(Foto 1)
E’ recente la scoperta che l’origine delle tartarughe è stata riconosciuta all’Eunotosaurus africanus che visse circa 260 milioni di anni fa.
Tuttavia il più vecchio fossile di una tartaruga (marina) ha circa 220 milioni di anni, la Odontochelys semitestacea (foto 2)
(Foto 2)
e il primo di tartaruga terrestre, Proganochelys è classificato sui 210 milioni di anni (foto 3).
(Foto 3)
Al momento sembra che le prime tartarughe fossero marine e successivamente dagli oceani iniziarono a diffondersi sulla terra ferma fino a conquistare quasi tutti i continenti (ad eccezione delle zone artiche). Le tartarughe rimaste a popolare gli oceani sono attualmente classificate come 7 specie, quelle palustri circa 120, le acquatiche circa 272 e circa 80 terrestri (incluse le sottospecie; il numero è in continua evoluzione in quanto il pur recente avvento del DNA sta modificando velocemente ogni elenco).
Un perfetto adattamento:
In questo articolo prenderemo in considerazione soprattutto il letargo nelle specie terrestri, che si sono adattate perfettamente ad ogni clima, mettendo in atto strategie indispensabili per la loro sopravvivenza, con particolare riferimento alle specie Mediterranee (Testudo hermanni, Testudo graeca ibera e Testudo marginata); questo per dire che se questi magnifici rettili, dopo 210 milioni di anni sono sopravvissuti sino ai nostri tempi (anche se l’azione dell’uomo degli ultimi decenni le sta mettendo veramente in crisi), sono da tenere in forte considerazione i metodi utilizzati in natura per “combattere” i periodi “ostili” come i freddi inverni o le calde estati (soprattutto nelle zone equatoriali).
Il letargo è una strategia per proteggersi dal freddo, mentre l’estivazione è una strategia per proteggersi dai periodi troppo caldi per cui specialmente a sud o isole, le tartarughe si rifugiano o sotterrano (soprattutto quelle in zone costiere dove i terreni sono sabbiosi) per attendere temperature più miti; spesso però poi escono alle prime ore del giorno o tardo pomeriggio per crogiolarsi ai gradevoli raggi solari. In genere in questi periodi non si alimentano o se lo fanno mangiano solo piccole quantità di cibo. Estivarsi è un modo anche per cercare un po’ di umidità che è importantissima per il loro ciclo vitale.
Le tartarughe, essendo degli animali eterotermi (la temperatura interna dipende da quella ambientale), ed avendo organi che lavorano correttamente solo ad un determinato range di temperature, quando le temperature scendono, sono costrette a mettere in atto un sistema di protezione che non è altro che la diminuzione del metabolismo e quindi rallentamento di tutte le funzioni compreso il battito cardiaco che può arrivare anche a 4 battiti al minuto. L’abbassamento del metabolismo crea però difficoltà a reagire ai batteri, a micosi e virus, per cui potrebbe capitare che al risveglio ci siano patologie, specialmente respiratorie, soprattutto per gli esemplari che sono entrati in letargo non in perfette condizioni.
Viene considerato letargo se fatto in luoghi con temperature entro i 3 e 10 °C. Quando le temperature sono superiori ai 10°C le tartarughe consumano energie senza reintegrarle e nei casi di elevate temperature rischiano seriamente, mentre se le temperature scendono sotto i 2-3°C il rischio è che il sangue cristallizzi/congeli e porti a nefaste conseguenze.
Letargo assolutamente da far fare!
Le strampalate teorie di evitare di far fare il letargo alle tartarughe specialmente nei primi anni di vita, sono assolutamente da non considerare! L’unico motivo per non far fare il letargo alle tartarughe è in caso di malattie o forte debilitazione; in questo caso si dovrà preparare un terrario con temperature diurne di almeno 25-26 °C e notturne non inferiori a 18-19°C, con una lampada riscaldante e ad emissioni di raggi UVB da posizionare in un lato e un substrato da tenere leggermente umido. Le tartarughe che svernano in un terrario possono crescere fino 3-4 volte in più, rispetto un esemplare in natura, con conseguenti problemi a diversi organi come fegato, reni e un errato sviluppo della struttura ossea, un po’ come i bambini che crescono troppo in fretta e hanno problemi ai legamenti e alle ossa. Inoltre l’aspettativa di vita si accorcerà.
Sicuramente più pericoloso di un letargo sono le ansie dei proprietari che pensano che le tartarughe abbiano troppo freddo e muoiano, mentre è vero il contrario, cioè se non lo fanno sono molto più a rischio di morte. Preparare un letargo è molto più facile di preparare un terrario ben funzionante e sovente sono molte di più le tartarughe che muoiono in casa rispetto a quelle in giardino.
Il modo di fare il letargo cambia in base al clima e quindi un letargo a nord è molto diverso di quello al sud; a sud e isole in genere in natura le tartarughe si ritirano sotto un rovo o cespuglio possibilmente con foglie secche e umide, senza scavare, o in cattività si sotterrano parzialmente (foto 4)
(Foto 4)
mentre nelle regioni più a nord dove in passato erano presenti fino alla valle Padana le Testudo hermanni boettgeri diffusesi dai Balcani, per proteggersi dai forti freddi si sotterravano in modo che il calore proveniente dal sottosuolo le proteggeva e nello stesso tempo la terra umida garantiva la migliore condizione possibile. Quindi per le tartarughe in cattività che sono a nord occorrerà osservare più attenzione nel preparare il luogo per il letargo (descrizione dettagliata più avanti). Le Testudo horfieldii o Agrionemys horsfieldii, che hanno un areale molto ampio che va dalla Russia sudorientale fino al all’Iran, Pakistan, Afghanistan e Cina occidentale, ormai diffuse nei tanti negozi di animali, sono abituate ad un lunghissimo letargo che in alcuni casi può arrivare anche fino a 8-9 mesi e si proteggono dal fortissimo gelo scavando a profondità incredibili (sembra che possano arrivare anche a 3 metri di profondità). Ovviamente poi una volta uscite dal letargo devono eseguire tutto il ciclo vitale molto in fretta. Il letargo preparato ai nostri climi che sono troppo umidi per loro, deve essere organizzato cercando di preparare un terreno poco umido e ben drenante.
E’ sempre il clima che condiziona la durata del letargo in base alla temperatura. Il letargo essendo un metodo di protezione per il freddo, se le temperature esterne sono miti, le tartarughe non hanno bisogno di proteggersi e ad esempio a sud o isole non essendo sotterrate o coperte, sentono subito un rialzo di temperatura ed escono a riscaldarsi ai primi raggi di sole, per cui il letargo inizia solitamente nel tardo autunno, spesso a fine novembre e finisce già a fine febbraio, e negli inverni particolarmente caldi il letargo si riduce veramente a pochi giorni. A nord ovviamente il periodo è molto più lungo e in genere le tartarughe iniziano ad ottobre o addirittura in settembre nelle zone più fredde e fuoriescono in marzo o ad inizio aprile.
E’ consigliabile osservare bene le nostre tartarughe prima del letargo, specialmente 1 o 2 mesi prima non sarebbe male effettuare un esame delle feci per verificare che i livelli dei parassiti non siano troppo elevati; in questo modo abbiamo il tempo di eseguire le cure adeguate con relativo richiamo dopo 15-20 giorni. Gli esemplari che sembrano dimagriti e poco pesanti è bene che siano visitati da un veterinario esperto in rettili. Ovvio che gli esemplari debilitati o ammalati dovranno evitare di fare il letargo che potrebbe aggravare il loro stato.
3-4 settimane prima del letargo, iniziano a prepararsi al letargo in base alle prime diminuzioni di temperatura, in modo che si possa liberare l’alveo intestinale da tutto il cibo che se non eliminato rischia di fermentare con conseguente setticemia che porterà a morte certa. Per cui per le tartarughe in cattività, si consiglia fin dai primi di settembre di lasciare a disposizione solo poche erbe selvatiche o addirittura nulla; in questo periodo è più importante che siano sempre ben idratate, quindi meglio se c’è acqua a disposizione, anche se in genere si idratano da sole con le piogge e le umidità crescenti. Qui però ci sono diversi allevatori che sono dell’idea di seguire sempre di più il ritmo naturale, per cui mai acqua a disposizione (anche se credo sia corretto solo nei casi che si disponga di ampi spazi a disposizione, mentre nei piccoli recinti il ciclo naturale è più complicato). Quindi trascorreranno le ore più calde e assolate riscaldandosi al sole (foto 5) per poi ritirarsi nei loro rifugi preferiti.
(Foto 5)
La scelta del luogo è importante per evitare sgradevoli sorprese. In natura o in un ampio giardino una tartaruga preferirà rifugiarsi sotto una siepe o un rovo dove sovente ci sono anche molte foglie umide (come già descritto solo nelle zone molto fredde scaveranno per sotterrarsi). Se invece la tartaruga non ha grandi spazi a disposizione, dovrete essere voi a sceglierlo e la prima regola è quella di cercare un punto non alluvionabile, cioè che anche in casi di forti piogge, l’acqua scorra via velocemente.
Ormai sono sempre più numerosi gli esperti allevatori che preparano la zona semplicemente mettendo grossi cumuli di paglia (foto 6 e 7 al centro Italia e foto 8 e 9 in Sicilia), dove la pioggia penetra e crea una giusta umidità.
(Foto 6)
(Foto 7)
(Foto 8)
(Foto 9)
Questo sistema è ottimo soprattutto per gli esemplari adulti o sub-adulti di tartarughe che non scavano come le Testudo marginata o molte Testudo hermanni hermanni. Le classiche casine, che proteggono dalla pioggia, sono proprio da evitare a meno che non si tratti di Testudo horsfieldii che vogliono ambiente secco. Il terreno, in genere un mix morbido di terriccio e terra, meglio se è sollevato di 4-5cm dal livello del suolo attorno al cumolo. Se col tempo si è compattato troppo, è consigliabile smuoverlo almeno per 20cm.
Ho costruito una bella casina….
Le casine di legno, per quanto molto belle da vedere sono sconsigliabili per le tartarughe(a parte Testudo horsfieldii che soffre l’umidità), non fanno filtrare la pioggia che è uno dei più importanti elementi naturali per loro. Se si dispone di un ampio giardino con rovi e siepi a disposizione e provate ad inserire una casina in legno, raramente sceglieranno la casina in legno proprio per testimoniare quanto siano inadatte per le tartarughe; in genere sono “adatte” solo agli occhi degli umani. Per chi ha la fortuna di avere a disposizione un grande giardino con siepi e rovi, una volta che vedete dove la vostra amica ha scelto il punto per passare il letargo, all’arrivo delle prime brinate, ricopritela bene con tante foglie o paglia (sarà un’ottima coperta). Evitate sempre coperture con prodotti di plastica o ancora peggio teli di plastica.
Devo coprire la mia tartaruga durante il letargo?
Nelle zone a clima freddo, cioè dove può scendere sotto ai 2-3°C, il consiglio è di ricoprire le tartarughe solo quando arrivano le prime brinate perché alcune “pigre” non si sotterrano a sufficienza; ad esempio le specie che provengono da climi più miti come le Testudo marginata e le Testudo hermanni hermanni solitamente non scavano (o poco) e sono anche più sensibili alle variazioni termiche e durante l’inverno può capitare che anche in gennaio ci sia una settimana con le temperature sopra alle medie stagionali e il rischio è che escano di giorno per godersi un po’ di sole, per poi rientrare nel primo pomeriggio ma scendendo troppo rapidamente la temperatura, si bloccano e non si proteggono bene non avendo il tempo di ritornare almeno nella precedente posizione, con pericolose conseguenze. Se escono fuori dai rifugi in inverno (foto 10)
(Foto 10)
è consigliabile far finire il letargo a questi esemplari e metterli in ambienti a temperatura gradualmente più elevata fino a inserirli in un terrario adeguatamente sistemato con temperature ottimali per alimentarle ed una lampada a raggi UV-B riscaldante, come le lampade agli ioduri di mercurio. In genere se le tartarughe sono ben protette con un grosso spessore termico, sentono poco le variazioni termiche e sono meno a rischio, anche se per loro il letargo sarà più lungo; per cui se le tartarughe escono spesso dai loro rifugi è sinonimo di poca protezione termica e quindi in caso di forti abbassamenti termici possono esserci dei seri pericoli. Mi ricordo che molti anni fa usavo riempire i rifugi di paglia già da ottobre (foto 11)
(Foto 11)
ma un anno che le temperature scesero fino a -20°C le piccole Testudo marginata che non scavarono ma rimasero solo sotto la paglia morirono quasi tutte, mentre le piccole di Testudo hermanni boettgeri che avevano scavato sotto di loro anche solo di pochi centimetri si salvarono tutte, così come le adulte o sub-adulte che erano solo sotto la paglia. Per cui la brutta esperienza mi ha portato a modificare il periodo di inserimento della paglia nei rifugi, solo all’arrivo dei primi veri freddi, segnalati dalle prime brinate, questo perché le tartarughe sentendo il freddo sono stimolate a scavare e la terra è la migliore protezione per loro. Al sud le cose si semplificano notevolmente, alcuni amici allevatori non preparano nulla per il loro letargo e spesso anche se mettono cumuli di paglia, loro scelgono altre posizioni senza nessuna protezione termica (foto 12);
(Foto 12)
è successo che in anni eccezionali una nevicata eccezionale, non ha causato conseguenze alle tartarughe adulte che erano scoperte, in quanto poi le temperature solitamente si rialzano in fretta. A volte capita che dopo una forte nevicata a fine inverno, le temperature si rialzino velocemente e qualche tartaruga esce dal suo rifugio (foto 13);
(Foto 13)
questo è comunque un segno che non era ben protetta. Evitare assolutamente di coprire qualsiasi zona o rifugio con teli o materiali di plastica.
Alcuni allevatori preferiscono fare un letargo corto alle proprie piccole; la maggior parte di questi fa terminare il letargo a gennaio o ad inizio febbraio, alzando gradualmente la temperatura mettendole in ambienti diversi che hanno temperature sempre più alte, fino a metterli in casa a 20°C e poi in un terrario preparato. Altri invece scelgono la tecnica più difficile e rischiosa di far andare in letargo le piccole verso dicembre, tenendole in terrario riscaldato per qualche mese ed alimentandole; in questo caso la fase critica è lo svuotamento dell’alveolo intestinale da tutti i residui di cibo e la delicata fase dell’abbassamento di temperature per poi rimetterle fuori con le temperature già molto basse che non permettono alle piccole di scavare e prepararsi, quindi è l’allevatore a fare questa operazione di scavo e copertura, per cui sconsiglio vivamente ai neofiti di seguire questa ultima pratica, anche se preoccupati per le nate in ritardo. Se sono nate in ritardo ma sono sane, non avranno alcun problema se si rispettano tutti consigli dati nell’articolo e ricordo che a volte in caso di arrivo precoce del freddo, può succedere che le uova non si schiudono e rimangono in attesa della prossima primavera per fuoriuscire dal terreno(pur evento raro); questo per dire che le piccole anche se ritardatarie, non hanno comunque problemi di scorta di energie consumando quasi nulla durante il letargo.
Ratti e topi possono essere molto pericolosi per le tartarughe, causando grosse ferite per le adulte e stragi nelle piccole, per cui non sono da sottovalutare
(Foto 14)
(Foto 15)
Molti allevatori preparano una sorta di gabbia per i luoghi di letargo, con delle reti a maglia fina (non oltre 1x1cm), interrando le reti anche nella parte sotto terra. Personalmente sono dell’idea che topi e ratti, con la sparizione o forte diminuzione di predatori come i serpenti, falchi, falconi, gufi o altri animali, siano presenti in grandi quantità e qualche eliminazione non faccia certo male all’ecosistema (molti animalisti sono contrari, ma io preferisco tenere basso il numero di questi roditori attorno a casa). A detta di esperti allevatori, sotto ad un cumulo di paglia, il tasso di elevata umidità scoraggia la presenza di ratti e topi. In questo modo si evita anche di trasformare i luoghi di detenzione in vere e proprie celle blindate (ormai sul web va di moda). Qualche gatto è un’altra soluzione, ma ricordo che i gatti se lasciati liberi di scorrazzare in giardino, sono dei veri “serial killer”, uccidono centinaia di piccoli animali (uccelli e rettili soprattutto) quotidianamente. Alcuni usano esche anticoagulanti, e qui però occorre fare molta attenzione ed utilizzare gli appositi distributori che sono dei sistemi per evitare che altri animali se ne possano cibare.
In genere è considerato normale un calo del 10% del peso corporeo durante tutto il letargo, ma sovente ci sono tartarughe che a fine letargo pesano di più che all’entrata, questo è dato dall’assorbimento di umidità, per cui questo fa pensare a quanto poi in fondo il letargo se ben fatto non sia pericoloso.
Prima cosa occorre tenere bene in mente qual’é il range di temperature che serve per un corretto letargo(dai 4 ai 10°C). Dopo di che è bene dire che un letargo eseguito in luogo protetto come in casa è sicuramente più critico e non consigliabile per neofiti, specialmente per il letargo in frigorifero. In casa sono pochi i luoghi dove si possono avere temperature ideali; in genere il luogo migliore sono le cantine con temperature sugli 8°C, ottimali anche per conservare il vino, ma è bene accertarsi bene con test negli anni precedenti. Chi decidesse di eseguire il letargo in casa, deve utilizzare una cassa preferibilmente in legno, dove inserire del terriccio morbido misto di sabbia e foglie; successivamente all’inserimento delle tartarughe, coprirle con abbondanti foglie che sono da inumidire saltuariamente con uno spruzzino. Le soffitte in genere anche se non riscaldate subiscono forti variazioni termiche in base alle temperature esterne, stessa cosa per garage o rifugi esterni, dove spesso durante le giornate miti le temperature possono anche superare i 15°C che sono molto pericolose per loro. Alcuni allevatori, specialmente in zone a nord Europa, usano far fare il letargo alle specie Mediterranee dentro a dei frigoriferi a 5-6°C (foto n° 16 e foto 17),
(Foto 16)
(Foto 17)
ma occorre fare molta attenzione perché il sistema è molto critico e pericoloso se non ben controllato e umidificato, quindi assolutamente da sconsigliare per i neofiti.
Il risveglio dal letargo:
(Foto 18)
(Foto 19)
Al risveglio le tartarughe hanno più bisogno di idratarsi che di alimentarsi, quindi è consigliabile mettere a disposizione una piccola ciotola di acqua pulita con bordi bassi in relazione alla taglia della tartaruga. Molti allevatori preferiscono fare un bagnetto con acqua tiepida alle loro amiche, ma occorre molta attenzione agli sbalzi termici, eseguendolo durante gli orari con temperature più calde in modo che possano subito riscaldarsi bene, asciugandole bene dopo il bagno. L’acqua deve essere leggermente tiepida e cambiata continuamente per evitare che si raffreddi troppo e ad una altezza in modo che copra oltre la metà del carapace ma riesca ad alzare la testa per poter respirare. Le tartarughe poi hanno bisogno di continuare a rifugiarsi in un luogo o rifugio che abbia un discreto livello di umidità.
Ricordiamo che il risveglio delle tartarughe è la migliore occasione per correggere eventuali errori alimentari o “vizietti”. Per cui è bene somministrare da subito cibi naturali come erbe selvatiche (graminacee) che sono ricche di fibre e calcio, evitando frutta e cibi proteici. In primavera i campi o prati sono abbondanti di graminacee, ma è consigliabile raccoglierle lontani dai veleni rilasciati dai veicoli e quindi non a fianco delle strade. Evitare per quanto possibile di acquistare erbe e verdure dai mercati o super mercati in quanto ricchi di veleni a cui le tartarughe sono molto più sensibili dell’uomo, una passeggiata anche in un parco cittadino permetterà di raccogliere qualche manciata di ottime erbe selvatiche.
Qualche breve accenno al letargo nelle specie acquatiche e palustri. Anche molte specie di tartarughe palustri e acquatiche eseguono un periodo di latenza o letargo; la maggior parte lo esegue immergendosi in fondali fangosi (foto 20)
(Foto 20)
anch’esse diminuendo il loro metabolismo e battiti del cuore. In genere hanno bisogno di bassissime quantità di ossigeno che recuperano tramite le superfici della pelle adiacente la cloaca, tramite scambio gassoso dell’ossigeno presente nell’acqua. Alcune tartarughe acquatiche che vivono nel nord America, come le Chelydra serpentina (foto 21),
(Foto 21)
si sono adattate talmente alle basse temperature che passano il letargo nei torrenti ghiacciati, subito sotto al livello del ghiaccio, soprattutto nelle posizioni dove l’acqua è più ferma. Alcune tartarughe acquatiche hanno messo in atto una strategia incredibile per salvarsi dalle temperature più basse di alcuni gradi dello 0 termico, sembra che producano un liquido che eviti il congelamento del sangue come le Chrysemys picta bellii (foto 22).
(Foto 22)
Chi possiede tartarughe acquatiche, specialmente tipo le Trachemys scripta, dovrebbe fargli fare il letargo in un laghetto anche se piccolo, con profondità dell’acqua almeno di 50-60cm sotto il livello della terra, è quest’ultima che fornisce calore ed evita di ghiacciare completamente l’acqua durante i freddi inverni. Assolutamente da evitare di coprire con teli di plastica il laghetto, il rischio di morte delle tartarughe è elevatissimo; anche se si formerà uno spesso strato di ghiaccio, le tartarughe sotto al ghiaccio dormiranno comunque tranquille, in questi casi il pericolo come al solito sono le ansie dei proprietari.
Le tartarughe palustri come le nostre Emys orbicularis, in genere passano il loro letargo lungo le sponde dei fiumi o canali, interrandosi nella terra umida.
Se le tartarughe sono entrate in letargo non in perfetta forma o il letargo è stato eseguito male, possono presentare diverse patologie e quindi qui serve urgentemente rivolgersi ad un veterinario esperto sui rettili. E’ consigliabile fare un buon controllo visivo per vedere se ci sono stati attacchi tipo micosi, ferite da topi, occhi gonfi, scoli nasali con difficoltà a respirare o i classici “sbadigli” che sono sintomi di raffreddamento. Verificare anche zampe e coda per vedere se ci sono zone rigonfie della pelle o posizioni mal odoranti che potrebbero essere causate da necrosi.
Se non si dispone di un giardino è bene non detenere alcuna tartaruga evitando di acquistarne o farsene regalare. Neppure le terrazze per grandi che siano, sono adatte per le tartarughe. Tutte le tartarughe soffrirebbero in un ambiente che non ha le condizioni minime per vivere dignitosamente come umidità, giuste temperature e sole.
Agostino Montalti
Didascalie foto:
01 Foto di Maria Grazia Natalizio
02 Foto di Odontochelys semitestacea tratta da http://pikabu.ru
03 Foto di Proganochelys tratta da http://vespisaurus.deviantart.com/
04 Foto di Enrico Di Girolamo
05 Foto di Seda D’anna
06 Foto di Maurizio Bellavista
07 Foto di Maurizio Bellavista
08 Foto di Giuseppe Liotta
09 Foto di Giuseppe Liotta
10 Foto Tarta Club Italia
11 Foto Tarta Club Italia
12 Foto di Enrico Di Girolamo
13 Foto Tarta Club Italia
14 Foto di Nicolino Di Ferdinando
15 Foto di Gianluca Dessi
16 Foto tratta da http://www.thetortoisehouse.com
17 Foto tratta da http://cellar.org
18 Foto Tarta Club Italia
19 Foto di Nicolino Di Ferdinando
20 Foto tratta da https://birdsandbeyond.wordpress.com
21 Foto tratta dal web
22 Foto tratta da https://nebraskaprojectwild.wordpress.com
Da circa 3 anni mi intrigava e affascinava il racconto della segretaria malgascia della nostra associazione “satellite” in Madagascar (Mahajanga Ville Propre).
Mi aveva parlato di una piccola isola sperduta a nord/ovest del Madagascar, di nome Ambari Otelo, dove viveva ancora una antica e vecchia principessa malgascia in compagnia di due enormi tartarughe che gironzolano libere in questa piccola isola.
Per due anni circa sono stato impegnato dalla costruzione del nuovo parco per la protezione delle specie endemiche terrestri del Madagascar e dal progetto per la salvaguardia delle Astrochelys yniphora, ma a fine maggio 2017, con la fine dei lavori, sfruttando l’occasione della visita dei miei nipoti, decidiamo di partire per questa nuova avventura, si perché qui ogni volta che si parte per un lungo viaggio è sempre un’avventura. Noleggiamo un’auto da un amico e si parte….. Il viaggio previsto è di circa 1500 km più un tragitto in battello non quantificabile. I primi 160-180 km li percorriamo velocemente e con strada in discrete condizioni, ma poi inizia il dramma delle buche e dei dossi, quindi la velocità è inevitabilmente ridotta e qualche volta non basta e ci finiamo dentro con lavoro duro per gli ammortizzatori. Ci inoltriamo nella regione “Sofia”, con temperatura diurna abbastanza elevata, sui 34°C e come al solito la polvere sulla strada la fa da regina; poche fermate per acquistare un po’ di frutta, qualche gradevole distrazione come un rossissimo camaleonte che attraversa la strada
e via fino ad Ambanja, dove cerchiamo un alloggio per almeno 3 giorni, è difficile fare programmi quando non conosci bene dove devi andare. Ambanja è una città polverosissima, piena di risciò con la bicicletta,
caratteristici proprio di alcune città della zona; la città è piena di grandi alberi dove al di sotto di questi vi sono immense piantagioni di cacao,
pianta che ha bisogno di zone ombreggianti. Importante anche per pietre preziose e per la vaniglia, ma quest’ultima è diventata talmente cara che non conviene più acquistarla qui. Ambanja è la più vicina al porto di Ankify, imbarco che in genere viene usato quasi esclusivamente per andare nell’isola più famosa del Madagascar, Nosy Be. Noi invece cerchiamo un imbarco per una piccola isola che pochi conoscono; all’arrivo vicino all’imbarco ecco che veniamo assaltati dai soliti procacciatori di imbarchi e nonostante i tanti tentativi, riusciamo a trovare solo una barca veloce che ci propone il viaggio ad un prezzo non tanto economico che non riusciamo minimamente a far diminuire. Resici conto che non c’era alternativa, decidiamo di imbarcarci. Il posto è magnifico, come usciamo dalla baia ci rendiamo conto del paradiso che c’è attorno, tante isole e isolette con baie splendide e vegetazione rigogliosa ovunque.
I due “marinai” sono poco sicuri sulla direzione da prendere, li vediamo tentennare e cerchiamo di precisare bene il nome dell’isola, ma sembra che ce ne siano diverse con nomi molto simili e dopo qualche indecisione con qualche km percorso in direzioni opposte, si decidono ad andare a sud come le indicazioni che avevo ricevuto. Sfioriamo diverse isole medio grandi e ad un certo punto eccone una piccola, ma con una spiaggetta meravigliosa,
un’acqua limpidissima e in mezzo alla vegetazione spuntavano fuori delle piccole capanne di pescatori e le loro piccole “lakana”(piroghe locali con il bilanciere a lato; ovviamente il tutto con una marea di splendide palme da cocco che non possono mancare in queste isole semi-selvagge.
Ovviamente noi siamo partiti come privilegiati, la mamma della nostra segretaria è una cugina della principessa e avevamo un permesso speciale per visitare l’isola, con il vantaggio di trovare ad aspettarci proprio la mamma che ci avrebbe fatto da guida conoscendo la lingua francese e per metterci a conoscenza delle regole e usanze da rispettare nell’isola. In genere i rari turisti che arrivano nell’sola hanno un permesso solo di un’ora, ma a noi è concessa tutta la giornata. L’isola è abitata da sole 42 “anime” compreso i tanti bambini che ci vengono subito incontro insieme alla nostra guida che ci accoglie con un caloroso benvenuto. A parte la bella sensazione di essere in un posto dove pochissimi hanno avuto il piacere di visitare, la splendida spiaggia, il mare incantevole con colori stupendi, la vegetazione lussureggiante con tantissimi lemuri che sembrano ti osservino sorpresi,
la sensazione di leggerezza ti da anche una certa calma interiore. Qualche pollo che scorazza sotto alle palme, ma soprattutto tanti lemuri che qui sembrano i gatti della casa. Una breve indicazione di cosa dobbiamo rispettare, soprattutto alcune zone considerate dai locali sacre e off-limit per i turisti e subito che parto all’attacco per trovare le due tartarughe giganti dei tanti racconti che mi faceva Geno, la segretaria. Per la ricerca mi appioppano un ragazzino che ovviamente non capisce una parola di francese, ma la prima tartaruga è facile da trovare, rilassata sotto un grande albero, direttamente sul mare, in una zona dove ci sono grandi sassi rotondeggianti e scuri, tanto che inizialmente è difficile da individuare.
Stupenda, di medie dimensioni, è una femmina di Aldabrachelys gigantea, non endemica del Madagascar, ma a prima vista in ottime condizioni, con carapace sviluppato molto bene, liscio e quasi perfetto. Come quasi tutte le grosse tartarughe, se strofinata sul carapace nella parte sopracaudale, si eccita e alza per farsi ammirare in tutto il suo splendore; ovviamente, come la maggior parte della specie, ama farsi accarezzare sotto al collo e spesso nella parte dietro della testa. Verifico alcune sue feci in zona e vedo che sembrano perfette, piene di fibre, il che spiega la perfezione del carapace. Dopo una mezzoretta passata a fare foto e video, decido di cercare anche l’altra, che mi dicono essere più grande, ma la ricerca si preannuncia più difficile, al punto che il nostro accompagnatore comincia a stancarsi e vorrebbe lasciare perdere. Esiste però un rimedio efficacissimo; dico a mio nipote che mi sta seguendo che conosco un metodo che entro due minuti ci avrebbe fatto trovare la tartaruga: offro 3000 Ariary (soli 90 centesimi di euro) al ragazzino che aumenta vistosamente la ricerca e poco oltre al minuto la tartaruga spunta fuori miracolosamente……..
Un’altra bellissima femmina di Aldabrachelys gigantea,
che sta brucando erba fra due capanne del piccolo villaggio, calmissima, che si lascia fotografare senza il minimo problema; qui sono abituate a vivere vicino all’uomo che però non le importunano e soprattutto la loro fortuna è data dal fatto che è evidente che hanno un’alimentazione ottima data dal fatto che nessuno si cura di loro, scorazzano liberamente mangiando quello che vogliono, con prevalenza di erbe ricche di fibre. Poi mi dicono che durante la stagione delle piogge spariscono, si inoltrano nella parte più alta dell’isola dove la vegetazione è più intensa e intricata.
Ci fanno fare una visita al villaggio, dove come luogo più importante ci mostrano una capanna con un recinto chiuso con un grosso lucchetto, dove dentro c’è solo un pozzo, ma importantissimo per la preziosa acqua dolce che disseta tutto il villaggio.
Nel frattempo si è fatto quasi mezzogiorno e approfittiamo dell’arrivo di una piroga con molto pesce fresco, con poco più di 4 euro ci riempiono un grosso contenitore di diversi tipi di pesce fresco
e un local con soli 1,5 euro ci prepara una grigliata magnifica.
In attesa di gustarci il pesce grigliato, ci divertiamo un poco con i tanti lemuri del villaggio, attirati dalle banane che abbiamo tirato fuori, che ci attaccano letteralmente fino a costringerci a mollare le banane. La sensazione di avere addosso i lemuri è fantastica, sono di una leggerezza e delicatezza inspiegabile, pur sapendo che se vogliono sanno difendersi molto bene con i lunghi denti affilati che hanno; ho visto una volta in azione un attacco ad una bambina da parte di una femmina di lemure che solitamente stava in cattività proprio perché non amava i bambini, cosa inspiegabile, ma forse da piccola ha subito dei maltrattamenti, la bimba fra i tanti urli, fini con una bella ferita profonda e nessuno di noi fece in tempo a fare nulla, la scena fu rapidissima.
Dopo esserci riempito per bene le pance e un bagno nelle acque limpidissime, ci fanno sapere che è possibile far visita alla principessa; ci inoltriamo dentro al villaggetto e d’avanti ad una delle capanne si presenta una vecchietta non certo in abiti reali, ma che da come abbiamo capito ha ancora un certo potere e non solo nell’isola ma anche su quelle vicine, in pratica funge da autorità locale dove in fondo la polizia o i gendarmi non ci sono. In fondo era proprio perché il territorio era talmente vasto e frastagliato che una volta c’erano diversi re suddivisi in zone del Madagascar.
La principessa ci parla un po’ della sua isola, e alla domanda di quanti anno le due tartarughe ci racconta che lei se le ricorda da sempre, non sa dargli un’età, ma poi pensandoci bene, dice che da molto piccola, suo padre (il principe o re, non ho capito), un giorno arrivò con 3 tartarughine piccole, ricevute in dono, e una negli anni morì schiacciata da un grosso sasso. Poi ci disse che altre due tartarughe uguali furono regalate ad un altro “reale” che abitava più a sud, indicandoci la strada fra le isole, ma che non seppero comprendere neppure i nostri due marinai……. La principessa ci disse che non si erano mai riprodotte perché erano due maschi………. ovviamente io gli dissi che si sbagliava, erano due bellissime femmine.
Dopo le foto di rito con la principessa
e un regalo (in moneta) sia a lei che alla sua cugina, altre due foto alla prima tartaruga
e ci congediamo da tutti gli abitanti del villaggetto e di li a poco riprendemmo il viaggio di ritorno verso il porto di Ankify.
Il giorno successivo approfittiamo per visitare la parte sud di Ankify perché mi avevano detto che c’erano delle spiaggette quasi deserte di notevole bellezza e così fu, sparse lungo una pista che costeggiava la costa solo per alcuni chilometri. Ogni spiaggia era diversa dalle altre, con sabbie, rocce e colori differenti, il tutto in totale assenza di persone,
nonostante nelle baie c’erano sempre diverse case o villette chiuse come se fossimo fuori stagione; è vero che da li a poco sarebbe iniziato l’inverno malgascio, ma era ancora molto caldo e l’unico ristorante che trovammo, poi abbiamo capito che era chiuso e lo aprirono per noi. Il pranzo non fu nulla di speciale, ma ci rallegrò un gruppo di lemuri che ci fece visita,
non spaventati dalla nostra presenza.
Al ritorno ci aspettò ancora un’altra dura giornata di macchina, ma soddisfatti da questa bella escursione anche se di pochi giorni.
Come al solito il Madagascar continua a stupire……
Alla prossima avventura!
Avevo sentito parlare di spiagge dove le tartarughe nascevano fra le radici dei grandi e maestosi Baobab e da tempo mi frullava per la testa questa visita, quindi, visto che mi trovavo a Mahajanga, nord ovest del Madagascar per il nostro “Progetto TCI Angonoka”, e da qui ci sono alcuni voli per Mayotte, ho deciso di affrontare questo breve viaggio di 3 giorni anche per visitare questa isola a me sconosciuta e a solo un’ora di volo . Ed eccomi in partenza per l’isola di Mayotte, per vedere le mitiche spiagge di Saziley e Moya, dove le tartarughe marine depongono le uova fra le radici dei grandi e meravigliosi baobab .Mayotte è un grande atollo, con tante isole al suo interno, dove prevalentemente sono abitate le due isole più grandi, Grande terre e Petite terre.
La spiaggia di Moya è situata sul lato est dell’isola Petite terre e la spiaggia di Saziley è posizionata a sud dell’isola Grande terre. Purtroppo per arrivare alla spiaggia di Saziley non esistono strade, ho trovato solo una cartina locale che ne faceva riferimento e quindi partendo dall’Hotel che si trovava vicino alla capitale Mamoudzou , sono partito per trovare un mezzo che mi portasse più vicino possibile alla meta e già questa è stata la prima impresa. Per fortuna i taxi sono molto economici anche se fanno un sacco di fermate per far salire e scendere i passeggeri e la strada è interminabile. Il taxista mi dice che fa uno sforzo e mi porta fino all’inizio della presunta strada che porta alla spiaggia di Saziley, dove c’è un cartello con una freccia che indica 3,3 Km . La strada non si presenta bene, sembra un sentiero stretto e mal ridotto, ma era solo l’inizio, il resto era molto molto peggio. Il paesaggio è una meraviglia ma non ero in forma, avevo un’anca che poco tempo prima mi aveva dato complicazioni serie e quindi non sarebbe stato il massimo sforzarla, ma ormai ero partito e convinto di arrivare in fondo. Le sorprese però non erano finite, dopo 3,3 km di sali e scendi su un sentiero che chiamarlo così è un elogio, più che altro è una mulattiera,
mi rendo conto che il cartello indicava il punto di arrivo al colle più alto, dove poi poco più avanti si trova la deviazione per discendere verso tre spiagge fra cui quella di Saziley. Ovviamente altri 4 km ancora più sconnessi; in totale fra andata e ritorno credo di aver marciato per oltre 20 km in quanto poi al ritorno non c’erano più taxi fino ad un punto più a nord. Lungo il percorso, c’erano delle simpatiche segnalazioni sui sassi, delle tartarughe marine dipinte per indicare la via;
la vegetazione sembrava simile alle vegetazioni delle nostre zone a ridosso del mare, se non per i grandi baobab che ogni tanto svettavano maestosi.
Ogni tanto sbucava qualche uccello endemico,
oltre a bellissimi paesaggi
e un atollo di sabbia bianca sul mare.
Ma parliamo della meravigliosa spiaggia
che si è aperta ai miei occhi, che sicuramente mi ha ripagato della grande fatica. Una spiaggia meravigliosa, con sabbia nera su una baia che dire incantevole è poco, con tanti meravigliosi Baobab che si affacciano sulla spiaggia , al punto che le radici spesso si ritorcono indietro per non andare verso l’acqua salata.
La prima cosa che vedo sono le tantissime tracce delle tartarughe marine
che sono venute la notte precedente a deporre le uova; sulla sabbia nera e liscia, senza tracce umane, sembrano delle piccole piste che vagano nella larga spiaggia per trovare il luogo migliore per deporre. Le prime che vedo sono su una parte dove dopo la sabbia c’è dell’erba o piccoli arbusti e qui le tartarughe cercano di scavalcare il lato più alto in modo che le maree non arrivino fino ai nidi. Questo prima spettacolo mi ha incantato al punto che inizialmente non mi ero accorto che li vicino c’erano tanti bellissimi baobab
che si slanciavano in alto e largo vicino a bellissimi grandi massi neri arrotondati dalla forza del mare. Per una mezza giornata sono stato l’unico visitatore ad eccezione di un pescatore locale
che pescava a lenza, sul mare, molto inoltrato in quanto la marea era molto bassa. Vedo quasi subito tanti gusci di uova schiuse,
segno che qui l’attività è frenetica e viva, ed ho trovato anche il segno che è recentissima, purtroppo macabro ma è la realtà, una zampetta di una baby,
ancora molto fresca, quindi segno che è uscita la mattina stessa e non ce l’ha fatta; ci sono molti corvi
che popolano la baia e questi fanno sicuramente strage delle piccole ritardatarie che escono con la luce del giorno. Trovo anche diversi teschi di tartaruga, proprio a fianco di un grande baobab.
Fa effetto vedere che la maggior parte dei nidi è scavata proprio far le radici dei grandi baobab, come se in qualche modo cercassero protezione. Dopo aver scattato tante foto e rimasto abbagliato e entusiasmato dalle forme dei grandi alberi di baobab, di cuoi ho raccolto anche i semi a terra, comincio a pensare di rimanere la sera fino all’arrivo delle prime tartarughe, ero troppo eccitato dall’idea, ma l’idea me l’ha fatta cambiare il pescatore quando mi ha chiesto se ero da solo, quella zona purtroppo non è molto sicura e spesso si sono verificati dei furti o attacchi a turisti. Prospettiva poco rassicurante, aggiunta al fatto che non ero attrezzato per la notte e il percorso era veramente duro, considerando poi che i taxi di notte non ci sono, a malincuore ho ripensato di tornare . Lungo il tragitto, con mio stupore ho visto dei lemuri fulvi,
pensavo fossero solo in Madagascar. Il giorno seguente, di primo pomeriggio avevo il volo di ritorno, ma sapendo che la spiaggia di Moya era sulla stessa isola dell’aeroporto, pur ancora tutto dolente per la sfacchinata del giorno prima, quando scendo dal traghetto mi do da fare per trovare un taxi che mi accompagni il più possibile vicino alla spiaggia di Moya, cosa però non facile, ho dovuto chiedere a lungo e pazientare per trovarne uno, che però mi ha lasciato ad alcuni km dalla spiaggia; tanto per cambiare ancora tanta marcia a piedi…… solo l’ambita meta mi faceva non pensare alla fatica e al dolore, ma la passione è talmente forte che non mi fermo. Anche qui mi si presenta una piccola baia, sempre con sabbia nera vulcanica,
molto carina, anche se non come Saziley, ma con tanto fascino e anche qui diversi baobab direttamente sulla spiaggia, dove le tartarughe scavano immense buche proprio fra le loro radici, al punto che le scoprono tantissimo per entrarci in mezzo e fanno si che si presenta uno spettacolo meraviglioso di intrecci di mega-radici . Purtroppo il meraviglioso spettacolo era rovinato dalla tantissima plastica mischiata in mezzo ai tantissimi gusci di uova di tartarughe marine.
Anche qui gli immancabili corvi neri e bianchi che pattugliano continuamente la spiaggia, non lasciando via di scampo ai piccoli che rimangono indietro o nascono con la luce del sole. A fianco di questa baia ce n’è un’altra piena di mangrovie, quindi meno di effetto, ma anche in questa ho trovato alcune posizioni con le tracce delle tartarughe e dei nidi; sembra che ci sia una lotta ad accaparrarsi le posizioni migliori lontane dall’acqua. Un’altra passeggiata di avvicinamento all’aeroporto e la nostra avventura svolge al termine.
By by Mayotte !
Agostino Montalti
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La Gopher Tortoises è un'organizzazione senza scopo di lucro del nord Carolina che si opera per la salvaguardia delle popolazioni di tartaruhe tipiche di quei luoghi.
- TurtleTimes.com
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- Internationale Schildkröten Vereinigung
Sito degli amici delle tartarughe in Austria: annunci, fiere, articoli, forum e guestbook vi aspettano.
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- Allevamento Serenità
L’allevamento SERENITA’, nasce dalla passione che le persone rivestono in questi splendidi animali: allevatori, conoscitori o semplicemente interessati a alle tartarughe terrestri che si prefiggono l’obiettivo di aumentare la sensibilizzazione e conseguentemente il rispetto per questi indifesi animali.
- Allevamento Testudo
Questo sito nasce da una passione antica per la cura, l'allevamento e la riproduzione di tartarughe di terra del genere Testudo Hermanni, in particolare per la ssp Testudo Hermanni Hermanni.
- Tartarughe Terrestri
Sito amatoriale dedicato alle tartarughe terrestri, in particolare quelle mediterranee. Sul sito sono presenti molte informazioni sull'allevamento delle tartarughe, adatto sia per gli adulti, ma realizzato pensando soprattutto ai più piccoli con simpatiche favole e gadgets da collezione.
- Associazione Chelonia Telesia
Associazione no-profit per tutti gli appassionati delle tartarughe mediterranee.
- Tartoombria
Tartoombria è un sito dedito alla promozione, lo studio e la salvaguardia delle tartarughe selvatiche in Umbria e delle varietà locali delle specie europee, tra le quali anche la Testudo graeca 'sarda' (sin. Furculachelys "sarda") e la Testudo hermanni.
- Tarta-rughe blog
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- Emys Orbicularis
Sito interamente dedicato alla tartaruga palustre europea: allevamento, alimentazione, riproduzione, dimorfismo sessuale e tantissime pubblicazioni uniche.
- Edi flip
Sito amatoriale dedicato alla raccolta di foto di animali tra cui le tartarughe: documentazione fotografica, aiuti, consigli, patologie, news.
- Tartarughe italiane ed esotiche
Sito dedicato a tutti gli appassionati di tartarughe italiane ed esotiche: allevamento, problematiche, legislazione, fatti e curiosità, avvenimenti... e altro ancora.
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Sito amatoriale dedicato alle Testudo marginata, per chi fino ad ora si è solo posto delle domande, qui troverete tutte le risposte.
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La mailing list dedicata alle testuggini mediterranee. Caratteristiche, allevamento, malattie, normativa e tante risposte alle vostre domande.
- Testudo hermanni, greca, marginata
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- Marginata Sarda
Sito amatoriale di appassionati di tatarughe.
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Allevamento amatoriale di testuggini della Sardegna, in cui si allevano principalmente le 3 specie di testuggine terrestre presenti in Sardegna: testudo Marginata, testudo Hermanni Hermanni, testudo Graeca Graeca
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Raggi UV e Plexiglass
Articolo del socio Gérald Orlando per Tarta Club Italia
Gli appassionati di tartarughe per il benessere del loro animale preferito debbono sviluppare la loro competenza in diverse materie e quello della fisica dei raggi UV e materiali può essere un aiuto per capire l'utilità del Plexiglass rispetto al vetro sopratutto per la fabbricazione di serre utili per la protezione delle tarte.
RAGGI UV A
Essi rappresentano il 95% degli UV di origine solare che arrivano sulla superficie della terra.
La loro lunghezza d'onda va da 400 a 350 nm (nm=nanometro, cioè il miliardesimo di un metro). È questa gamma di raggi che è responsabile della abbronzatura della nostra pelle con modificazione della pigmentazione. Ma è anche molto pericolosa per gli occhi infatti è assorbita dal cristallino, che è una lente biconvessa che si trova nella parte anteriore dell'occhio, con funzioni di accomodamento dell'immagine. Infatti si produce un effetto chimico che a una forte tendenza ad aumentare il rischio di cataratta cioè la perdita di trasparenza del cristallino. È evidente che questa opacità va progressivamente accentuando e diminuisce fortemente la visione.
Le persone che non si proteggono con degli occhiali da sole in prossimità di una superficie fortemente riflettente (spiaggia, mare, neve....) si mettono in situazione di aumento brutale della quantità d'UV A che penetra negli occhi e dunque una accelerazione del processo che conduce alla cataratta.
La gamma che va da 400 a 350 nm ha anche un effetto di destrutturazione chimica di certe molecole che entrano nella composizione di vernici, solventi e derivati del petrolio come la plastica.
RAGGI UV B
Gli UV B rappresentano solo 5% degli UV solari. Sono i più pericolosi per la nostra pelle.
Dico bene 5%, ecco perché i migliori tubi o lampade che producono della luce artificiale debbono avere 5% di UV B. Quelli che hanno dei tubi Reptisun 2.0 per le loro tarte li possono buttare via perché non sono efficaci. La migliore riproduzione di UV B da una lampada tubolare è quando la dose è di 5%, come il Reptisun 5.0.
Perché questo corrisponde al tasso degli UV B del sole che arrivano sul suolo terrestre e indipendentemente dall'intensità della luce.
I raggi UV B hanno una lunghezza d'onda da 315 a 280 nm. Questa gamma à responsabile dei colpi di sole e dell'invecchiamento della pelle (i famosi radicali liberi).
All'interno dell'occhio questi raggi non sono intercettati dal cristallino. Giungono dunque fino alla cornea. Sono gli UV B i principali responsabili dei tumori della pelle.
Sono filtrati parzialmente da certi componenti chimici e hanno una forte azione di degradazione su questi ecco perché un filtro solare sulla spiaggia deve essere spesso rinnovato.
RAGGI UV C
Gli UV C hanno una lunghezza d'onda da 280 a 100 nm. Sono di alta frequenza e di grande energia che li rendono terribilmente pericolosi . Gli strati alti dell'atmosfera terrestre li filtrano tramite la combinazione di atomi di ossigeno e molecole di ozono. Lo strato di ozono dell'alta atmosfera terrestre (stratosfera) assorbe il 99% degli UV C, il resto à filtrato dalle strati più bassi (troposfera) ad una quota di 10 km (leggermente superiore al monte Everest).
IL PLEXIGLAS
Il plexigas è una alternativa al vetro. Il polimetil-metacrilato è stato inventato dagli inglesi nel 1940 per le cabine di pilotaggio dei loro aerei di caccia.
Lo scopo essendo di lasciare al pilota abbattuto la possibilità di avere il controllo del suo aereo fino al suolo. La vetrata che scoppia forma delle schegge che traversando gli occhiali di protezione potevano ferire gli occhi, ecco perché la storia.
Molto presto diversi materiali derivati sono stati inventati, ognuno con le sue proprietà ottiche diverse.
Ma quello che segue qui sotto è il più importante
CONCLUSIONE
Si può trarre dalle due tavole certe conseguenze a proposito del vetro minerale ( il vetro ordinario). Il vetro lascia passare i 3/4 degli UV A. Ma la tavola seguente ci mostra che lascia passare solo il 5% degli UV B. Ma il 5% dei 5% che arrivano al suolo dopo aver attraversato l'atmosfera cioè una filtrazione quasi totale!!!
Or via gli UV B sono più importanti degli UV A nel metabolismo dei rettili.
Dunque il vetro acrilico OP-4 è il più efficace per l'illuminazione UV dei rettili, e questo lascia passare il 79% dei 5 % dei raggi UV B che arrivano sul suolo terrestre equivalendo solo al 4% degli UV B provenienti dal sole.
Attenzione ! integrazione a cura di Agostino Montalti :
N.B. attualmente la maggior parte del Plexiglas in commercio ha un filtro contro i raggi Ultravioletti quindi non fa passare gli UV-B ; mentre si trova un prodotto specifico per il passaggio di tali raggi solari, che solitamente viene richiesto per i solarium negli stabilimenti balneari.
Natator depressus (Garman, 1880)
Tartaruga a dorso piatto, Flatback Sea Turtle, Tortuga plana
CLASSIFICAZIONE
Classe: Reptilia
Ordine: Testudines
Sottordine: Cryptodira
Famiglia: Cheloniidae
Genere: Natator
Specie: depressus
STATUS GIURIDICO
E' inserita in Appendice I CITES.
Nonostante in confronto ad altre specie di tartarughe marine conta conta in totale meno esemplari, bisogna prendere in considerazione che il suo areale è abbastanza limitato, quindi contrariamente a quanto si possa pensare, Natator depressus probabilmente è tra le tartarughe marine, la meno soggetta a pericolo di estinzione.
DISTRIBUZIONE E HABITAT
Vive esclusivamente lungo le coste settentrionali dell'Australia, fino a quelle meridionali della Nuova Guinea.
Frequenta preferibilmente le acque costiere e le barriere coralline.
CARATTERISTICHE FISICHE
Raggiunge i 100 cm di lunghezza del carapace, con un peso di circa 70 kg.
Il carapace è di forma ovale, piatto e largo; la sua colorazione di base è grigia. Il piastrone invece è più chiaro, tendente al giallo. I piccoli alla nascita sono di un colore uniforme che varia dal grigio al verde oliva, con il bordo di ogni scuto del carapace marcato di nero.
La testa presenta ai lati 3 squame postorbitali.
DIMORFISMO SESSUALE
I maschi presentano rispetto alle femmine, una coda più lunga e larga alla base.
ALIMENTAZIONE
La specie è onnivora, anche se prevalentemente carnivora. Si nutre di alghe, pesci e vari invertebrati marini.
RIPRODUZIONE
La deposizione avviene lungo la costa a Nord dell'Australia, nel periodo che va da Ottobre a Gennaio.
Lo scavo nella sabbia inizia con gli arti anteriori e prosegue, fino alla chiusura completa del nido, con quelli posteriori.
Ogni deposizione, che solitamente avviene con intervalli di almeno 20 giorni l'una dall'altra, con un massimo di 4 per stagione, comprende dalle 50 alle 80 uova, relativamente poche. Dopo circa 45 giorni i piccoli inizieranno a salire in superficie e a raggiungere il mare.
NOTE
Le uova di Natator depressus sono minacciate da numerosi predatori, oltre che da specie autoctone, soprattutto da quelle introdotte negli anni dall'uomo, come ad esempio i maiali selvatici (quest'ultimi sono circa 20 milioni sparsi per l'Australia), che grazie al loro olfatto riescono a scovare facilmente i nidi.
Autore: Enrico Di Girolamo ©
Lepidochelys olivacea (Eschscholtz, 1829)
Tartaruga olivacea, Olive Ridley Turtle, Tortuga golfina
CLASSIFICAZIONE
Classe: Reptilia
Ordine: Testudines
Sottordine: Cryptodira
Famiglia: Cheloniidae
Genere: Lepidochelys
Specie: olivacea
STATUS GIURIDICO
La specie è protetta da vari trattati nazionali e internazionali come IAC (Inter-American Convention for the Protection and Conservation of Sea Turtles). E' inserita in appendice I CITES. In passato è stata tra le tartarughe marine la specie maggiormente soggetta a rischio estinzione; milioni di esemplari sono stati oggetto di cattura da parte dell'uomo, adesso grazie alle normative che la salvaguardano la situazione è notevolmente migliorata.
DISTRIBUZIONE E HABITAT
Vive principalmente nelle acque tropicali dell'Oceano Pacifico e dell'Oceano Indiano, frequenta anche l'Oceano Atlantico ma esclusa la parte settentrionale. Si può incontrare sia lungo le zone costiere, incluse baie ed estuari, che in mare aperto.
CARATTERISTICHE COMPORTAMENTALI
Generalmente è attiva durante tutto l'anno.
Effettua annualmente lunghe migrazioni, sono stati osservati esemplari anche a circa 4000 km dalla costa.
CARATTERISTICHE FISICHE
Insieme a Lepidochelys kempii è una delle tartarughe marine di minori dimensioni; la lunghezza degli esemplari adulti varia tra i 60 e i 70 cm, raramente raggiungono i 75 cm. Il peso è in media di 50 kg. Il carapace è caratterizzato dalla presenza di 6 o oltre (a volte anche in modo asimmetrico) paia di scuti laterali; sul piastrone sono presenti invece 4 paia di scuti inframarginali che collegano questo al carapace.
La colorazione del carapace varia dal verde oliva al grigio, con tonalità più o meno scure; il piastrone è più chiaro, tendente al giallo.
DIMORFISMO SESSUALE
I maschi presentano rispetto alle femmine, una coda più lunga e più larga alla base.
ALIMENTAZIONE
Specie carnivora, la sua dieta è caratterizzata da vari invertebrati marini (molluschi e crostacei), pesci e sue larve.
RIPRODUZIONE
La maturità sessuale è raggiunta intorno ai 15 anni, o comunque raggiunti i 60 cm circa di lunghezza per le femmine. Queste durante una stagione riproduttiva compiono da due a tre deposizioni, ognuna delle quali caratterizzata da circa 100 uova. L'incubazione dura 50 o 60 giorni. Questa specie è nota per il gran numero di esemplari che si riuniscono sulle spiaggia per nidificare, in alcuni siti sono state contate oltre 100.000 tartarughe e relativi nidi, questo comportamento è conosciuto con il termine di "arribada".
Autore: Enrico Di Girolamo ©
Lepidochelys kempii (Garman, 1880)
Tartaruga bastarda, Kemp's Ridley Sea Turtle
CLASSIFICAZIONE E TASSONOMIA
Classe: Reptilia
Ordine: Testudines
Sottordine: Cryptodira
Famiglia: Cheloniidae
Genere: Lepidochelys
Specie: kempii
Il nome comune "Tartaruga bastarda" deriva dal fatto che un tempo gli esemplari appartenenti a questa specie, venissero da alcuni considerati erroneamente ibridi tra Caretta caretta e Chelonia mydas.
STATUS GIURIDICO
E' inserita in Appendice I CITES.
Tra le tartarughe marine, è una delle specie ad alto rischio di estinzione, a causa della cattura indiscriminata da parte dell'uomo e della riduzione delle zone di riproduzione.
DISTRIBUZIONE E HABITAT
Vive nell'Oceano Atlantico settentrionale, principalmente nel Golfo del Messico, tanto da poter essere considerata specie strettamente messicana; può comunque spingersi tranquillamente anche sulla parte orientale raggiungendo le coste dell'Europa.
Predilige le zone costiere.
CARATTERISTICHE FISICHE
Lepidochelys kempii è la più piccola tra le tartarughe marine; raggiunge una lunghezza massima di 70 cm e un peso di circa 45 kg.
La colorazione del carapace va dal grigio al verde, il piastrone invece è più chiaro, tendente al giallo.
Il carapace è di forma quasi circolare e caratterizzato da 5 paia di scuti costali.
DIMORFISMO SESSUALE
I maschi presentano rispetto alle femmine, una coda più lunga e più larga alla base.
ALIMENTAZIONE
La specie è carnivora. L'alimentazione è caratterizzata principalmente da granchi, calamari e altri invertebrati marini.
RIPRODUZIONE
Il periodo della riproduzione va da Marzo fino ad Agosto. Le femmine possono deporre ogni anno fino a 3 volte, con intervalli di circa 20 giorni da una deposizione all'altra, e ognuna di queste è caratterizzata da 100 o più uova.
Lepidochelys kempii si caratterizza per il fatto che preferisce il giorno per la deposizione, al contrario delle altre specie che prediligono la notte in modo da ridurre il pericolo dei predatori.
L'incubazione dura circa 60 giorni, trascorsi questi, i piccoli iniziano a raggiungere la superficie. Le temperature di incubazione influenzano il sesso dei nascituri.
Questa specie, insieme a Lepidochelys olivacea, è nota per il gran numero di esemplari che si riuniscono contemporaneamente sulle spiaggia per nidificare; questo fenomeno è conosciuto con il nome di "arribada".
NOTE
Nel 2009 è stato rinvenuto un esemplare di questa specie nello Stretto di Messina, il quinto ritrovamento finora nel Mediterraneo e il primo in Italia. Dopo le cure del caso, è stato rilasciato in mare nell'Ottobre del 2010, munito di un microtrasmettitore satellitare per seguirne gli spostamenti, dato che non è una specie presente nel Mediterraneo.
Autore: Enrico Di Girolamo ©