Testudo hermanni ssp. hercegovinensis

Specie Terrestri

La recente descrizione di una nuova sottospecie di Testudo hermanni sembra aver riaperto quella controversa ed antica questione che fa capo al riconoscimento dello status delle diverse popolazioni che compongono questa specie, con particolare accento sulla polimorfa forma orientale (T. hermanni boettgeri). Dato il gran parlare che si è fatto attorno a questo evento, naturalmente accolto con gran piacere da tutti gli appassionati allevatori di testuggini terrestri mediterranee, sono stato invitato a raccogliere le informazioni disponibili su questo taxon e ad esprimere su di esso un'opinione.

Note: in questa trattazione utilizzeremo il termine "sottospecie orientale" come sinonimo della sola T. hermanni ssp. boettgeri 'sensu stricto' (cioè esclusa la "hercegovinensis") e "sottospecie occidentale" per T. hermanni ssp. hermanni. La nuova sottospecie verrà invece individuata dalla presenza del termine "hercegovinensis", posto in diverse e varie combinazioni con gli attributi generici ('Testudo') e specifici ('hermanni'), in caratteri corsivi o non, ciò in linea con confusione che attualmente interessa la sua collocazione tassonomica.

Col termine taxon (plurale taxa) ci si riferisce ad un esemplare di qualsiasi livello tassonomico; cioè può essere sinonimo ora di "sottospecie", ora di "specie" etc. Qui è usato quasi sempre come sinonimo di T. h. hercegovinensis.

Diversamente dalla situazione relativamente omogenea di T. hermanni hermanni, quella di T. hermanni boettgeri evidenzia una spiccata variabilità morfologica e genetica che anche l'osservatore inesperto può cogliere con facilità nella forma, nelle dimensioni e nella pigmentazione dei soggetti analizzati.

Tale variabilità sembra avere una spiegazione "storica". Essa deriverebbe infatti dalla presenza, durante l'ultima glaciazione, di molti "rifugi glaciali" distribuiti nella penisola greca, zone a clima relativamente mite all'interno delle quali le diverse popolazioni di T. hermanni orientali ebbero la possibilità di sopravvivere e di differenziarsi in condizioni di isolamento riproduttivo. Il successivo ritiro dei ghiacci
avrebbe consentito la distribuzione dei soggetti nell'intero areale oggi riconosciuto come habitat della specie (cioè nella penisola ellenica e nell'area dei Balcani), generando un certo grado di fusione dei diversi fenotipi.

Il risultato di queste dinamiche storiche è oggi una sottospecie – Testudo hermanni ssp. boettgeri - composta da forme geografiche diverse e riconoscibili, sulle quali tuttavia è assai difficile dare un giudizio definitivo. Due di queste forme geografiche in particolare hanno attirato l'attenzione dei biologi e appassionati in questi ultimi anni: T. hermanni 'hercegovinensis' e T. hermanni 'peloponnesica'. In questa scheda ci occuperemo della prima delle due.

Testudo hermanni ssp. hercegovinensis è endemica della Croazia, Bosnia-Herzegovina e Montenegro ed è stata descritta nel lontano 1899 da Werner come sottospecie di T. graeca, solo pochi anni dopo la descrizione di T. hermanni boettgeri (1889). A quest'ultima, la sottospecie croata è rimasta accorpata per molti anni fino alla sua recente rivalutazione da parte di Perälä (2001).

Questo autore propone per la verità di riconoscere a T. hermanni 'hercegovinensis' il valore di specie, piuttosto che quello di sottospecie. Tuttavia, questa scelta non sembra essere confinata a questo taxon, quanto piuttosto rientrare in una più generale discussione "accademica" fra tassonomi, alcuni dei quali sembrano risoluti ad eliminare dal Sistema di Classificazione Internazionale il livello di sottospecie. Personalmente, devo ammettere di non riuscire a cogliere il senso di questa operazione. Forse alcuni di coloro che vorrebbero veder modificata la tradizionale denominazione in un'improbabile "Testudo hermanni, Testudo boettgeri e Testudo hercegovinensis", sono spinti dalla convinzione di potere, in questo modo, eliminare alla radice i molti problemi nella classificazione degli organismi viventi; problemi che in realtà, come qualsiasi biologo ha ben presente, dipendono non tanto dall'uso dei nomi o delle categorie tassonomiche, ma piuttosto emergono inevitabilmente quando si considerano le specie nella loro reale natura di "entità" transitorie ed in continua evoluzione, piuttosto che come qualcosa di fisso e facilmente delimitabile.

In questa breve presentazione di Testudo hermanni 'hercegovinensis' tratteremo quindi questo taxon in modo tradizionale, cioè come sottospecie, perché ci sembra il caso di evidenziare gli stretti rapporti che la legano con T. hermanni ssp. boettgeri e con T. hermanni in generale.

CRITERI MORFOLOGICI E COMPORTAMENTALI DI RICONOSCIMENTO
Oltre che in base all'areale di distribuzione, la nuova sottospecie può essere riconosciuta da T. h. boettgeri anche per alcuni caratteri morfologici e comportamentali.
1. In primo luogo, T. h. hercegovinensis appare generalmente di dimensioni più contenute, non superando i 148 mm per i maschi e i 190 mm per le femmine (dimensioni massime). Mediamente, tuttavia, i maschi sono attorno ai 126-135 mm per un peso di 600-830 grammi, mentre le femmine attorno a 140- 150 mm per un peso di 990-1080 grammi.
2. La colorazione del piastrone è generalmente più scura di quella che siamo abituati ad osservare in T. hermanni boettgeri e può, in alcuni casi, consistere in due bande scure quasi continue ai lati dello stesso. Ciò la avvicina maggiormente, da un punto di vista morfologico, alla sottospecie occidentale, T. hermanni hermanni.
3. Il rapporto fra suture è sicuramente più vicino a quello tipico della sottospecie orientale. Anche se non esistono dati ricavati da un campione sufficientemente esteso da poter trarre delle conclusioni certe, pare che dall'analisi degli emplari originali depositati da Werner si possa dedurre un rapporto fra sutura pettorale e sutura femorale prossima a 1, (per esempio, 67 mm su 66 mm). Questo rapporto non è in contrasto con lo standard riconosciuto in T. h. boettgeri. Infatti, nel 1968 Stemmler individuò in un valore attorno a 0,85 il rapporto fra sutura pettorale e sutura femorale nella sottospecie orientale (contro 1,8 per quella occidentale).
4. Il carattere tuttavia che dovrebbe essere maggiormente indicativo sell'appartenenza di un esemplare alla sottospecie 'hercegovinensis' è l'assenza delle scaglie inguinali (osservabili, quando sono presenti, nell'incavo del carapace nel quale vengono ritirate le zampe posteriori). Va messo subito in chiaro che, pur trattandosi di un carattere importante, non è per nulla determinante preso da solo, ma che al contrario deve essere ponderato e valutato in modo critico assieme a tutti gli altri caratteri. Infatti, è possibile che in un'esemplare possa essere presente anche una sola scaglia inguinale, dal lato destro o da quello sinistro, e ciò non pregiudicherebbe, secondo gli autori tedeschi, la corretta attribuzione alla sottospecie 'hercegovinensis'. Questo carattere è stato oggetto di discussioni e non viene accettato da tutti. Pare infatti che la mancanza della scaglia inguinale – o delle scaglie inguinali - possa escludere che si tratti di una 'boettgeri', mentre la presenza delle stesse (entrambe o solo una) non sarebbe motivo sufficiente per ascrivere l'esemplare a questa stessa sottospecie ed escludere che si tratti di una 'hercegovinensis'.
5. Il settimo scuto marginale, osservato ventralmente, tende ad avvicinarsi meno con la propria estremità inferiore all'incavo nel quale vengono ritirate le zampe posteriori.
6. Osservazioni in condizioni di cattività hanno messo in luce delle differenze anche nel comportamento riproduttivo. T. hermanni hercegovinensis depone quasi sempre una sola volta in una stagione: 3, massimo 5 uova per covata. T. hermanni boettgeri depone invece anche 3 volte durante l'estate e il numero di uova per covata supera quasi sempre il numero di 5.

Una descrizione di questo genere, che si basa su differenze che possono sserci come non esserci affatto, può lasciare disorientato l'appassionato che desideri trovare una collocazione – un "nome scientifico" – al proprio animale. E' chiaro che quanti più caratteri vengono presi in considerazione tanto più affidabile risulterà la conclusione, specie se tutti o la maggior parte dei caratteri saranno "
concordi" nel comprendere o non comprendere l'esemplare in quella data specie (o sottospecie).

Tuttavia va detto sin da subito che il desiderio di basare il riconoscimento "certo" del proprio esemplare sulle sole caratteristiche morfologiche si scontra con uno scoglio insormontabile anche dalla più dettagliata descrizione: con il fatto cioè che la classificazione in biologia NON si basa SOLO sulla morfologia, né l'aspetto fenotipico (morfologico e comportamentale) ne è il fattore più importante.

Il riconoscimento di una nuova specie, o sottospecie, necessita innanzitutto di una valutazione della portata dell'isolamento riproduttivo, occorre cioè capire se esiste una reale discontinuità riproduttiva fra due popolazioni o se piuttosto vi è un passaggio graduale da una all'altra; in quest'ultimo caso le cose si farebbero assai più complicate, giacché sorgerebbe il problema di dove porre il confine: chi decide " da qua in poi abbiamo la sottospecie X"?. Se non v'è un qualche grado di discontinuità fra due popolazioni, a livello morfologico o riproduttivo, possono cadere i presupposti per riconoscerle come specie o sottospecie separate.

Sarebbe poi una cosa molto positiva disporre di dati molecolari (analisi delle sequenze del DNA) da poter confrontare con quelli morfologici, considerato che non sempre questi due "livelli" portano a conclusioni identiche. Purtroppo, al momento queste informazioni di importanza chiave non sono disponibili, almeno a quanto ne so. Ci dobbiamo quindi aspettare, nel futuro più prossimo, un'inevitabile oscillazione dei pareri degli esperti, con un'alternanza fra posizioni estremiste ("si tratta di una nuova specie!"; "è semplicemente una 'boettgeri'!") e posizioni più moderate ("forse è una nuova sottospecie"), condita di quel generale disorientamento che sempre
accompagna eventi di questo genere (cioè nuove "descrizioni"), fino all'affermazione (quasi) definitiva di uno dei punti di vista, generalmente in concomitanza con l'emergere di nuove "prove" a favore di una delle tesi in competizione.

All'atto pratico del riconoscimento di un esemplare va rivelato che, soprattutto quando la discontinuità morfologica fra le due sottospecie o specie "candidate" è molto bassa, occorre basarsi su altri fattori, e fra questi il più "risolutivo" è sicuramente la provenienza dell'esemplare.

E' chiaro che per distinguere un ippopotamo da un cammello - due specie fortemente discontinue perché separate da migliaia di anni di evoluzione - ci possiamo basare anche solo sull'aspetto dei due animali, con un margine di errore praticamente nullo, tuttavia quando si tratta di riconoscere due varietà locali in seno ad una stessa specie, o due specie molto simili, occorre davvero fare uno sforzo in più.

Perché risulta così difficile riconoscere due sottospecie su base morfologica e qual è l'origine delle tante opinioni diverse attorno alla possibilità di riconoscere i nuovi taxa come specie piuttosto che come sottospecie?

Per rispondere a questa domanda è necessaria una breve digressione che consenta di inquadrare il problema in un tema di portata più generale.

Le difficoltà intrinseche alla classificazione dei viventi cui i sistematici hanno quotidianamente a che fare e che sono alla base di molti degli scontri fra "scuole" diverse, dipendono essenzialmente dalla difficoltà che si incontra a dover porre delle delimitazioni nette ad un processo - come quello che porta alla formazione di nuove specie - che, osservato nella sua estensione temporale, appare continuo.
Come si è già messo in evidenza, quella che ora è solo una sottospecie, domani potrebbe diventare una Specie (se il processo di differenziamento andrà avanti); ieri, invece, era solo una popolazione indistinguibile dalle altre popolazioni della medesima specie. Una sottospecie rappresenta, in altre parole, una delle tappe intermedie di quel processo di differenziamento che, partendo da semplici varianti locali di una specie antenata comune, culmina con la formazione di una o più specie del tutto nuove, come effetto dell'accumulo di differenze in condizioni di isolamento riproduttivo. Un processo di questo tipo è detto "di speciazione" e porta alla "gemmazione" di nuove specie da specie preesistenti.

Mi permetto, col solo scopo di facilitare la comprensione del problema, di fare un paragone con il fenomeno della metamorfosi degli anfibi anuri (processo col quale il nostro condivide le problematiche ma non la natura). Mentre ci è facilissimo distinguere un girino da una rana completamente formata, ci risulta molto più difficile riconoscere uno qualsiasi degli stadi intermedi fra il girino e la rana e quasi impossibile dare loro una collocazione "sistematica".

In questo senso, chi si accinge a classificare i viventi assomiglia ad un ragazzino che, a caccia di anfibi in uno stagno, desideri trovare il sistema più ragionevole per classificare i vari stadi di metamorfosi che riesce ad incontrare, suddividendoli "per categorie" in contenitori diversi.

Le difficoltà che si incontrano nel definire i rapporti reciproci fra diverse sottospecie (per es., quelli di T. h. hermanni con T. h. boettgeri) che, come abbiamo visto, rappresentano stadi intermedi di differenziazione verso future specie, diventano allora perfettamente comprensibili, anzi "naturali": quanti contenitori dovrà adoperare il ragazzino? Solo due (girino / rana; gli stadi intermedi verranno ripartiti
fra queste due categorie) o molte decine (un contenitore per ogni variante)?

Allo stesso tempo, vediamo come il problema del riconoscimento di un taxon come Sottospecie o come Specie perda molta della sua importanza, e forse anche un po' della sua serietà, quando viene paragonato al seguente paradosso (Noto come "Il paradosso di Anfibio", originariamente formulato da J. Cargile): disponendo di qualche centinaio di fotogrammi della metamorfosi di un anfibio, è possibile individuare il momento esatto (cioè l'esatto fotogramma) in cui uno stadio intermedio diventa finalmente "Rana"? Ovviamente no, perché si tratta di un processo continuo!

In un processo, come quello della speciazione, che si estende nel tempo per milioni di anni, un fotogramma può essere ragionevolmente compreso nel "breve" intervallo di un centinaio d'anni. I biologi, nel loro studio sistematico degli esseri viventi, stanno quindi osservando un fotogramma di quel processo – continuo – che porta alla trasformazione delle sottospecie in specie.

IN CONCLUSIONE
1. Lo status del nuovo taxon descritto è ancora abbastanza dubbio ma sussistono delle evidenze che fanno propendere per riconoscerlo come sottospecie di Testudo hermanni filogeneticamente vicina a T. h. boettgeri;
2. I caratteri morfologici che la differenziano da T. hermanni hermanni e da T. hermanni boettgeri devono essere valutati nel loro insieme, dato che la presenza o l'assenza di uno solo di essi non può costituire una discriminante valida. E' questo il motivo per cui, molto spesso, solamente chi ha un'ampia familiarità con la specie (cioè solo chi ha visto decine e decine di esemplari di provenienza certa) ha pure la competenza per valutare nel modo più corretto la situazione;
3. Il riconoscimento su base morfologica non dà comunque la garanzia che un esemplare sia realmente una 'hercegovinensis', ma solo una certa probabilità;
4. Solamente conoscendo il luogo di origine di un esemplare raccolto in natura è possibile raggiungere la certezza su "che cosa sia".

Autore: Gionata Stancher
 
Pubblicato in Tartarughe terrestri
Sabato, 26 Aprile 2014 14:21

Testudo ibera - tassonomia

Testudo ibera - tassonomia

Specie Terrestri

Testudo ibera venne descritta da Pallas nel 1814. L'epiteto "ibera" si riferisce alla sua provenienza geografica, la regione caucasica: l'Iberia, infatti, corrispondeva nell'antichità alla regione caucasica, non alla Penisola Iberica dei giorni nostri. L'interpretazione tassonomica di questa tartaruga, e di tutte quelle appartenenti al gruppo di T. graeca, subì numerose modifiche nel corso del tempo, e soprattutto negli ultimi anni. Tutto iniziò nel 1946, quando Mertens riunì le varie testuggini del mediterraneo orientale e dell'Asia minore che erano state descritte fino ad allora e contraddistinte dalla presenza di uno sperone alle zampe posteriori, in una sola specie, T. graeca, differenziando alcune forme a livello sottospecifico. Testudo graeca L. è la testuggine dell'Africa occidentale, che con la sua forma tipica, T. graeca graeca, è presente in Algeria nordoccidentale e Marocco nordorientale. La nostra tartaruga divenne quindi Testudo graeca ssp. ibera e con questo nome essa fu da allora comunemente diffusa e riconosciuta tra allevatori ed amatori. Generalmente, anzi, vennero indicati con questo nome non solo gli esemplari provenienti dal Caucaso, ma anche – e più comunemente, vista la maggiore facilità di accesso agli ambienti naturali – quelli dell'Anatolia.

Nel corso degli ultimi due decenni le metodologie di indagine tassonomica e, di conseguenza, le classificazioni proposte hanno subito una vera rivoluzione. Ciò dipende sia da un differente approccio concettuale, in quanto si tende a prediligere una classificazione strettamente filogenetica, che rappresenti con precisione i rapporti di parentela tra le varie forme, sia dall'utilizzo di metodiche fondate non soltanto sull'analisi delle variazioni morfologiche ma su studi di biologia molecolare, basati su caratteri genetici. Le nostre tartarughe non sono certo esenti da queste nuove indagini, ed è così che le interpretazioni delle varie specie e sottospecie del genere Testudo hanno subito una nutrita serie di cambiamenti. E certamente l'ultima parola non è stata ancora detta!

Come abbiamo accennato sopra, per una quarantina di anni le impostazioni di Mertens e successivamente di Wermuth & Mertens (1961) furono ampiamente accettate da tutti gli studiosi e allevatori di testuggini: si riconosceva quindi una sola specie, T. graeca, composta da un certo numero di sottospecie: T. g. graeca Linnaeus 1758, T. g. ibera Pallas 1814, T. g. terrestris Forsskål 1775, T. g. zarudnyi Nikolsky 1896, eccetera.

Fu Highfield (1990) a sostenere che le forme dell'Asia minore erano troppo differenti rispetto a quelle nordafricane per mantenere questa classificazione. L'autore propose quindi di separare T. ibera e gli altri due taxa medio orientali T. terrestris e T. zarudnyi rispetto a T. graeca. Gli argomenti portati a sostegno di questa classificazione sono assolutamente fondati e difficilmente contestabili, e sottolineano come le tre specie medio orientali siano imparentate tra loro e molto ben distinte dalle popolazioni nordafricane riferite a T. graeca. Nel concetto di questo autore T. ibera è il nome attribuito alle popolazioni di Grecia, Turchia e regione caucasica.

Da questo momento le variazioni nomenclaturali e tassonomiche si susseguono senza sosta, spesso accompagnate da descrizioni di nuove specie. E' inutile, in questa sede, ricordare tutti i lavori comparsi, e ci limitiamo a citare la revisione delle popolazioni appartenenti al gruppo di T. graeca proposta in un convegno tenutosi nel 2001 e pubblicato sulla rivista Chelonii (Chelonii, 3. Proceedings of the international congress on Testudo genus. March 7-10, 2001), in cui contributi ad opera di specialisti del genere Testudo riesaminano tassonomia e nomenclatura di tutte le numerose forme appartenenti al variabilissimo gruppo. Ciascun autore prende in esame una determinata zona geografica, cosicché, grazie agli studi dettagliatissimi degli esemplari in natura e di quelli conservati nei Musei, basati su una attenta disamina morfologica e su nutrita serie di misurazioni, probabilmente mai effettuata prima, si ridiscute l'inquadramento che deve essere attribuito alle varie forme, fornendone il nome corretto anche dal punto di vista nomenclaturale. Molto
interessate, in questo ambito, è uno studio filogenetico condotto da Perälä (2001), che evidenzia i rapporti di parentela tra le varie forme. Secondo questo approccio, il gruppo di T. graeca deve essere scomposto in numerose singole specie. Varie popolazioni dell'Asia minore sono così escluse da T. ibera, per essere inquadrate in specie a sé, a distribuzione solitamente abbastanza ristretta. Il nome di Testudo ibera verrebbe ad essere assegnato unicamente alle popolazioni del Caucaso meridionale (Georgia: Tbilisi e Azerbaijan), che comprendono la località da cui provenivano gli esemplari su cui fu basata la descrizione di ibera da Pallas. Non tutti gli autori paiono concordi: ad esempio, secondo un approccio più "classico" sarebbero riferibili a T. ibera anche le tartarughe presenti in buona parte dell'Anatolia, con eccezione di alcune zone marginali in cui sono presenti taxa distinti e localizzati (Pieh & al., 2001, fig. 1); al contrario, Vetter (2002) asserisce che gli animali anatolici non apparterrebbero a T. ibera, ma bensì ad alcune specie distinte non ancora descritte.

Come si vede, le nuove interpretazioni restano ampiamente discusse tra gli studiosi, in quanto alcuni autori prediligono un approccio che dà molto valore alle piccole differenze e considera pertanto ciascuna popolazione sufficientemente isolata geograficamente e/o geneticamente alla stregua di una specie a sé stante, mantenendo uno strettissimo rigore nell'applicazione di concetti teorici di classificazione. A questi concetti si contrappongono altri autori che danno interpretazioni se vogliamo più "tradizionali", mantenendo concetti più ampi ed inserendo le varie popolazioni in una sola specie, dai confini morfologici molto ampi, composta da un certo numero di sottospecie. In un caso avremo quindi molte "microspecie", appartenenti al "gruppo graeca", nel secondo caso invece avremo la sola Testudo graeca, con numerose sottospecie. Su questa linea si pone il citato lavoro di Pieh & al. (2001) che preferisce continuare a mantenere l'uso dell'inquadramento sottospecifico all'interno di T. graeca per la maggior parte delle popolazioni.

Fondamentalmente, i due sistemi sono in parte equivalenti, varia soltanto la dimensione della categoria "specie", più piccola, e forse più precisa nella descrizione delle parentele filogenetiche tra le varie entità, secondo i seguaci del metodo filogenetico di Perälä, oppure più grande e comprendente tutte le forme derivate dagli antenati comuni per chi predilige un approccio più tradizionale.
In realtà, pare senz'altro preferibile che T. ibera sia considerata specie a sé, e non sia più definita come sottospecie di T. graeca; troppi sono infatti i caratteri differenziali tra T. graeca e T. ibera. Differente è il discorso relativo a tutte le forme che si individuano nell'ampio areale colonizzato dal complesso di T. ibera, ciascuno dei quali può essere interpretato come specie a sé oppure inserito entro T. ibera. Sulla base dei dati ottenuti dall'analisi filogenetica, proposta da Perälä (2001), T. ibera parrebbe essere alla base, in un tentativo di ricostruzione delle linee evolutive del genere, di tutto il gruppo di specie del gruppo di T. graeca; si separerebbero poi due gruppi, uno comprendente le specie nord-africane, tra le quali la vera T. graeca ed uno comprendente quelle del mediterraneo orientale, Anatolia e Medio Oriente; la specie più evoluta di questo gruppo sarebbe T. marginata.

C'è ancora da aggiungere, al di là delle classificazioni, che la maggior parte degli animali che alleviamo sono di provenienza sconosciuta, e che molto spesso quelle nate in allevamento derivano da incroci tra genitori di origine geografica conosciuta, spesso differente, e non corrispondono quindi più alle popolazioni naturali. Risulta quindi molto complesso, praticamente impossibile, riferire ad una delle microspecie" recentemente descritte i nostri esemplari. Per tale motivo, potremo "permetterci" di utilizzare le nuove interpretazioni tassonomiche per dare un nome a qualche esemplare che possiamo incontrare nel corso di un viaggio nelle regioni di origine delle tartarughe, mentre è consigliabile limitasi a definire come T. ibera gli esemplari riferibili alle forme dell'Anatolia e vicino oriente che alleviamo se non siamo in grado di stabilire il loro "pedigree".

In considerazione del fatto che molte popolazioni sono più o meno fortemente minacciate in natura, e che i progetti di riproduzione in cattività hanno fondamentale importanza per la salvaguardia delle popolazioni in pericolo, quando conosciamo la zona di origine degli esemplari sarebbe sempre opportuno evitare accoppiamenti tra esemplari di distinta origine, in modo da mantenere l'identità genetica dei singoli taxa, siano essi interpretati come sottospecie geografiche o specie a sé stanti.

Bibliografia
Highfield A. C. 1990. Tortoises of North Africa: taxonomy, nomenclature, phylogeny and evolution, with notes on field studies in Tunisia. Journal of Chelonian Herpethology 1 (2): 1-56.

Mertens R. 1946. Über einige mediterrane Schildkröten-Rassen. Senckenbergiana 27 (1): 111-118.

Perälä J. 2001. Mophological variation among middle eastern Testudo graeca L., 1758 (sensu lato), with a focus on taxonomy. Chelonii, 3: 78-93.

Pieh A., Taskavak E. & Reimann M. 2001. Remarks on the variability of the spur-thighed tortoise (Testudo graeca) in Turkey. Chelonii, 3: 67-69.

Vetter H. 2002. Terralog: Turtles of the World. Vol. 1. Africa, Europe and Western Asia. Chimaira, Frankfurt am Main. 96 pp.

Wermuth H. & Mertens R. 1961. Schildkröten, Crocodylia, Rhynchocephalia – Das Tierreich. Berlin, 100: i-xxvii + 174 pp.

Autore: Massimo Meregalli
 
Pubblicato in Tartarughe terrestri

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