione (come mostrato in Fig. 1) come utilizzato per i test parziali di Mantel.
Tabella 3 Test parziali di associazione di Mantel per esaminare il processo di espansione post-glaciale: insignificanti probabilità di ipotesi per la regressione parziale tra la composizione genetica spaziale e ipotesi causali. Le ipotesi sono presentate da tipi diversi di arrangiamenti di lignaggi mitocondriali nei rifugi glaciali (a–g; Tabella 1) in combinazione con scenari putativi che modulano l’espansione post-glaciale (1–6, Fig. 1). Ciascun test di Mantel implica 10 000 randomizzazioni. * indica significato P < 0.05 dopo una correzione sequenziale di Bonferroni. Le sei colonne della tabella in alto presentano i risultati di sei test parziali di Mantel per esaminare l’arrangiamento di lignaggio più probabile durante l’ultima glaciazione. Potrebbero essere ottenute associazioni significative alla presente distribuzione di aplotipi in quelle ricostruzioni che sono state basate su un solo tipo di arrangiamento. La parte inferiore mostra le probabilità di scenario 1–6 basate sull’arrangiamento di tipo a. La ricostruzione basata sullo scenario 4 e l’arrangiamento di tipo a è l’unica ipotesi che mantiene un’associazione rilevante rispetto al presente schema di distribuzione degli aplotipi.
Tabella 4 Variazione mitocondriale in Emys orbicularis secondo le frequenze di aplotipo e sequenze di divergenza. Il livello di variazione genetica delle tre fonti, tra gruppi, tra popolazioni nei gruppi e nelle popolazioni sono state esaminate dall’amova. Sono indicate le componenti di variazione e le percentuali di variazione di ciascun livello gerarchico. La parte inferiore della tabella contiene gli indici di fissazione e i significati degli indici di fissazione oltre ai componenti della variazione dopo i test di permutazione.
Discussione
L’origine della Emys orbicularis
Un’analisi filogenetica di alcune testuggini del genere emydid (Bickham et al. 1996) basata su sequenze di 16S rRNA ha già rivelato che la specie monotipica Emys è un gruppo sorella delle Clemmys marmorata ed Emydoidea blandingii. Le nostre scoperte basate sui geni di citocromo b e di tRNAThr avvalorano questo studio identificando le C. marmorata e E. blandingii come i più vicini taxa rimasti alle Emys, malgrado filogeni basati morfologicamente non sono concordanti (Gaffney & Meylan 1988; Burke et al. 1996). Poiché la E. orbicularis è l’unica rappresentante nel vecchio mondo della famiglia di testuggini palustri Emydidae altrimenti rigorosamente appartenenti al nuovo mondo, è plausibile un centro di radiazione vicino-artica per questo gruppo (Fritz 1998). I resti fossili più antichi di Emys in Kazakhstan sono databili al medio Miocene (12 milioni di anni; Chkhikvadze 1989). L’incesto putativo di questa specie, tuttavia, doveva superare il Ponte di Bering molto prima, perché divenne climaticamente invalicabile circa 20 milioni di anni fa. Questa ipotesi è in gran parte d’accordo con le ipotesi basate su serpenti (Szyndlar 1991) e anfibi fossili (Maxson et al. 1975). Hutchison (1981) propose che gli antenati della Emys entrarono in Asia dai 15 ai 29 milioni di anni fa. Supponendo che le Emys, C. marmorata, e Emydoidea, si differenziarono 20 milioni di anni fa, può essere ottenuta una percentuale di sostituzione del 0.3–0.4% di divergenza di sequenza per un milione di anni. Questo valore è in accordo con altre scoperte sull’evoluzione dell’mtDNA delle testuggini (0.4% divergenza di sequenza/milioni di anni; Avise et al. 1992; Bowen et al. 1993; Lamb & Lydeard 1994). Secondo questa calibratura la divergenza che porta ai lignaggi rimanenti di Emys avvenne circa 3.0–4.1 milioni di anni fa, visto che la media della distanza genetica tra i sette lignaggi è di x¯p = 1.23%. Considerando che la E. orbicularis vive in aree del Mediterraneo e in climi miti, le condizioni tropicali dell’era del Pliocene erano sfavorevoli e impedirono un’espansione precedente attraverso l’Europa. Tuttavia si instaurò in Europa un clima più favorevole con cambiamenti di stagione più significativi 3.2 milioni di anni fa (Suc 1984). E’ possibile che questo importante cambiamento provocò una radiazione improvvisa, come dimostrato dalla filogenia a stella in Fig. 3. In effetti la divergenza di sequenza media tra i lignaggi principali (1.23%), quando calibrata contro 3.2 milioni di anni suggerirebbe una percentuale di evoluzione del 0.38% per milioni di anni che concorda con la nostra calibratura precedente.
La storia quaternaria della E. orbicularis
Durante le oscillazioni climatiche del Pleistocene la distribuzione della E. orbicularis diventò probabilmente frammentaria con isolati lungo una sottile fascia attraverso la Francia meridionale. Questa fascia è stata plasmata dai climi freddi al nord (Frenzel 1967) e da sbarramenti creati da habitat inappropriati (il mar Mediterraneo e i deserti del nord Africa) verso sud. L’Europa meridionale tuttavia è spesso composta da blocchi di montagne e insenature marine che possono contribuire a una distribuzione frammentaria e ad un isolamento genetico. La E. orbicularis rispecchia questa situazione in una massima diversità di aplotipo su un transect da Ovest ad Est che si estende attraverso l’Europa meridionale e il Medioriente (Fig. 4). Test parziali di Mantel (Tabella 3) indicano che l’Italia meridionale (V e III) e la Grecia (IV and II) servirono simultaneamente come rifugi per due lignaggi distinti. In teoria, due ragioni sono possibili: (i) i suddetti rifugi ospitavano assembramenti polimorfici e uno smistamento di lignaggio durante l’espansione avrebbe prodotto le attuali popolazioni polimorfiche; (ii) i rifugi erano suddivisi in sottorifugi allo/parapatrici che erano già costituiti da popolazioni polimorfiche. Questo è forse più probabile del mantenimento di un’unica popolazione polimorfica in rifugi glaciali. Vista l’eredità unigenitoriale dell’mtDNA, Avise et al. (1987) discussero che l’evoluzione degli aplotipi si auto-diminuisce a causa dell’eliminazione continua dei genomi mitocondriali paterni in ogni nuova generazione. E’ da aspettarsi che questa tendenza sia osservata durante i periodi di distribuzione frammentaria e di riduzione della densità di popolazione (Hewitt 1996). La vicarianza di lignaggi relativamente vecchi in Italia e in Grecia non solo conferma l’ipotesi dei rifugi (e.g. Hewitt 1996) della specie europea per sopravvivere alle glaciazioni, ma propone anche una significante estensione di queste popolazioni e una loro stabilità per lunghi lassi di tempo. Fluttuazioni nelle popolazioni causate da cambiamenti climatici aumentano il rischio di estinzioni e sostituzioni da parte di assemblaggi adiacenti e quindi avrebbero contribuito alla perdita della diversità genetica. Tuttavia questi lignaggi vicarianti in Italia e in Grecia sostengono la prospettiva di condizioni durevolmente favorevoli nelle estremità meridionali fin dal Pliocene. Barriere effettive dovrebbero rievocare tali rotture genetiche. L’Italia e la Grecia sono state frammentate da montagne ed insenature marine almeno dal Pliocene (e.g. Schröder 1986; Doutsos et al. 1987; Santucci et al.1996) agendo possibilmente come barriere al flusso genetico. Eppure corridoi costieri avrebbero potuto incoraggiare uno scambio genetico e neppure gli stretti marini rappresentano barriere assolute per le E. orbicularis come indicato da aplotipi strettamente imparentati (Fig. 4) da entrambe le parti dello Stretto di Gibilterra (3.5–3.0 milioni di anni fa; Rögl & Steininger 1983). Wright (1978) e Endler (1977) discussero che l’evoluzione poteva agire nelle specie con popolazioni semi-localizzate legate da un basso flusso genetico. Quindi ipotizziamo che l’osservata vicarianza sia stata mantenuta sotto condizioni allo/parapatriche. Il sinergismo della bassa mobilità e un ridotto scambio genetico appare abbastanza forte da evocare una distinzione genetica e prevenire l’amalgamarsi di raggruppamenti genetici.
La sovrapposizione di zone di mtDNA
I nostri dati dimostrano che è possibile un’estesa simpatria mitocondriale tra lignaggi mitocondriali adiacenti, inclusa una zona nella penisola iberica nord-orientale e una nei Balcani meridionali. In generale, l’mtDNA di testuggini palustri e di terra non rivela una zona estesa di sovrapposizione ed è di regola una solida struttura geografica (Lamb et al. 1989; Lamb & Avise 1992; Osentoski & Lamb 1995; Walker et al. 1995). Tuttavia alcuni di questi studi hanno mostrato che aplotipi strettamente imparentati possono condividere una stessa distribuzione. Nella E. orbicularis è stato osservato uno schema simile nella regione dell’Egeo dove si incontrano aplotipi Ia, Ib, IIa, e IV. La massima sovrapposizione è stata trovata tra aplotipi imparentati come Ia/Ib e IIa/Ib (Fig. 4). Lignaggi più distinti (II, V, and VI) s’incontrano in una zona di contatto secondaria nella Spagna nord-orientale (Fig. 4). IIa è originata dalla regione dell’Egeo e la V dall’Italia meridionale. Entrambi i rifugi sono abbastanza lontani dalla penisola iberica nord-orientale. Questo indica che il lignaggio iberico indigeno VI si è sviluppato in minima parte, mentre gli aplotipi alloctoni II e V sarebbero penetrati nella penisola iberica dopo aver superato i Pirenei. Non è lo scopo di questo studio paragonare le diverse zone di contatto della E. orbicularis, ma vorremmo evidenziare che questa significativa sovrapposizione è situata lontano dai putativi rifugi centrali meridionali. Forse sono derivati da estesi movimenti di distribuzione tra forme con diverse origini e storie (vedi sotto).
La via della re-immigrazione
In generale, gli schemi filogeografici sono considerati il risultato di un processo plurifattoriale, essendo piuttosto arbitrari e variabili tra le specie (Taberlet et al. 1998). Il nostro studio rappresenta un tentativo di riconoscimento delle tendenze nella filogeografia della testuggine palustre europea, applicando allo stesso tempo modelli filogeografici semplici con un numero limitato di variabili. Test parziali di Mantel ipotizzano che popolazioni al centro dell’antica distribuzione, i Balcani meridionali, siano stati favorite o nella loro potenziale d’espansione, nei loro confini di distribuzione settentrionale o in entrambi. Questo scenario implica un fattore ecologico ottimale nel centro che diminuisce nel perimetro di distribuzione. Ma quali sono i parametri causali? Supponiamo piuttosto che i rettili termo-sensibili siano stati affetti dal clima. Tranne per il gradiente di temperatura dipendente dalla latitudine, un secondo gradiente relativo alle condizioni climatiche si instaurò attraverso l’Europa durante il periodo post-glaciale (Kutzbach & Guetter 1986). Mentre il regime di temperatura annuale nell’Europa orientale mostra cambiamenti stagionali significativi, l’influenza atlantica nell’Europa occidentale ha un effetto compensatore che risulta in estati più fresche. Perciò le temperature estive nelle regioni climatiche continentali offrono condizioni termali più adatte ai rettili (Hecht 1928; Spellerberg 1976) e, di conseguenza, potrebbero aver favorito un’espansione post-glaciale. Nelle regioni più orientali, tuttavia, le condizioni favorevoli sono contrastate da climi continentali estremi come l’aumento dell’aridità. Le popolazioni balcaniche come fonte principale della ricolonizzazione dell’Europa non è l’unica caratteristica della E. orbicularis. Altri organismi come la Zootoca (Guillaume et al. 1997) o la Corthippus (Cooper et al. 1995) ovviamente condividono alcuni schemi di distribuzione e percorsi di re-immigrazione con la E. orbicularis. E’ rilevante che solo le testuggini con il lignaggio I e II che si sono differenziate più tardi rispetto agli altri lignaggi (i.e. nell’era del Pleistocene) hanno sviluppato strategie per sfruttare estati brevi ma calde. Nelle zone nordiche della distribuzione di solito depositavano un’unica grande covata all’anno (JabLo~ski & Jab~Lo~ska 1998), mentre due o più covate sono comuni nelle regioni meridionali (Bannikow 1951; Kotenko & Fedorchenko 1993; Fritz et al. 1995). La caratteristica è parallela a tratti morfologici rilevanti. Malgrado una colorazione scura o una grande massa corporea possono essere trovate in alcune sottospecie meridionali di E. orbicularis, le zone nordiche di distribuzione sono abitate esclusivamente da forme grandi e di colore scuro attribuibili alla sottospecie orbicularis (Fritz 1992).
Conclusioni
I rettili terrestri e palustri sono, a causa delle loro limitate capacità di dispersione e la dipendenza dalla temperature, indicatori sensibili per lo studio dei processi biogeografici. Le deduzioni dall’organizzazione geografica di modelli genomici contribuiscono sostanzialmente sia alla geografia storica che alla biogeografia degli organismi. Come descritto sopra, solo alcuni studi filogeografici trattano intere distribuzioni di specie in tutta l’Europa. In questo contesto la Emys orbicularis sembra essere una delle specie di vertebrate più frammentate nella regione paleoartica occidentale. Deduciamo questo da alcuni tratti caratteristici della loro storia, come la bassa competizione tra specie di testuggini palustri, relativamente basse capacità dispersive e un’alta longevità che potrebbe proteggere le popolazioni locali dall’estinzione durante disturbi a breve termine dell’habitat. Le ere glaciali hanno avuto dei notevoli impatti sulla fitogeografia della E. orbicularis, incluso un ricorrente ritiro dall’Europa centrale. Si suppone che i rifugi siano localizzati nell’Europa meridionale e nel Medioriente. Il nostro studio ha confermato che durante l’ultimo pleniglaciale la Emys era effettivamente presente in tutte le penisole meridionali europee, ma che ipotetici rifugi a nord 40N latitudine sono infondati. Quindi, non è stata trovata nessuna prova che delle regioni, ad esclusione di minuscole aree nell’estremo sud dell’Europa e nella vicina Asia, fossero climaticamente adatte per le Emys durante il pleniglaciale. L’attuale distribuzione degli aplotipi ipotizza un’espansione post-glaciale che differisce sostanzialmente dai modelli simmetrici d’immigrazione che implicano una struttura filogeografica dipendente semplicemente dalle distanze migratorie o un gradiente di temperatura da sud a nord. Invece, la E.orbicularis mostra la tendenza a una modalità di espansione centrifuga probabilmente causata da un declino di fattori ecologici nel perimetro di distribuzione. La profonda divergenza genetica tra i lignaggi mitocondriali principali indica che erano già avvenuti sorprendenti processi di speciazione. Si potrebbe discutere che almeno i lignaggi III, V e VI rappresentano specie distinte, come i dati morfologici (Fritz 1998) e molecolari corrispondono attraverso le aree di distribuzione delle sottospecie. Per risolvere questa questione tassonomica, la Emys deve essere studiata nel suo complesso usando loci nucleari con particolare enfasi sulle zone di contatto dei lignaggi identificati in questo studio.
Ringraziamenti
Questo studio è stato sostenuto da sovvenzioni da: Deutsche Forschungsgemeinschaft (Jo 134/7–1, Wi 719/181), Deutsche Gesellschaft für Herpetologie und Terrarienkunde, Naturschutzbund Deutschland, DAAD, e Boehringer Mannheim. R. Thorpe ha gentilmente fornito un programma computerizzato per i test parziali di Mantel. Siamo molto in debito con i seguenti scienziati e colleghi per aver fornito campioni e sostenuto le ricerche sul campo: T. Amann; C. Ardizzoni; H. Artner; A. Bertolero; P. Beyerlein; N. Braitmayer; H. Bringsøe; J. Buskirk; A. Capolongo; D. Capolongo; G. Damer; V. Ferri;
M. Grabert; H. J. Gruber; S. Hanka; U. Heckes; P. Heidrich; N. Jablo’nska; A. Jablo’nski; N. Jendreztke; C. Keller; B. Kemmerer; V. Keuchel; K. Klemmer; Z. Korsós; V. LaCoste; R. Mascort; W. Matzanke; J. Mayol; F. Meyer; S. Mitrus; B. Opuoba; V. F. Orlova; A. Sanchez; B. Sättele; N. Schneeweiß; A. Seidel; E. Snieshkus; E. Taskavak; S. Tripepi; C. Utzeri; M. Veith; R. Wicker; M. Zemanek; M. Zuffi. Ringraziamo Bob Wayne e due recensionisti anonimi per i loro commenti sul manoscritto.
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Questo studio fa parte del PhD di Peter Lenk dedicato alla micro-evoluzione, alla filogenia e alla genetica di conservazione della testuggine palustre europea. Ha condotto il lavoro molecolare nei laboratori di Michael Wink. Peter Lenk sta anche lavorando sulla microevoluzione di alcuni serpenti colubridi europei e la filogenia molecolare di serpenti Viperini. Uwe Fritz è Direttore Delegato e Curatore del Dipartimento di Erpetologia del Staatliches Museum für Tierkunde Dresden e ha fornito la maggior parte dei campioni. Il suo interesse particolare è la tassonomia e la variabilità dei chelonidai Paleartici e dall’Asia sud-orientale. Ulrich Joger, Curatore dei Vertebrati all’Hessian State Museum, Darmstadt, Germania insegna anche zoologia ed ecologia desertica all’Università di Darmstadt. Progetti di ricerca correnti includono la filogenia molecolare di mammiferi, rettili e anfibi, l’esplorazione erpetofaunistica di molti paesi dell’Africa e dell’Asia, l’ecologia di anfibi e rettili del deserto. E’ interessato all’applicazione di metodi molecolari alla filogenia e alla microevoluzione di molti gruppi di rettili. Michael Wink è Direttore dell’Institut für Pharmazeutische Biologie all’Università di Heidelberg. Oltre a progetti di ricerca in fitochimica e in ecologia chimica dirige un laboratorio per studiare l’evoluzione molecolare e l’ecologia di animali e piante.
Interessante articolo sulla Malattia Ossea Metabolica (M.O.M.) delle tartarughe.